Un apostolo umile e semplice del Settecento
Cosmo Francesco Ruppi
[Edito 16/03/2004] Fra qualche giorno si compiono settant’anni dalla canonizzazione di un apostolo del settecento, san Pompilio Maria Pirrotti delle Scuole Pie, nato in un paese dell’Irpinia, a Montecalvo Irpino, e morto a Campi Salentina, nei pressi di Lecce, ove è tuttora conservato il suo corpo. Nel paese del Salento, per la verità, visse appena l’ultimo anno della sua esistenza terrena, ma la sua memoria lì sempre viva, ben sorretta dallo zelo dei padri scolopi, la confluiscono non di rado pellegrini di molte parti d’Italia.
Il nome e le gesta di questo santo, per la verità, sono ben poco conosciuti, eppure è non solo contemporaneo di San Leonardo di Porto Maurizio, San Paolo della Croce e Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, ma ha con essi molto in comune e rappresenta un tratto significativo di quei settecento, definito da molti come il secolo scettico ed ateo, che registrò anche fulgori di santità.
Di san Pompilio, canonizzato da Pio XI il 19 marzo 1934, insieme a due altri beati, Giuseppe Benedetto Cottolengo e Teresa Margherita Redi, si scrisse che la sua santità obbediva al calmo fervore quotidiano. Di lui, Pio XI mise in luce come «la sua vita nascosta con Cristo in Dio congiunse l’infaticabile servizio dell’attività apostolica».
La caratteristica del santo irpino e salentino è quella di aver donato tutto se stesso per l’educazione dei giovani e del popolo minuto: «Egli — disse Papa Ratti — è un esempio chiarissimo che dimostra quanto la religione cattolica possa contribuire alla vera educazione della società civile». È forse per questo, che la sua vita e il suo esempio possono essere riproposti anche oggi alla nostra attenzione, in un momento in cui si scopre l’importanza dell’educazione cristiana e la responsabilità della famiglia, degli operatori scolastici e della stessa comunità cristiana in ordine alla educazione delle future generazioni.
L’importanza di questo santo si comprende sopratutto se la si mette in relazione con il suo secolo, in cui irrompevano i fermenti laicistici e si consumava quel distacco della società civile dal fermento cristiano. I padroni delle grandi rivoluzioni erano già all’orizzonte, ma anche l’indebolimento della predicazione evangelica si faceva sentire come un elemento negativizzante. Fu in quella situazione storica,che i figli del Calasanzio sentirono forte l’impulso di dedicarsi alla formazione dei giovani e alla cura della famiglia cristiana. Da giovane calasanziano, san Pompilio sentì un grande fervore apostolico e desiderò essere autorizzato da Benedetto XIV quale missionario apostolico, ma, anche senza aver ricevuto l’autorizzazione formale, visse da missionario e anticipò, nel suo secolo, l’odierno impegno, consegnateci dal Papa, quello della nuova evangelizzazione.
Dalla Campania all’Abruzzo, alla Puglia, san Pompilio percorse in lungo e in largo le strade dell’Italia centro-meridionale, per portare il vangelo ovunque veniva chiamato. In questa sua missione
conobbe anche le avversità, interne ed esterne alla Chiesa, ma non desistette mai, anzi proprio mentre sperimentava a Lanciano e Pescara il peso della croce, capi che la sua chiamata era soprattutto
verso gli ultimi e i poveri.
La sua vita non era fatta solo di predicazione. ma prima ancora di preghiera. Sono molti i testimoni che raccontano delle sue estasi durante la celebrazione della Messa, dei suoi trasporti misti-
ci, della conoscenza profonda che aveva del cuore dell’uomo.
Durante la sua tappa a Lecce e, infine, a Campi Salentina, si fece stimare ed ammirare per il suo fervore spirituale, ma anche per l’amore verso i poveri. Due erano i poli della spiritualità del Pir-
rotti: l’Eucaristia e la Madonna.
L’Eucaristia, come deve essere per ogni buon sacerdote, era il sole della sua giornata, il sole della vita. Amava portare la gente all’adorazione eucaristica e anche l’insegnamento ai giovani aveva come fine ultimo quello di accrescere la fede nella presenza reale di Cristo. Anche la devozione a Maria, da lui chiamata Mamma bella, faceva parte integrante della spiritualità del nostro santo.
Per aiutare i fedeli e i giovani ad amare di più la madre del Signore, san Pompilio compose una «guida liturgico-pastorale» delle feste mariane più importanti. E nelle sue numerose lettere, ben studiate dal noto padre Tosti, troviamo innumerevoli accenni alla Vergine, con i titoli più singolari, quali: «Mamma santissima, Mamma bella, gran Signora». Il titolo più comune, che è stato diffuso dagli scolopi, ovunque hanno portato la memoria e la devozione del loro santo confratello, resta quello di Mamma bella.
Non c’è nulla di eclatante nella santità di Pompilio Pirrotti, ma la sua santità è quella che potremmo chiamare ordinaria, se con tale termine intendiamo santità di ogni giorno. È la santità del sacerdote che si dona interamente a Dio e alle anime.
I biografi sottolineano un tratto singolare della sua personalità ed è quello dello spirito comunitario che rifulge non solo nella sua permanenza ad Ancona, ma soprattutto a Campi, ove vive intensamente la vita comunitaria, partecipando alle gioie e ai dolori dei suoi confratelli, godendo nel vedere attorno a sé la sua comunità. Quando il 15 luglio 1776 chiuse gli occhi, ebbe la gioia di vedersi attorniato dai confratelli che raccolsero dalle sue labbra la parola del salmo 132:
«Quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme». Confessionale, altare e pulpito erano i luoghi dove si esercitava il ministero semplice ed umile di questo santo del Settecento. Ed è certamente utile rammentarne la memoria, anche per rinverdirne il ricordo delle virtù e sottolineare la perenne fecondità della testimonianza dei santi.