Alla ricerca delle menti perdute
Angelo Siciliano
[Ed. 04/12/2002] Trento – La follia, questa subdola sconosciuta, non fa differenza tra classi sociali o categorie professionali, nel senso che può cogliere chiunque, costringendolo poi ad un calvario personale, talvolta infinito e senza via d’uscita. Tuttavia, per quanto riguarda il suo trattamento e la sua cura, qualche differenza o meglio discriminazione l’ha sempre fatta, nel senso che i matti poveri erano affidati a qualche manicomio e lì gioco forza abbandonati, quelli ricchi potevano cavarsela molto meglio, in qualche clinica privata.
Quindi, la sventura peggiore per un matto era ed è quella d’essere povero. E la povertà, in questi casi, è sinonimo di solitudine, dimenticanza, abbandono anche da parte dei parenti prossimi, soprattutto quando ad avere il sopravvento è il pregiudizio. Cesare Zavattini diceva che i poveri sono matti.
Io mi ricordo com’era per i matti del Sud, dove trascorsi la mia giovinezza. Una volta, da ragazzino, assistetti, nel mio paese natio, Montecalvo Irpino, alla caccia data ad un pazzo, un vedovo di mezza età scappato lungo un vallone, tra lu Punticiéddru e la Ripicèddra. Inseguito e braccato come un animale selvatico, da decine di uomini, fu catturato, legato come un salame con una lunga corda, di quelle che si adoperavano per gli asini, e consegnato ai carabinieri davanti alla cantina Pirrotti, dove s’era addensata una folla vociante degna della fiera di Santa Caterina. I carabinieri, si seppe poi, l’avevano affidato al manicomio d’Aversa.
Di questo matto, negli anni successivi, non si ebbero più notizie. Come di tanti altri matti del paese che, una volta varcato il cancello di un manicomio, erano dimenticati, in quella sorta di reclusorio infernale, e ne uscivano solo da morti. La loro salma non era nemmeno reclamata dalla famiglia. Il funerale avrebbe aggiunto solo altra vergogna e fatto parlare la gente. Ma nel cuore delle madri di quegli sventurati permaneva una ferita che non si cicatrizzava.
Capitava pure che qualche depresso non finisse in manicomio, perché non era molesto. Se però il suo stato evolveva verso la demenza, allora era trattato come lo scemo del villaggio, diventando per anni lo zimbello di tutti.
Talvolta la follia irrompe improvvisamente nella cronaca nera, quando ci casca il morto, vittima, come si dice in questi casi, di un eccesso di follia di qualcuno, apparentemente normale o che qualche segno di squilibrio, in precedenza, l’aveva già dato. [Nativo]
[Credit│"Persone" - Dipinto di A. Siciliano]