Cappella Carafa – Il restauro
La relazione di G. Muollo
Giuseppe Muollo
[Edito 11/04/2003] Gentili autorità, eccellenza Reverendissima, Signor Prefetto, Signor Presidente, gentile popolo di Montecalvo Irpino, attraverso un’attenta opera di restauro conservativo stiamo mettendo in risalto le eccellenze che questa chiesa possiede. La cappella Carafa, Il battistero, i capitelli, le acquasantiere, il portale d’ingresso, i dipinti, le sculture, le epigrafi che testimoniano i momenti più importanti e più significativi della storia di questo tempio, come quello che stiamo vivendo questa sera, sono le eccellenze. Abbiamo cominciato con la facciata della cappella Carafa; e questo è solo l’inizio.
Il lavoro è lungo e richiederà tempi lunghi non solo per la delicatezza dell’intervento ma anche ed essenzialmente per la mancanza di finanziamenti.; abbiamo previsto saggi di scoprimento di intonaci nobili o di dipinture per verificare se in origine le pareti della cappella fossero dipinte o realizzate con una particolare tecnica di intonaco . E’ stato necessario intervenire sulla cappella per due ordini di motivi. Primo perché la cappella, per troppi anni abbandonata a se stessa, aveva subito l’incuria degli uomini ed i guasti del tempo. Era stata violentata in più punti da colature di cemento, da un maldestro sedicente restauro e da stuccature in cemento; l’inserimento poi di una balaustra aveva distrutto due degli stemmi in bassorilievo della famiglia Carafa: il Ramo degli Spina ed il Ramo della Stadera, ed inoltre quattro fori per l’inserimento di un cancello avevano asportato materia nei riquadri contenenti gli stemmi di famiglia. E’ stato necessario intervenire per la tutela del Bene predisponendo un progetto che tenesse conto non solo delle lacune, risolte con la ricostruzione artistica in base agli elementi esistenti nel contesto ritenuti sufficienti per poter procede ad una simile operazione ma intervenendo anche nel consolidamento del materiale lapideo molto degradato a causa della pietra, una arenaria porosa e morbida dai risvolti bluastri, di facile lavorazione ma di contro facilmente deperibile.
Una attenta pulitura meccanica e chimica dello sporco incoerente e delle stuccature in cemento, delle incrostazioni calcaree, l’estrazione di sali solubili, le stuccature delle lesioni e l’applicazione di prodotti disinfestanti o inibenti al fine di produrre godimento all’osservatore è il risultato di un’operazione che questa sera voi tutti potete ammirare. Una ragione non secondaria è stata quella di predisporre uno spazio degno per accogliere in culto di venerazione la Madonna dell’Abbondanza rinvenuta due anni orsono e di cui ricorre il 2° anniversario il prossimo 16 marzo. La teca in cristallo extrachiaro stratificato di spessore 10 decimi con illuminazione mediante sistemi di fibre ottiche a luce riflessa, strutturata in modo da offrire una effettiva tenuta attraverso l’utilizzo del gel di silice per la stabilizzazione passiva dell’umidità relativa, realizzata dalla GOPPION di Trezzano sul Naviglio conserverà sotto vuoto la sacra icona e la preserverà da qualsiasi attacco esterno. Una cappella dedicata al Salvatore del Mondo al Cristo quindi come si legge sull’architrave: ECCE SALVATOR MUNDI, che avrebbe dovuto celebrare i fasti ed il potere raggiunto dalla famiglia Carafa il cui capostipite fu quel Gregorio Caracciolo detto Carafa forse perché concessionario della Gabella sul vino, chiamata”Campione della Carafa”: La famiglia assunse sin dal secolo XIV una importanza notevole per la larga partecipazione alla vita politica e militare del paese e per la potenza feudale acquistata anche con alleanze matrimoniali che comportarono la divisione della famiglia nei due rami della Spina e della Stadera, divisisi a loro volta in una quantità di altri rami e di cui vi renderà edotti il prof.Cavalletti che interverrà dopo di me. L’apogeo della fortuna di questa famiglia fu toccato con l’elezione al soglio di Pietro di Paolo IV, nato a Sant’Angelo a Scala nel 1476, sotto i monti del Partenio, cardinale arcivescovo di Napoli dal 1536, uomo di grande rigidità morale, tanto da condannare all’esilio e privare della carica cardinalizia il nipote Carlo. Ed è proprio il secolo XVI il periodo di massimo splendore della famiglia che tenne non solo per quasi tutto il secolo l’arcivescovado di Napoli ma infeudò anche molti paesi dell’Irpinia e tra questi Montecalvo che divenne Contea nel 1525 con Sigismondo Carafa.
E proprio durante il pontificato di Papa Paolo IV esattamente nel 1556 fu portata a termine la cappella, commissionata da Giovanni Battista Carafa I, terzo conte di Montecalvo così come è possibile leggere sulla cimasa posta al disopra dell’architrave del portale d’ingresso alla cappella, costituito da due semicolonne scanalate, sormontate da capitelli compositi (ionico e corinzio),con al centro dell’echino un puttino alato e posizionate su due basamenti in pietra che recano lo stemma della famiglia Carafa; l’arco a tutto sesto con in chiave una voluta con decorazioni ha la ghiera costituita da un astragalo ad ovoli e le vele sono decorate con elementi floreali: margherite e forse pannocchie (simbolo dell’abbondanza); sui piedritti interni otto riquadri con gli stemmi della famiglia incrociati e nell’intradosso dell’arco altri sette stemmi di cui tre uguali ed esattamente quello della chiave di volta ed i primi due riquadri all’imposta. All’interno un piano attico delimitato da due fasce in pietra recanti un’iscrizione e quattro finestre leggermente strombate di cui tre aperte ed una chiusa in controfacciata. Sulla parete di fondo un arco a tutto sesto più grande rispetto al portale d’ingresso costituito da lastre di pietra. La cappella in origine era sormontata da una cupola ottagona, crollata con uno dei tanti terremoti che hanno funestato l’Irpinia, quello forse del 1794 così come riportato dallo storico Carlo Caccese nel suo lavoro pubblicato per i tipi dell’editore Pergola nel 1934 dal titolo “Monumenti Irpini” ma senza citare la fonte (devo la notizia all’amico prof. Cavalletti che qui pubblicamente ringrazio per i suoi grandi meriti a favore della conoscenza della storia di questo Paese) ed oggi coperta da un soffitto piano. In origine la cappella era chiusa su tre lati, due dei quali furono sfondati tra il 1694 ed il 1704, all’epoca in cui furono realizzate le due cappelle laterali ad essa, per il principio di renderle comunicanti tra di loro ed utilizzando per l’attuale cappella di San Felice uno dei vani di quella che in origine era una torre normannna perimetrale alla cinta muraria del castello all’interno della quale si sviluppava l’originaria cappella palatina trasformatasi nel tempo nell’attuale chiesa dalle splendide forme tardo gotiche. Sulla parete Est della torre sono ancora visibili i fori di travicello. La cappella non è un cenotafio (tomba vuota), né un sacello, almeno così come è pervenuta sino a noi, nonostante sulla cimasa è scritto: IOANNES BATTISTA CARRAFA COMES MONTIS CALVI OPTIMIS PARENTIBUS AC OMNIBUS COMITIBUS SACELLUM POSUIT MDLVI. Non vi è traccia di sarcofagi, né di altari, né di statue che pur ci sarebbero dovute essere se si guarda alle quattro nicchie vuote, sormontate da quattro tondi raffiguranti gli stemmi di famiglia, predisposte su quattro degli otto lati su cui si articola la cappella. Essa infatti ha pianta ottagona. L’ottagono è un poligono regolare di otto lati, costruibile facilmente mozzando ad un quadrato i quattro angoli retti.; esso si inscrive in un cerchio ed il cerchio a sua volta nel quadrato. Ad ottagono è il progetto di Michelangelo per San Giovanni dei Fiorentini a Roma. Sono le linee, le geometrie, i simboli propri del Rinascimento.
La forma quadrata era stata teorizzata da Leon Battista Alberti, ed il quadrato è il modulo in base al quale erano di solito costruiti i suoi edifici e non a caso il cubo che nasce dal quadrato è un vero e proprio principio di stile, il fondamento costruttivo delle figure di Michelangelo. La Madonna della Scala, opera di Michelangelo è seduta su una pietra che ha forma di un cubo, così nella Madonna Pitti del Bargello, nella Madonna della Sagrestia di San Lorenzo, e così quale motivo ricorrente, nella volta della Cappella Sistina, sia gli Ignudi che i Profeti poggiano su di un plinto di forma cubica. E del resto che la Chiesa sia ben fondata sopra la pietra solida lo dimostra il fatto che Simone è stato denominato Cephas dal Signore e Cephas è una parola caldea che significa pietra. L’architettura nuova, quella del Rinascimento, oppone agli squilibri ed alle esuberanze del Gotico l’equilibrio e la misura. E’ un vero e proprio cammino verso la perfezione e la pianta centrale è un organismo ritenuto in sé perfetto perché assomma i caratteri precipui del nuovo ideale formale:la compiutezza, la misura, l’ordine proporzionale e l’armonia razionale. Basti pensare al Brunelleschi alla cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze, all’Ospedale degli Innocenti a Firenze, alla forma perfetta dei suoi archi a tutto sesto,alla cappella eretta per la famiglia Pazzi a Firenze.
Durante il restauro abbiamo potuto constatare che il lapicida si serve del sistema di scrittura quadrilineare, in senso orizzontale e verticale per ordinare il testo in modo che nulla sia lasciato al caso e che le lettere abbiano tutte le stesse dimensioni . I solchi prodotti dall’incisione della pietra sono riempiti a niello vale a dire con una pasta di colore nero composta da argento, rame, piombo, zolfo e borace, tecnica questa molto antica ed usata principalmente in oreficeria. E’ stato pubblicato di recente un saggio sulla cappella Carafa di uno studioso israeliano Yoni Ascher dell’Università di Haifa, il quale prendendo le mosse dalla forma e lo stile della cappella, la ricollega all’architettura di Francesco di Giorgio Martini, ed in particolare ai suoi impianti nella città di Urbino. Lo studioso così facendo riapre la vexata quaestio tra gli studiosi circa l’influenza esercitata da Francesco di Giorgio, noto per le sue architetture militari, sull’architettura religiosa del secolo XVI a Napoli e la di cui forma suggerisce allo studioso un confronto con la cappella Chigi di Raffaello a Roma pur nella diversità delle decorazione e della policromia che risulta molto esuberante nella cappella romana rispetto alla semplicità di quella di Montecalvo e per quanto attiene alla plastica molto contenuta rispetto alle contemporanee cappelle napoletane, rivelando la nostra, modi e stile più arcaici, vale a dire più primitivi. Allo stato, quindi, non si conosce né il progettista, vale a dire il nome dell’architetto al quale Giovanni Battista Carafa commissionò il progetto della cappella né la bottega che realizzò i singoli pezzi che compongono la cappella vale a dire, il portale, le lastre dell’intradosso dell’arco con i bassorilievi degli stemmi delle varie casate imparentate con i Carafa né il nome del lapicida che realizzò le iscrizioni sul cartiglio all’interno della cimasa e lungo le lastre di coronamento del piano attico della cappella stessa.
Lo studio quindi è appena cominciato.
A parere di chi vi parla l’opera si inserisce nell’ambito della produzione plastica napoletana di primo Cinquecento ed è riconducibile alla Bottega dei Malvito, Tommaso e Giovantommaso,scultori lombardi provenienti da Como ed approdati a Napoli nell’ultimo quarto del sec.XV, quella stessa bottega che nel 1508 portava a termine quello che gli storici dell’arte definiscono il principale cantiere artistico napoletano del primo decennio del Cinquecento,il Succorpo nel Duomo,la cappella funeraria dedicata a San Gennaro,in cui erano state traslate da Montevergine le reliquie del Santo. Ed è qui ,in questo cantiere che si affina l’arte scultorea di Giovantommaso, molto superiore al padre in quanto a qualità esecutiva, con un disegno più accurato ed un modellato più morbido e pastoso. A lui ed alla sua bottega potrebbe essere assegnata la realizzazione della Cappella Carafa nella quale, pur nell’arcaismo delle forme,vale a dire nella ripresa di motivi e forme caratteristiche di una età ritenuta lontana rispetto al gusto del tempo, si avverte un gusto di delicata classica eleganza con una raffinatezza e morbidezza di intaglio, dove convivono novità e modi tradizionali propri di Giovantommaso;basti il confronto con la tomba di Ettore Carafa,posta nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli nella cappella dei Carafa Conti di Ruvo, – dove come ha ben dimostrato Letizia Gaeta la bottega dei Malvito è associata a quella del Belverte, artista bergamasco – e la tomba di Giovannello e Lucrezia de Cuncto nella chiesa di Santa Maria delle Grazie a Caponapoli ,opere certe di Giovantommaso. Nel secondo decennio del Cinquecento arriveranno a Napoli due Spagnoli Bartolomeo Ordonez e Diego de Siloe che informeranno di sé tutta la scultura napoletana del secondo Cinquecento,ma questa è un’altra storia. Un grazie a Don Teodoro Rapuano, entusiasta come pochi nell’edificare non solo il tempio di Dio ma anche lo spirito degli uomini. Egli inserendosi nella migliore tradizione della chiesa ha coinvolto in questo evento tutto il popolo facendo si che esso potesse affidare al Signore con un gesto simbolico i propri desideri ed i propri bisogni, lasciando un biglietto nell’alzata del gradino che regge l’icona della Madonna dell’Abbondanza.
[Crediti│Testo - sanpompilio.it]