Beni

  • Beni,  Beni artistici e storici

    Il Palazzo Peluso

    Montecalvo Irpino AV – Corso Vittorio Emanuele
    Il palazzo Peluso appartenne in precedenza alla famiglia Ciampone, che abitò a Montecalvo già nel XVI secolo. I Peluso, famiglia di famosi avvocati, abitarono invece a Montecalvo a partire dalla seconda metà del XVII secolo, stabilendosi in quella dimora che nel XVIII secolo fu dotata dell’attuale assetto. Venduto di recente alla famiglia De Julis, esso é stato successivamente e per ben due volte ceduto ad altri. Allo stato attuale, purtroppo, esso non è conservato nella sua integrità in quanto subì una parziale demolizione sul lato che va verso via S. Antonio. Tra gli elementi superstiti della facciata sul corso Vittorio Emanuele è l’ingresso, a sagoma mistilinea, inquadrato da un ricco portale in pietra scolpita. Esso è reso particolare dalla presenza di cornici con numerose modanature e, ai lati, di paraste impostate su un alto zoccolo e terminanti in un capitello scolpito con volute aggettanti. Volute più schiacciate rendono articolato il portale nella sua definizione laterale. Tangente ad esso è il balcone del piano nobile, che ha un profilo leggermente arcuato e circondato anch’esso da cornici modanate. In sommità, impostato su paraste laterali, è un accenno di timpano ricurvo, che si interrompe al centro per fare spazio allo stemma in pietra della famiglia Peluso. Oltre il suddetto balcone, l’originale facciata presentava una serie di otto balconi, in corrispondenza dei quali erano poste rispettivamente delle finestrelle quadrate con relative cancellate. Tra gli spazi interni sono superstiti le cantine estese per tutta l’area del palazzo. Particolare elemento di pregio è la presenza di affreschi settecenteschi conservati in alcune sale e nella cappella privata del palazzo. Parte dell’edificio è stata demolita dopo il sisma del 1980. [ Correlati: Nel Sito / Sul Web]

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]

  • Beni,  Beni etno-antropologici

    Ospedale di S. Caterina

    L’ospedale di S.Caterina sorse nel XIII secolo per volontà degli armigeri che, di ritorno dalla Terra Santa, lo costruirono addossandolo direttamente alla cerchia muraria. L’ospedale fu eretto accanto all’omonima chiesa, non più esistente, fondata alla fine dell’ XI secolo dai Crociati montecalvesi di ritorno dalla Terra Santa. L’esistenza, già a quell’epoca, di un ospedale è stata interpretata come segno del notevole livello raggiunto dalla società di Montecalvo, ove pare che si svolgesse una fiera intitolata anch’essa a S. Caterina e svolta nello stesso luogo. Più tardi sorse anche un altro ospedale, quello dell’Annunziata, ubicato fuori dalle mura. Nel 1518, grazie al conte Sigismondo Carafa, l’Ospedale e la chiesa di S. Caterina furono affidati a Felice da Corsano, religioso locale nonché fondamentale figura nella storia dell’Ordine Agostiniano. Un documento del XVII secolo rende note la quantità e la funzione degli ambienti che componevano l’ospedale, tra cui una stanza adibita a carcere, un’altra con grotta adiacente, due dormitori, otto celle oltre ai locali di servizio. L’Ospedale di S. Caterina è attualmente ricordato attraverso i suoi ruderi che mostrano, tuttavia, ancora gli ingressi: quello principale a sud, le altre entrate ad ovest. Chiaramente percepibile è l’imponente volumetria dell’edificio, in cui sono chiaramente definiti una torre tronco-conica ed un contrafforte.

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]
    [Credit│Foto - G.B.M. Cavalletti]

  • Beni,  Beni artistici e storici,  Chiese,  San Pompilio

    Inaugurata la ristrutturata Chiesa di San Pompilio Maria Pirrotti

    [Edito 15/07/2007] In una cornice di popolo festante, Domenica 15 luglio 2007, si è inaugurata la ristrutturata Chiesa di San Pompilio Maria Pirrotti, figlio prediletto ed orgoglio di Montecalvo e di tutta l’Irpinia. La realizzazione dell’opera si è resa possibile grazie alla generosità dei montecalvesi che in una sorta di gara solidaristica hanno raccolto la cospicua somma di 41.000,00 euro. Grazie al contributo spontaneo di alcune ditte locali, che hanno prestato la loro manodopera gratuitamente, i lavori sono stati avviati e proseguiti alacremente tant’è che il 15 luglio, data di ricorrenza della morte del Santo, era già tutto pronto per la grande cerimonia religiosa. Infatti già dalle prime ore di un pomeriggio caldo e soleggiato i fedeli sono accorsi numerosissimi ad affollare la piazza adiacente la chiesa e la casa natale del loro illustre compaesano. Puntuali alla cerimonia sono arrivati e presentati al popolo, in spirituale raccoglimento mistico, le numerose autorità civili e religiose che hanno voluto, con la loro presenza, testimoniare l’affetto e la grandezza della missione sacerdotale di San Pompilio M. Pirrotti. Ad accoglierle, in pompa magna, il sindaco Giancarlo Di Rubbo ed il parroco, vero artefice massimo del progetto, don Teodoro Rapuano che, davanti alla casa comunale per l’occasione vestita a festa e con le forze dell’ordine in grande uniforme, hanno ricevuto l’Arcivescovo metropolita della chiesa beneventana Sua Eccellenza Andrea Mugione, il prefetto di Avellino Dott.Rei, gli assessori provinciali: Franco Lo Conte, Eugenio Salvatore e Francesco Barra. La messa solenne è stata presenziata dall’arcivescovo metropolita e concelebrata insieme al clero montecalvese. Alla fine della funzione liturgica la chiesa è stata riaperta e visitata prima dalle autorità e poi dal popolo estasiato dal nuovo volto della chiesa. Le novità salienti apportate e scaturite dalla fervida e vulcanica mente dell’attivissimo don Teodoro, si evidenziano già con un primo colpo d’occhio alla facciata dove si stagliano campali due stemmi rappresentanti l’appartenenza uno al pontificato di Benedetto XVI e l’altro alla chiesa beneventana. In alto centralmente, al posto dell’antico rosone, è stata collocata una vetrata artistica finemente lavorata con l’effige del Santo a simboleggiare la protezione dall’alto dei cieli del suo paesello natio. Entrando, frontalmente, è stato riposizionato l’altare e risistemata la nicchia dove è collocata la statua e, nella parte inferiore, l’originaria e antica teca con la reliquia sacra del santo. Lateralmente si osservano a sinistra e a destra, due file di tre vetrate che rappresentano episodi ed elementi centrali della vita dell’apostolato pompiliano. Invece sulle pareti laterali sono stati fissati dei quadri, chiamate “Via Lucis”, rappresentazioni di episodi evangelici, create appositamente dal pittore-scultore romano, Antonio Zanini. I vecchi banchi sono stati sostituiti da più moderne e funzionali sedie con inginocchiatoio. Il vecchio pavimento invece è rimasto lo stesso ed è stato tirato a lucido ritornando al suo antico splendore. Ristrutturate e rimodernate anche la sacrestia e la vecchia stanza dove il santo si raccoglieva in meditazione. Questa opera è stata progettata e voluta in preparazione delle grandi manifestazioni che si svolgeranno nel 2010 in occasione del trecentanario della nascita di San Pompilio M. Pirrotti. [Nativo] [Foto Franco D’Addona]

    Redazione

  • Beni,  BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI,  Beni etno-antropologici

    Fregi dai motivi ispano-americano sui portali di C. Umberto in Montecalvo Irpino

    Montecalvo Irpino AV – I portali presenti in tutto il centro storico, in particolare in Corso Umberto, riportano nella chiave di volta fregi dai motivi ispano-americani, importati dai soldati spagnoli che in queste zone si stabilirono nei secoli passati. Non è difficile incappare in simboli quali facce di puma, foglie di marjuana, uccelli esotici.

    Redazione

    [Bibliografia di riferimento]
    [Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
    [AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]

  • Beni,  Beni etno-antropologici

    LA «SEKOMA» DI MONTECALVO IRPINO

    UN PO’ DI CHIAREZZA SULLA CORRETTA DATAZIONE – SEKOMA
    SEC. XVI
    …………………………………….
    SEKOMA
    III-II SECOLO A.C.
    […]
    ETA’ ELLENISTICA

    Giovanni Bosco Maria Cavalletti

    Sono, le soprascritte indicazioni, la sintesi di un dibattito che tra la primavera del 2010 e quella del 2011 animò la discussione culturale montecalvese.
    In tale periodo, le due distinte ma attigue segnaletiche turistiche campeggiarono contemporaneamente davanti all’ingresso della Casa Comunale di Montecalvo Irpino per indicare l’età dello stesso reperto.
    Una situazione tra il grottesco e il ridicolo che suscitava curiosità, ma anche sconcerto e incredulità.

    Cosa era successo? Molto semplicemente che in una revisione generale della datazione dei principali monumenti del paese e in seguito ad una mia consulenza che datava al XVI secolo il manufatto in questione, l’amministrazione comunale aveva provveduto a rettificarne la precedente cartellonistica che, di contro, lo datava all’epoca ellenistica.

    Sekoma – Targa descrizione manufatto

    A quel punto si sarebbe dovuto rimuovere il vecchio cartello, ma prima di farlo l’amministrazione comunale voleva l’autorevole parere della competente soprintendenza.
    A tale effetto, con nota prot. n. 7180 del 17 agosto 2010 avente per oggetto datazione manufatto denominato «sekoma», l’ente comunale chiedeva ai sostenitori delle contrastanti tesi di relazionare per iscritto in merito alle loro argomentazioni. Acquisite le relazioni, con lo stesso protocollo, veniva formalmente richiesto il parere della Soprintendenza Archeologica per le province di Salerno, Avellino Benevento e Caserta.

    Intanto, in attesa del responso, permanevano entrambe le indicazioni fino a quando, con nota del 04/04/2011, prot. Cl. 28.14.00/51, inviata al Comune di Montecalvo, alla Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici di Salerno e Avellino, nonché all’Ufficio Archeologico di Avellino, la Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta, poneva fine al dubbio dando la seguente risposta, regolarmente notificatami dal Comune di Montecalvo con lettera del 07/05/2011, prot. n.3915, avente per oggetto «Richiesta datazione manufatto denominato “Sekoma”»:

  • Beni,  Beni archeologici

    IL POSTO DELLE ASCE DI PIETRA A MONTECALVO IRPINO

    Angelo Siciliano

    [Edito 05/09/2005] Una quarantina d’anni fa, usciva nelle sale cinematografiche un film del regista svedese Ingmar Bergman, “Il posto delle fragole”. Lo trovai bellissimo, per i rimandi metafisici e surreali che riusciva a trasmettere. Era incentrato su un maturo professore che, a coronamento della propria carriera, stava per ricevere il premio Nobel dagli accademici di Svezia.

    La notte che precedeva la premiazione, egli faceva un sogno particolare: si rivedeva bambino nel luogo degli affetti, dov’era cresciuto serenamente con i familiari. Un posto tranquillo, con un giardino con le fragole. Evidentemente si trattava di un luogo idealizzato. Poi, un carro funebre, trainato da un cavallo imbizzarrito, andava a sbattere contro un lampione. Nella bara che scivolava a terra, e il cui coperchio saltava via nell’impatto, c’era proprio il professore.

    Asce di pietra a Montecalvo Irpino

    A Montecalvo, io non ricordo che vi fossero fragole in passato. Forse ora le coltivano in serra. Tuttavia, il mio posto delle fragole è sempre stato qui: la Costa della Menola, a scendere giù, fino alla Ripa della Conca. Questa campagna coltivata per secoli, fino agli anni Settanta del Novecento, forse perché condotta a coltura promiscua, con ogni tipo d’albero da frutta, appariva come un eden. Ora è in buona parte abbandonata e selvaggia, e alberi selvatici la infestano e soffocano da ogni parte. Ma è anche un contesto archeologico devastato. Come risulta d’altronde tutto il territorio montecalvese. E nel resto dell’Irpinia non è che le cose vadano meglio.

    Il luogo del ritrovamento (costa della menola)

    I ritrovamenti di reperti archeologici, qui sono sempre stati casuali e sporadici. Gli strati, accumulatisi nelle varie epoche, non sono sovrapposti in regolare successione temporale, ma risultano quasi sempre sconvolti e mescolati. E ciò a causa dei disboscamenti, per la messa a coltura della terra, a partire da quando l’uomo, da cacciatore e raccoglitore, scelse di diventare stanziale. L’uso della zappa, poi dell’aratro trainato da muli o buoi, e dei trattori nel Novecento, e ultima l’introduzione di scavatori per il livellamento del terreno e lo scavo di buche per i nuovi impianti d’ulivi o noci, finanziati dall’ente pubblico, hanno portato ad un paesaggio molto diverso da quello preistorico e quelli successivi, osco-sannitico prima e romano poi. E di non secondaria importanza sono l’erosione del terreno e i franamenti provocati da acqua e neve, associati all’intervento umano non sempre corretto e rispettoso dell’ambiente. Anche i tanti calanchi che si vedono in giro, al di là della conformazione del territorio, sono una chiara testimonianza del prolungato dissesto geologico.Nel territorio montecalvese, che io ricordi, non sono mai venuti alla luce reperti preziosi, anche se le leggende narravano del ritrovamento fortuito di qualche vaso interrato, pieno di marenghi d’oro, la saróla cu li mmarénghi, per spiegare un arricchimento di qualche famiglia contadina, che agli occhi della gente appariva come improvviso. Tuttavia va detto, che ogni reperto ritrovato, anche quello in apparenza insignificante, è sempre da considerare importante, perché contribuisce a farci capire chi ci ha preceduto sul nostro territorio e come ha vissuto.

  • Beni,  Beni etno-antropologici

    Convento S. Antonio da Padova di Montecalvo Irpino

    Mario Aucelli

    [Edito 00/00/00] La famiglia francescana di Montecalvo Irpino vive all’ombra del convento di S. Antonio all’entrata del paese. Il convento, da sempre residenza dei frati minori , fu costruito intorno al 1600, distrutto molte volte dal terremoto, oggi si presenta come una struttura moderna e funzionale. Annessa al convento e alla chiesa di S.Antonio da Padova, c’è l’Oasi Maria Immacolata. Il convento rappresenta il punto di aggregazione degli amici di S. Antonio per rinfrancarsi spiritualmente e portare a tutti il messaggio cristiano di Pace e Bene. Nel 1222 San Francesco d’Assisi, percorrendo le antiche vie romane, andava pellegrino al Santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. Montecalvo, centro strategico sulla via IGNATIA (al di sopra di Casalbore), lo vide passare non lontano e conservò il ricordo della sua predicazione e del suo insegnamento. Il seme gettato dal poverello di Assisi germogliò subito a Montecalvo grazie alla devozione a uno dei suoi figli più grandi: S. Antonio.

    Nel 1520 Papa Leone X, con la bolla Esponi Nobis Nuper, accondiscese alla richiesta di Sigismondo Carafa, primo conte di Montecalvo, di poter costruire un monastero per i minori riformati di San Francesco.

    Nel 1626 cominciavano i lavori per il convento di Sant’Antonio. In quell’occasione, si racconta, un frate piantò Il tiglio (ormai vecchio di quattro secoli) che si ammira di fronte al monastero.

    Nel 1631 le opere di costruzione del convento furono portate a termine, grazie soprattutto alle donazioni della famiglia dei duchi Pignatelli e alle offerte del popolo. La struttura comprendeva tre bellissimi chiostri, quello d’ingresso affrescato con figure e scene giottesche. La fine dei lavori coincise con la rinascita francescana nel Sannio e nell’Irpinia e con la fondazione della Provincia dei frati minori di Sant’Angelo (FG). Vari terremoti hanno minato l’impianto architettonico originario del convento. In particolare: i sismi del 1688, 1702, 1731, 1930, 1962. Il terremoto del 21 agosto 1962 decretò la fine della struttura seicentesca.

  • Beni,  BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI

    La Masseria Stiscia

    Antonio Stiscia

    [Edito 23/04/2005] La Masseria Stiscia è databile alla metà del 1600, e comunque edificata su più antiche vestigia, legate alla presenza delle Bolle della Malvizza e all’antichissimo Tratturello che da Casalbore attraversava la Malvizza e si congiungeva al Grande Regio Tratturo (Pescasseroli-Candela) nonché alla Via Traiana, per sconfinare nelle fertili pianure pugliesi. La masseria Stiscia occupa la parte centrale di una vasta area (Campana) di circa 1 Ha  e comprende mandrie, ovili, pollai, orti e una sorgente. La mancanza di strutture difensive, testimonia una certa tranquillità del sito, dovuta anche alla presenza di un posto di guardia e/o stazione di sosta per i cavalli (Taverna del Duca), lungo uno delle direttrici più antiche. La masseria ha dato comoda ospitalità fino a 30 persone, in quella straordinarie famiglie patriarcali, dove vi era un saggio e proficuo utilizzo della forza lavoro e una rigida divisione dei compiti. La famiglia era composta da un Patriarca, dalla moglie, dai figli maschi con le rispettive mogli e figli, e dalle figlie nubili.Ognuno aveva degli spazi alloggiativi propri, nel mentre la grande cucina e sala da pranzo, vedeva allo stesso desco l’intero nucleo familiare, che si ampliava enormemente con l’aggiunta dei tanti braccianti durante la mietitura. La presenza di 2 grandi Stalloni (Cavalli e Vacche), di 1 piccionaia, di 2 grandi ovili, di grandi recinti per i cavalli (malvizzani), e le tante camere da letto, con numerose  altre costruzioni, posizionate perfettamente sull’aia, davano alla struttura la configurazione di una piccola cittadella autonoma,considerando la notevole estensione dei terreni da coltivare  300 Ha circa, (compreso il feudo di Pietra Piccola), posti anche nei territori dei vicini Comuni di  Casalbore, Castelfranco, Ginestra, Ariano. [Nativo]

  • Beni,  Beni artistici e storici,  Chiese

    La Chiesetta dedicata a San Gaetano Thiene in C/da Malvizza

    Antonio Stiscia

    Masseria Stiscia sec. XVII

    [Edito 23/04/2005] Mi sono deciso a scrivere questo piccolo saggio, non per divulgare o promuovere qualcosa, ma solo per rispettare la tradizione storica e religiosa di questa terra,che insegue le mode e ingigantisce le normalità, dimenticando i valori e le tradizioni fondanti.
    E’ proprio strano, ma sa di rancido, questo esasperato ecumenismo, intriso di goliardia e dionisismo, frutto del protagonismo e non della vera fede. Altro non può essere,se si pensa al chiaro contraddittorio porsi nei confronti dei sentimenti umani e delle miserie della vita.Come può accadere che incredibili testimonianza di vera fede e nobile tradizione,vengano abbandonate alla sicura distruzione ed all’oblìo? Forse perché viene graduata la spiritualità dei luoghi in base alla loro grandezza e magnificenza? Non è stato proprio il Poverello di Assisi,ad insegnarci che il Buon Dio abita le case più umili e le chiese abbandonate (Porziuncola)?

  • Beni,  BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI,  Beni artistici e storici

    In difesa del centro storico

    Carlo Cavotta

    [Edito 00/00/2004] Passeggiare lungo le strade del centro storico di Montecalvo, rito che peraltro compio sempre con estremo piacere, è occasione per partorire valutazioni e osservazioni foriere di sana frustrazione. Visitare e perlustrare altre realtà cittadine, limitrofe o lontane che siano, qualche volta più sfortunate della nostra, è motivo di ulteriore avvilimento, che si origina dalla comparazione delle nostre condizioni urbanistiche con gli assetti decorosi che altre comunità hanno saputo dare ai propri luoghi.
    Alle rovinose aggressioni dei cataclisma, succedutisi nel corso della storia, hanno fatto seguito, con conseguenze non meno dannose, l’incuria e l’imperizia di chi è stato chiamato a tutelare il nostro territorio, di chi, forse per incapacità o negligenza, non è stato in grado di preservare le antiche vestigia della bella Montecalvo.
    E’ scoraggiante constatare, giorno dopo giorno, lo stato di abbandono e degrado a cui è stato condannato il nostro amabile centro storico, relegato ad un luogo di fugace passaggio o ad un peripatetico trastullo.
    Comunità, ispirate da alto senso civico, hanno reso il centro storico lo spazio vitalizzante di ogni attività, l’area in cui consumare le esperienze quotidiane, il momento centrale della vita cittadina. Perché da noi questo non è possibile? Qual è il progetto sul nostro centro storico?
    Credo che manchi un reale disegno lungimirante, un investimento culturale di ampi orizzonti. Montecalvo non può permettersi altri differimenti: si rende urgente e necessario intervenire. In che modo?
    In primis, convogliare nel centro storico interessi, attività, iniziative.
    Sarebbe stato opportuno, in tal senso, spostare gli ambulanti, accorsi in occasione della fiera di Santa Caterina, allocare stands e banchi espositivi lungo Corso Umberto; si sarebbe potuto installare anche nella zona antica le luminarie natalizie. Si potrebbero prevedere sussidi e sconti fiscali per chi intenda trasferire la propria dimora nel centro storico; favorire allo stesso modo l’apertura di attività commerciali; occupare immobili abbandonati e utilizzarli come sedi di associazioni, circoli, partiti; elaborare la possibilità di rendere lo spazio isola pedonale, se non permanente, almeno ogni domenica, data l’affluenza dei fedeli presso la chiesa Collegiata. Il tutto sorretto da un serio programma di interventi urbanistici e architettonici, diretti a preservare e soprattutto ristrutturare, nel pieno rispetto dei canoni estetici e dei criteri normativi, gli spazi e gli edifici in rovina. Ben vengano le opere di recupero, ma che siano compiute con gusto, con cura e con l’attenzione rivolta al possibile utilizzo del bene: non si interviene per stravolgere bensì per abbellire e funzionalizzare. Si predispongano incontri, tavole rotonde attorno alle quali confrontarsi pacificamente, con spirito collaborativo e prospettive di feconde finalità.
    Perché attendere?
    Costa dell’Angelo non può soffocare sotto le lastre di cemento che ne hanno deturpato la grazia; corso Umberto soffre una pavimentazione di basolato frammista a cemento e catrame; i vicoli che si inerpicano fin su a Santa Maria meritano più decoro e valorizzazione, al pari dei vichi che da corso Umberto in picchiata si tuffano in Via Santa Caterina, in via Lungara Fossi o verso il Tappeto. E basterebbe veramente poco: pulizia, riassetto pavimentazione e illuminazione. Il Trappeto, gioiello del nostro centro storico, dichiaratamente castigato e condannato all’oblio.E si potrebbe continuare, ma qui ora non preme fare elencazioni. Urge assolutamente intervenire!!
    Io, giovane di Montecalvo, amante della mia terra, elevo un grido: difendiamo il centro storico. [Credit│alternativapermontecalvo.it]