Beni
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Le BOLLE della MALVIZZA
Mario Sorrentino
[Edito 00/00/0000] Viene così chiamato un luogo in cui si manifesta un fenomeno di vulcanesimo minore con fango perennemente ribollente.
Nelle immediate vicinanze di questo posto dal nome un po’ sinistro sorgeva un tempio italico molto probabilmente dedicato alla dea Mephites, divinità importante nel pantheon sannita. Era una dea che si ritiene sia stata collegata ritualmente agli Inferi e, di conseguenza, all’alternarsi delle due opposte stagioni della primavera e dell’autunno, come la Proserpina latina e la greca Persèfone, e, cosa rilevante per la Malvizza (che era crocevia di tratturi e importante stazione dell’antico e principale tratturo tra Pescasseroli (Abruzzo) e Candela (Puglie), questa dea era anche invocata nei culti di fertilità degli animali (pecore,essenzialmente) che a milioni di capi transitavano e si fermavano in questo nostro luogo in primavera e in autunno. La transumanza che interessava il nostro territorio sino alla metà degli anni ’50 del secolo appena trascorso era cominciata nei lontanissimi tempi preistorici, prima di tutto come migrazione spontanea delle mandrie degli animali bradi, richiamati alternativamente dai prati estivi di montagna e quelli invernali di pianura; per finire poi come spostamento organizzato da parte delle varie civiltà umane succedutesi nei territori attraversati dal tratturo (da noi, popoli della civiltà appenninica, sanniti, romani, ecc.)
Dobbiamo al dott. Roberto Patrevita, del museo archeologico di Ariano Irpino, l’informazione che alla Malvizza sono stati trovati, durante gli scavi per un invaso d’irrigazione, alcuni reperti di un tempio italico, tra i quali una antefissa di terracotta del frontone del tempio, con su effigiato in rilievo un volto femminile visto di profilo, probabilmente proprio quello della dea Mephites. Il prezioso reperto si trova attualmente a Benevento, custodito dalla “Sovrintendenza per i beni archeologici delle province di Benevento, Avellino e Salerno” (non sappiamo se visibile per il pubblico).
Sempre il dott. Patrevita ci ha informati che templi italici dedicati alla dea Mefite erano dislocati un po’ dappertutto lungo il percorso del tratturo Pescasseroli-Candela, tra i quali, non lontani dalla Malvizza, quello di Casalbore, altra importante stazione del tratturo (probabilmente distrutto durante la seconda Guerra Punica, nel 217 a.C.) e un altro nel territorio di Greci, i cui reperti sono custoditi nel museo archeologico di Ariano Irpino.
In una delle nostre immagini è possibile scorgere in distanza la quercia centenaria che domina solitaria gli scavi di Aequum Tuticum. [Nativo]
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Il PONTE delle CHIANCHE
Mario Sorrentino
[Edito 00/00/0000] Ponte romano della Via Traiana, costruito all’inizio del II° sec. d.C. Ha tre arcate ancora esistenti con una quarta arcata separata dalle rimanenti interamente e malamente ristrutturata con materiali non originali. Sussiste anche quasi integra la pavimentazione del piano viario di bàsoli, chiamati nel dialetto locale “chianche” (da cui il nome attuale del ponte). Si trova a circa due chilometri verso valle, in direzione del fiume Miscano. Serviva a superare un torrente ora quasi asciutto.
Opera probabile di Apollodoro di Damasco, architetto e scultore, al quale la critica moderna, oltre alle opere già attribuitegli dagli scrittori classici, ha aggiunto, tra le altre, il Foro di Traiano di Roma, con la celebre Colonna istoriata con bellissimi bassorilievi sulla guerra in Dacia dell’imperatore, ed anche, per ciò che ci interessa qui, l’Arco di Traiano di Benevento (v. R. Bianchi Bandinelli, alla voce “Apollodoro di Damasco”, in “Encicl. Dell’Arte Ant.”, Roma, 1958). L’Arco di Benevento fu inaugurato dallo stesso imperatore, nel 114 d.C., come porta a capo della Via Traiana realizzata nel biennio 109-110, alla biforcazione con la più antica via consolare dell’Appia, entrambe conducenti a Brindisi.
Una somiglianza illuminante sulla probabile attribuzione del Ponte delle Chianche ad Apollodoro è quella esistente tra le facce delle arcate di questo ponte e quello certamente più maestoso sul Danubio, a Dobreta (Romania), sicuramente opera dell’architetto preferito di Traiano, a sezioni trapezoidali, che però nel ponte di Buonalbergo possono decifrarsi con difficoltà, dato che il suo rivestimento litico originario giace disperso nel greto del torrente. [Nativo] -
Scavi archeologici di AEQUUM TUTICUM
Mario Sorrentino
[Edito 00/00/0000] Aequum Tuticum era uno degli oppida che fungeva da capitale federale dei Sanniti, oltre che per la sua importanza come una delle principali stazioni dei tratturi della transumanza risalenti alla civiltà appenninica pre-sannitica, anche come centro di riunione dell’intero popolo dei Sanniti ( tuticum è aggettivo derivante da touto = “popolo” in osco) quando dovevano esser prese importanti decisioni politiche in pace o in guerra.
La quercia visibile in una delle immagini può far pensare al culto alla dea Kerres (il nome quercia nella forma dialettale locale deriva infatti dal nome della dea: Kèrres>Kèrs>Cèrz-a). E la capacità rigenerativa secolare delle querce, per mezzo dei polloni che accestiscono alla base dei loro tronchi non esclude che proprio lì ci fossero una o più querce sacre agli abitanti di Aequum Tuticum.
Dal sito archeologico sono visibili a uno due chilometri di distanza le “Bolle” mefitiche della Malvizza (territorio di Montecalvo Irpino), dove esisteva un tempio italico dedicato alla dea Mefite [Nativo] -
Le lapidi di Aequum Tuticum
Francesco Cardinale
Il Lapidario di Aequum Tuticum è stato rimosso dalla baracca di Sant’Eleuterio, dove le lapidi erano state sistemate provvisoriamente, per essere trasportate nella villa comunale presso il Museo della Civiltà Normanna. Questa operazione è stata promossa dalla soprintendenza e dall’assessorato alla cultura del Comune di Ariano Irpino. Le lapidi sono state posizionate in parte all’interno del Castello e in parte all’esterno, nei pressi dell’ingresso al Museo. Le foto qui allegate mostrano i reperti quando erano ancora nel loro luogo d’origine.
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Ponte di S. Spirito o del Diavolo
Con questo ponte la Via Traiana superava il torrente di Ginestra alla confluenza con il fiume Miscano. Qui, nel 1970, fu trovata un’epigrafe, oggi collocata nel museo provinciale di Avellino e corrispondente al numero di inventario ventitre. Si tratta di un blocco di pietra (alto 130 cm, largo cm. 87 e spesso cm. 40) che reca incisa l’iscrizione, trascritta ed integrata da Consalvo Grella, ex direttore del museo provinciale di Avellino, “IMP.CAESAR DIVI NERVAE F. NER VA TRAIANUS … AU G. GERM (ANICUS) DACICUS PARTHICUS PONT MAX TR. POT.XX IMP.XIII COS. VI P.P. VIAM TRANSLATAMQUE IMPETU? FLUMINIS …..DESTRATUR. SUA PECUNIA IN. LOCO TUTIORE RESTITUIT”. Ruderi di maggiori dimensioni erano ancora visibili nel 1854, quando lo storico Cirelli scriveva di “una colonna miliaria con numero XVI, benché guasta nell’iscrizione.Tuttora (1854) noi l’abbiamo ocularmente veduti, esistono di tal ponte i ruderi di due archi ed uno intero pilastro”.
G.B.M. Cavalletti
[Bibliografia di riferimento]
[AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]
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Chiesa di San Pompilio Maria Pirrotti
La chiesa fu edificata in epoca fascista su una parte dell’antico palazzo Pirrotti, di cui occupa alcuni locali a pianterreno. Il suo valore specifico è nel legame al santo, che nacque a Montecalvo nel 1710 e che si distinse per la sua attività in campo educativo e apostolico. La parete esterna della chiesa mostra l’immagine della Madonna di Montevergine, che la tradizione indica come interlocutrice di San Pompilio durante le sue visite in paese. Sulla facciata, caratterizzata da un’accentuata concavità, sono visibili, tra le altre, due lapidi commemorative che riportano gli epigrammi distici elegiaci dedicati al Santo da Papa Leone XIII in occasione della sua visita a Montecalvo nel 1839, nell’ambito del processo di beatificazione. La chiesa conserva alcune statue e tele del XVIII e XIX secolo ed altre opere più antiche dell’edificio stesso, aventi diversa provenienza. Si ricorda l’altare del 1882 , dedicato a S. Niccolò da Tolentino e proveniente dalla scomparsa chiesa di S. Caterina. Dalla chiesa del SS. Corpo di Cristo provengono i due lampadari d’ottone. Della fine del Settecento sono le due statue di S. Pompilio e dell’Immacolata. La chiesa dà accesso all’interessante archivio-sacrario dedicato al Santo, dove, oltre a lettere autografe e documenti vari ( ad esempio i distici di Papa Leone XIII del 1899), sono visibili alcune opere d’arte ed oggetti utilizzati da S. Pompilio. Tra essi la pianeta, il confessionale e l’altare sormontato da una pala raffigurante la “Madonna della Consolazione, San Pietro Martire e il Beato Felice da Corsano”, proveniente alla scomparsa chiesa di S. Caterina o forse la “Madonna dell’Abbondanza, San Francesco di Paola e S. Giovanni di Colonia”. Una leggenda è, invece, legata alla presenza del duplice ritratto ad olio su tela di S. Pompilio (un originale ed una copia) giacché si narra che, nel momento esatto in cui il Santo spirò in Campi Salentina (Le), il fratello Michele sentì bussare al palazzo di famiglia a Montecalvo, ove trovò, appoggiato alla porta, il quadro in questione.
[Crediti│Testo - CTC Centro turismo culturale │Immagine - Google Maps]
Redazione
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Visita alla casa generalizia delle scuole pie
[Ed. 01/04/2003] Roma – Visita alla casa generalizia delle scuole pie. Foto Franco D’Addona
Redazione
Didascalie
- Statua di S. Pompilio M. Pirrotti Venerata nella chiesa di S. Pantaleo delle Scuole Pie.
- Altare che custodisce il corpo di S. Giuseppe Calasanzio fondatore delle Scuole Pie
- Il letto ove mori S. Giuseppe Calasanzio
- Cella di S. Giuseppe Calasanzio – Scrittoio
- Il reliquiario che conserva, incorotti, la lingua e il cuore del santo di S. Giuseppe Calasanzio
- Una delle tele di S. Pompilio Pirrotti custodite nella pinacoteca della casa generalizia
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La LAPIDE di contrada PRATOLA
Mario Sorrentino
[Edito 28/03/2011] Lapide apparentemente di marmo, ora scomparsa, ma certamente esistente sino al 3 novembre 2003 (come provano queste immagini). Era usata come coperchio di una fontana abbeveratoio in località Pratola di Tressanti (territorio di Montecalvo Irpino). Delle dimensioni di cm. 40 x 60, recava incisa la seguente epigrafe che non risulta repertata nel Corpus Inscriptionum Latinarum:
“GAVOLEIAE . P . F . R(VFAE)
O . SEPPIO . Q . F . RVFO
EX . TESTAMENTO
ARBITRATV
CRITTIAE . M . F . POLLAE”,
la cui traduzione probabile è “Morto Quinto Fabio Rufo Seppio, per testamento e (successivo) arbitrato di Crizia Paolina, mater familiae, ( la cosa su cui insiste la presente lapide) appartiene a Gavoleia (?) Rufa, pia foemina.”
Questa era l’unica epigrafe non funeraria esistente in prossimità di un ager romano probabilmente urbanizzato ai tempi di Cornelio Silla (I sec. a. C.), in località Pratola di Tressanti (v. Sez. n. ). [Nativo]
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Montecalvo. Presentazione del restauro registro battezzati anni 1699-1716
Giovanni Bosco Maria Cavalletti
Una meravigliosa storia nell’affacinante contesto del Settecento montecalvese.
Tratto dalla mia relazione:
“… Rimasugli di secoli si addossavano gli uni agli altri rievocando tempi di gloria e di abbandono. Il grigio argenteo delle ragnatele, illuminate dal fascio improvviso di luce penetrato dalla porta sospinta, si rifletteva sulle pareti e sulle cose. Aveva avuto, netta, la sensazione di essere atteso in quella stanza. Penetrò con lo sguardo la trama d’argento.
Frammenti del tempo erano sparsi dovunque. Eppure da essi, impalpabili, lucide scie si componevano in disegni finiti e consumati. Vissuti. Ma c’era dell’altro, lo sentiva.
Avvertiva un richiamo istintivo, necessario. Avanzò con cautela, timoroso di rompere quello strano, affascinante equilibrio. Un rumore leggero, un fruscio, quasi un sussurro, accompagnò un lievissimo sfarfallio delle ragnatele. Trepidante, come in attesa, si senti scivolare in una strana dimensione, come avvolto dal tempo. Mamma Bella! – Esclamò…
…
… La fisicità della morte ancora promanava dall’aria. Era presente nella memoria e nei luoghi, nelle tracce di bruciato come nell’acre odore della calce cosparsa a coprire e a cancellare.
Era lì, tra i vivi, angosciante negli echi sopiti degli urli, terrificante nei silenzi degli sguardi impotenti.
Rievocata dai fumi d’incenso, prodighi ma insufficienti a coprirne i vapori esalanti dalle cripte.
Non erano bastate le fosse di sepoltura: Santa Maria, San Sebastiano, Santa Caterina, il Santissimo, la Buona Morte, Sant’Antonio, l’Angelo…, si era ricorsi alle fosse comuni.
Sentimenti di intensa pietà, misticismo, ambizione di poteri straordinari, magia: questo il variegato scenario, surreale, apparentemente normale nella pratica indifferente del popolo che la quotidianità affollava di esperti fattucchieri, mavari, ianare e occhiarole, e con essi, le storie raccontate ai guizzi dei caldi camini invernali, o sulle afose aie d’estate intorno a covoni sempre più magri di grano, in tuguri di tufo già risuonati di pianto, bisognosi di forti esorcismi…” -
In dirittura di arrivo il restauro del Castello di Montecalvo
Alfonso Caccese
[Ed. 14/01/2005] Montecalvo Irpino AV – Continuano a ritmo costante i lavori di recupero del castello Pignatelli del nostro paese. Situato alla sommità del paese, sorge sui ruderi di una vecchia fortezza di epoca romana e domina tutta la “Valle del Miscano” aprendo l’orizzonte fino alle montagne del Matese. Rappresenta una delle poche testimonianze del passato giunte a noi quasi intatte. Costruito dai Normanni, in origine costituiva una fortezza prettamente militare, ma nel corso dei secoli si è trasformato in residenza di principi e signori governatori del luogo. Intorno ad esso, dal milletrecento in poi, si sono edificati palazzi gentilizi e religiosi , di cui si possono osservare ancora le strutture, facendolo diventare il nucleo fondamentale della vita del paese.
Sede di scuole ed uffici comunali, durante l’era fascista diventa luogo di esercitazione per i giovani “Balilla”, nelle adunanze, oramai storiche, del Sabato fascista. Sempre danneggiato dai vari terremoti nelle varie epoche, semidistrutto dal sisma del 1930, è definitivamente distrutto, come la gran parte del centro del paese, dalla scossa tellurica dell’Agosto 1962. Nel 2002, dopo quaranta anni, sono iniziati i lavori di rimozione e pulitura dalle macerie ed un tentativo di recupero per ridare vivibilità a questo luogo , unica testimonianza del passato autentico nelle storia di Montecalvo Irpino.
Nella riunione di giunta del 3 settembre (2004) ultimo scorso, è stato approvato e messo in appalto il progetto esecutivo dei lavori del lotto A di “Recupero del Castello Ducale Pignatelli, inserito nel finanziamento del PIT- Regio Tratturo – Itinerario culturale. L’importo totale dei lavori è di Euro 1.987.242,38 (circa 4 miliardi delle vecchie lire), in base al progetto redatto dalla amministrazione – tecnico – provinciale, nelle persone dell’ Ing.Franco Aucelli e dell’Arch.Antonio Sorrentino, prevede la riqualifica strutturale, storico e culturale, del castello Pignatelli . [Nativo]