Cultura e tradizione

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    La Pacchiana

    Breve descrizione del costume tipico Montecalvese

    Antonio Stiscia

    [Ed. 18/02/2005] Quando si parla di pacchiano,nel gergo corrente ,ci si rifà ad un modo di essere e di vestirsi stravagante e appariscente privo cioè di quella classe e/o di quel decoroso equilibrio che  offende i canoni della bellezza estetica.
    Non è certamente il nostro caso, il termine PACCHIANA, nella originaria etimologia, si rifà ad una manifesta voglia di divertimento, di allegria, un miscuglio di odori e sapori, di canti e tarantelle che facevano pensare alla Pacchia.
    Il costume montecalvese “La Pacchiana” ;non può considerarsi nemmeno tale per il semplice fatto che viene indossato, ancor oggi, da molte donne anziane fatto questo che lo rende un reperto vivente storico, culturale, antropologico in continua evoluzione.

    Descrizione del vestito-costume

    Intimo
    Mutandoni ampi lunghi fino al ginocchio, arricchiti di merletti(puntine) di varie forme, spessori e colori, che si intravedevano nei momenti più o meno naturali del corpo e che si manifestavano durante i balli sfrenati del tempo-tarantelle… Particolarità dei mutandoni è che prevedevano uno spacco nel mezzo per consentire il rapido e riservato esercizio degli elementari bisogni corporali..
    L ‘effetto, sicuramente sexy, veniva accentuato dalla presenza di Calzettoni di lana spessa, di colore nero, fermati a mezza coscia con nastri e reggi calze a molla.
    I calzettoni venivano realizzati con una tecnica particolare, con 3 o 4 ferri di acciaio, che consentivano la realizzazione delle calze, quasi su misura, della fanciulla o signora che fosse, conservando quella tenuta e aderenza, necessaria nei tanti momenti della vita. (continua)
    La camicia e il sottanino erano la biancheria intima, la cui funzionalità e rimarcata dalla parola, la particolarità era dovuta alla tramatura del tessuto che significava la condizione sociale della donna, ma sempre con una finezza, grazia e sapiente utilizzo dei materiali.
    Le Scarpe venivano realizzate in cuoio e pelle dagli abilissimi artigiani montecalvesi (scarpari) il cui altissimo numero oltre 100, per tutto il decorso secolo,rappresentarono una formidabile realtà economica per il paese.
    Le scarpe di Montecalvo, realizzate su misura, conobbero un successo territoriale grandissimo, alcuni scarpai meritarono l’appellativo di maestri (masti) per la perfezione e la bellezza delle loro creazioni.
    L abito vero e proprio era cost composto:
    Gonna in lana castorino di colore nero, con applicazioni in cotone e/ o filo bianco, solo sotto la parte inferiore, quella cioè non coperta dal vantesino.
    Vantesino: parola di chiara derivazione latina (ante- sinum) a significare la particolare destinazione del manufatto.
    Realizzato in panno di lana di colore verde erba, con  ricami, applicazioni (varianti in stoffa anche di colore nero, di seta in bianco con ricami a rilievo e perline nel vestito da sposa).
    Corpetto: avente la chiara funzione strategica di sorreggere il seno anche alle poco dotate, era realizzato in panno a strati e con accorgimenti nei bordi a mo di antiurto, con la funzione di tenere ben coperta la parte posteriore della cassa toracica, particolarmente vulnerabile nelle donne.
    Particolarità del corpetto  (buttunera) e la presenza di una doppia fila di bottoni di argento di forma discoide, aventi la funzione di mettere in risalto la condizione della donna maritata.
    La Cammisola, camicia importante con pizzi agli orli di color senape e con evidenti ricami a punto croce e/o spugnetta con le iniziali della ragazza e/o della famiglia.

    Copricapi:

    Tovaglia: copricapo in lino grezzo, che come dice la parola aveva una funzionalità che andava oltre il semplice copricapo, infatti la grandezza, la forma rettangolare e il tipo di tessuto facevano si che il copricapo, alla bisogna poteva diventare un giaciglio, una tovaglia da cucina o un necessaire per i fanciulli.
    Pannuccia: copricapo in lino fine  per le grandi occasioni, con ricami a punto croce e frangiatura a cascata sulle spalle.
    Maccaturo: copricapo in lana di color carne (nero in caso di lutto) che cade sul laterale delle guance, ricco di frange annodate, sovrastato da ricami a bassorilievo in spugna, con motivi floreali.
    Il costume da pacchiana aveva numerose varianti, dovute alla condizione della donna e infatti si ha un costume da bambina, da giovinetta, da donna promessa, da donna sposata, da vedova (tutto in nero).
    Discorso a parte merita il Vestito da Sposa , che non prevede alcun  copricapo, ma uno scialle in seta con fronzoli, il vestito tutto in bianco, conserva la gonna nera e un vantesino bianco ricco di ricami a bassorilievo con l’apposizione di perline anche vitree di vario colore. [Nativo]

  • Cultura e tradizione,  Cultura orale,  Spettacoli

    Suoni e Sapori della Valle del Miscano con Canti e Cunti Montecalvesi

    Sabato 21 gennaio ore 20:00 presso l’Agriturismo Serafino Family presentazione dell’album rievocativo “Canti e Cunti Montecalvesi VOL.1” del cantore Alberto Tedesco.

    Durante la serata è possibile degustare i piatti della tradizione contadina della Valle del Miscano i quali saranno raccontati attraverso le parole e i suoni che armonizzano la valle.

    In questo piccolo viaggio nel passato ci sarà in formazione acustica la band Rural JazzFujenti” e l’attrice Consuelo Giangregorio.

    Il progetto artistico pone come obiettivo principale quello della ricerca delle tradizioni musicali che hanno attraversato il territorio. La Valle del Miscano è stata un crocevia di diverse strade di collegamento tra l’Europa e l’Oriente, questo ha fatto in modo che la nostra terra fosse contaminata da una grande diversità culturale, la quale ha dato vita ad una miscela di suoni, racconti e sapori che caratterizzano tutto il territorio. Un esempio è la cultura abruzzese che grazie alla via della Transumanza (Regio Tratturo) ha inciso molto nella storia musicale della Valle del Miscano.

    Canti e Cunti Montecalvesi VOL.1 è un album rievocativo e ricalpesta le tracce lasciate dai nostri avi.

    “L’idea nasce dall’esigenza di rendere accessibili a tutti i racconti e i canti della civiltà arcaica contadina Montecalvese, ogni racconto e canto che ho interpretato viene da uno studio sia intellettuale che spirituale che mi ha tenuto coinvolto negli ultimi anni. L’album è composto da nove tracce audio in cui si alternano Racconti e Canti. Per ogni singola traccia ho cercato di mantenere inalterata la terminologia dialettale e le melodie di un tempo, lavoro per me non facile perché si tratta di testi in dialetto dell’800 e di melodie difficili da recuperare, ma grazie al sostegno del prof. Angelo Siciliano e della sua ricerca sulla civiltà arcaica contadina Montecalvese (per me un pilastro portante) e grazie all’aiuto di Francesco Cardinale (ricercatore appassionato di etnomusicologia) sono riuscito ad entrare in una buona prospettiva di studio e di reinterpretazione dei Cunti e dei Canti.

    Canti e Cunti Montecalvesi VOL.1 si interseca perfettamente con il progetto musicale “Fujenti”, infatti durante i concerti della band, periodici tra il Sannio e l’Irpinia, i brani eseguiti in stile World Music sono intervallati dai Cunti Montecalvesi.” –Alberto Tedesco voce dei Fujenti.

    Durante la serata sarà proiettato un video riassuntivo della ricerca effettuata sul territorio da Francesco Cardinale e Antonio Cardillo (Autori di “Alan Lomax – Passaggio a Montecalvo”) nel corso degli anni, dalla quale il cantore trae ispirazione per la rievocazione

    La cena sarà un vero e proprio viaggio nei sapori della Valle del Miscano, un menù ricco dell’Agriturismo Serafino accompagnerà la serata teatro-musicale.

    Aperitivo Pizza Contadina

    Minestra Maritata

    Polenta con “Sausicchio di Pignata”

    Ruocchili e Cicatielli

    Spezzatino

    Dolce

    E’ obbligatoria la prenotazione al numero 3356377187 (Nicola Serafino)

     

     

  • Cultura e tradizione

    PAZZIJEDDRE DI CRIJATURE
    (Giochi di ragazzi)

    Mario Corcetto

    Essere ragazzi al Trappeto era solo un fatto anagrafico. Si passava dalla fanciullezza alla maturità, senza transitare dall’età della spensieratezza cosciente. I bambini erano destinati dapprima alle incombenze minute  (come,  ad  esempio,  accudire  gli  animali  da  cortile,  andare  alla  fontana  a prendere ‘na véppita d’acqua fréscha”, raccogliere le granaglie cadute dalla rachina su cui erano state poste ad asciugare), e, via via che passavano gli anni, venivano adibiti a mansioni sempre più impegnative fino a raggiungere la piena maturità “contributiva” (nel senso di contribuire al benessere della famiglia) già in prossimità dell’adolescenza. Il passaggio all’ “inquadramento” superiore, in casa veniva formalmente sancito con l’ammissione alla tavola dei grandi, lasciando la buffitteddra, posta in un angolo della casa, ai fratelli minori. Questo precoce coinvolgimento dei figli nelle attività della famiglia non era, però, una forma di sfruttamento. Certo, delle braccia in più facevano comodo, ma, per quanto possa sembrare strano secondo la mentalità contemporanea, esso era principalmente un’attribuzione di dignità. L’ammissione all’elevazione sociale, che, per il povero trappetaro, non poteva che derivare dal lavoro. Non a caso la prima qualità che si declamava di una persona per bene era il suo essere “fatijatore”. Così, ad esempio, il pretendente di una giovane donna poteva anche non avere nulla, ma era lo stesso ben accetto, quando ne chiedeva la mano, se aveva questa qualità. Insomma, il lavoro minorile era una palestra di vita, con risvolti tangibili nell’ambito della comunità in cui si viveva.

    E che non fosse malevola l’intenzione dei genitori che avviavano precocemente i figli al lavoro, ne è riprova la tenerezza che i genitori avevano e mantenevano verso la prole. Magari non esternata con effusioni d’affetto, per ragioni connesse al costume (il padre temeva di indebolire la sua immagine autoritaria che il ruolo di capo di casa gli imponeva). Qualcosa in più si concedeva la madre, ma nulla che assomigliasse, neanche vagamente, alle smielate moine a cui spesso si assiste oggi. Perciò, fatta salva l’immagine e contrabbandando la cosa per una forma di risparmio, si trovava sempre il tempo per provvedere a qualche rudimentale ninnolo per il gioco del piccolo: il padre costruiva lu strummilu o la carrozza per il figlio e per la figlia la cunnilecchja dove far dormire la pupeddra che la mamma confezionava piegando qualche misero straccio. Quando la mamma  ammassava faceva sempre la vaccareddra (un pezzo di pasta tagliato a forma di X, che, con un notevole sforzo di fantasia, lo  si  poteva assomigliare ad  una piccola mucca acquattata a gambe divaricate), cotta insieme alle pizze bianche, per il piccolo di casa.

  • Cultura e tradizione

    L’UÓCCHJI DI LU DIÀVULU
    (L’OCCHIO DEL DIAVOLO)

    IL SABBA A MONTECALVO IRPINO – Il diavolo gabbato da un pastore astuto.

    Angelo Siciliano

    [Ed. 12/06/2016] Ho scritto diversi testi sulle janare, tra cui due poemi inediti, ma questo cunto, noto ad alcuni anziani del paese con diverse varianti, l’ho raccolto a Montecalvo Irpino. Dopo aver ascoltato il fatto, l’ho reinventato di sana pianta, come testo in prosa ritmica in vernacolo irpino dell’Ottocento, rispettandone lo spirito arcaico.
    Il pantano d’acqua rossa è un deposito naturale di acqua ferruginosa, che proviene da una falda sotterranea molto ricca di ferro. Ossidandosi a contatto con l’aria, essa assume un colore rosso vermiglio. Sono due i canali in cui la falda scarica questo tipo di acqua, non molto distanti tra loro, in contrada Conca. Quello citato nel testo fa defluire l’acqua in eccesso della Fontana della Monaca e attraversa la terra di proprietà della famiglia Scoppettone, il cui soprannome è Milachjancóne, derivante dal nome e cognome di una contadina montecalvese dell’Ottocento, Camilla Chiancone. In esso scopersi l’acqua rossa, raccoltasi in un piccolo pantano, all’inizio degli anni Sessanta del Novecento che ero ragazzo. Prelevai e utilizzai parte di quel colore naturale, per abbozzare delle figure sui tronchi di alcuni grossi alberi della zona. Mi andò bene. Né il diavolo né le janare vennero a tormentarmi di notte. L’altro canale, in cui l’acqua è rossa, è stato scoperto recentemente da Gaetano Caccese e attraversa un’area con dei pioppi intricata di rovi, ma non vi sono noci, notoriamente alberi che attraggono le janare per il sabba. Entrambi i canali confluiscono all’imbocco del Fosso della Ripa della Conca, dove ancora si forma una piccola cascata. In questo luogo, in passato, vi erano numerosi appezzamenti di terra coltivati come orti e grandi vasche d’acqua a differenti livelli che, fatta defluire, faceva girare la ruota a pale d’un mulino che ha funzionato sino all’inizio del Novecento.
    [Ascolta]
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  • Cultura e tradizione

    Montecalvo: leggenda folklore, miti e spiritualità

    [Ed. 30 /03/2004] Non è un paese come gli altri Montecalvo Irpino(av), nel cuore della verde Irpinia, dove le contraddizioni della storia e del vivere quotidiano trovano, da sempre, un giusto inspiegabile equilibrio.
    In un vasto territorio collinare di 5353 ettari, attraversato da 2 fiumi e con una popolazione attiva che da secoli non e mai scesa sotto i 4400 abitanti, si sono avute e si ripetono le storie piu straordinarie .
    E’ il paese delle streghe (janare) e dei folletti (scazzamarielli), delle belle donne che indossano, ancora, il costume tipico(la pacchiana) ricco di ori e merletti e sgargianti pacchiani colori.
    E’ il paese dei 30 palazzi, delle innumerevoli chiese, dei Papi che vi hanno soggiornato e dei Santi che vi son nati (San Pompilio Maria Pirrotti 1710/1766) e il Beato Felice da Corsano(fondatore dell’ordine delicetano). E’ il paese delle tante Madonne, famosa fra tutte quella dell’Abbondanza sec XVll, nel cui occhio destro si ripete il mistero della più famosa madonna di Guadalupe.
    Ma è anche il paese delle teste calde, dei rivoluzionari, e degli uomini che, anche in odore di santita, manifestavano sempre il proprio pensiero, con quella schiettezza e fierezza, tipica dei popoli sconfitti da tutto (terremoti,epidemie,invasioni ed emigrazioni) ma mai domati.
    Un popolo amante del bello e dei piaceri della vita, con una spiritualità concreta e mai fanaticante, con una visione mitteleuropea del mondo e una voglia di esserci ad ogni costo, nei fatti della storia (carboneria,massoneria,repubblica partenopea,moti del 21 e del 48, garibaldinismo,brigantaggio,correnti letterarie-arcadia,società di mutuo Soccorso… )fino alle piu recenti vicende della storia repubblicana(1 ° esperimento di compromesso storico).