BENI ARCHITETTONICI E PAESAGGISTICI
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Fregi dai motivi ispano-americano sui portali di C. Umberto in Montecalvo Irpino
Montecalvo Irpino AV – I portali presenti in tutto il centro storico, in particolare in Corso Umberto, riportano nella chiave di volta fregi dai motivi ispano-americani, importati dai soldati spagnoli che in queste zone si stabilirono nei secoli passati. Non è difficile incappare in simboli quali facce di puma, foglie di marjuana, uccelli esotici.
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[Cavalletti G.B.M. Montecalvo dalle pietre alla storia, Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1987]
[AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]
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La Masseria Stiscia
Antonio Stiscia
[Edito 23/04/2005] La Masseria Stiscia è databile alla metà del 1600, e comunque edificata su più antiche vestigia, legate alla presenza delle Bolle della Malvizza e all’antichissimo Tratturello che da Casalbore attraversava la Malvizza e si congiungeva al Grande Regio Tratturo (Pescasseroli-Candela) nonché alla Via Traiana, per sconfinare nelle fertili pianure pugliesi. La masseria Stiscia occupa la parte centrale di una vasta area (Campana) di circa 1 Ha e comprende mandrie, ovili, pollai, orti e una sorgente. La mancanza di strutture difensive, testimonia una certa tranquillità del sito, dovuta anche alla presenza di un posto di guardia e/o stazione di sosta per i cavalli (Taverna del Duca), lungo uno delle direttrici più antiche. La masseria ha dato comoda ospitalità fino a 30 persone, in quella straordinarie famiglie patriarcali, dove vi era un saggio e proficuo utilizzo della forza lavoro e una rigida divisione dei compiti. La famiglia era composta da un Patriarca, dalla moglie, dai figli maschi con le rispettive mogli e figli, e dalle figlie nubili.Ognuno aveva degli spazi alloggiativi propri, nel mentre la grande cucina e sala da pranzo, vedeva allo stesso desco l’intero nucleo familiare, che si ampliava enormemente con l’aggiunta dei tanti braccianti durante la mietitura. La presenza di 2 grandi Stalloni (Cavalli e Vacche), di 1 piccionaia, di 2 grandi ovili, di grandi recinti per i cavalli (malvizzani), e le tante camere da letto, con numerose altre costruzioni, posizionate perfettamente sull’aia, davano alla struttura la configurazione di una piccola cittadella autonoma,considerando la notevole estensione dei terreni da coltivare 300 Ha circa, (compreso il feudo di Pietra Piccola), posti anche nei territori dei vicini Comuni di Casalbore, Castelfranco, Ginestra, Ariano. [Nativo]
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In difesa del centro storico
Carlo Cavotta
[Edito 00/00/2004] Passeggiare lungo le strade del centro storico di Montecalvo, rito che peraltro compio sempre con estremo piacere, è occasione per partorire valutazioni e osservazioni foriere di sana frustrazione. Visitare e perlustrare altre realtà cittadine, limitrofe o lontane che siano, qualche volta più sfortunate della nostra, è motivo di ulteriore avvilimento, che si origina dalla comparazione delle nostre condizioni urbanistiche con gli assetti decorosi che altre comunità hanno saputo dare ai propri luoghi.
Alle rovinose aggressioni dei cataclisma, succedutisi nel corso della storia, hanno fatto seguito, con conseguenze non meno dannose, l’incuria e l’imperizia di chi è stato chiamato a tutelare il nostro territorio, di chi, forse per incapacità o negligenza, non è stato in grado di preservare le antiche vestigia della bella Montecalvo.
E’ scoraggiante constatare, giorno dopo giorno, lo stato di abbandono e degrado a cui è stato condannato il nostro amabile centro storico, relegato ad un luogo di fugace passaggio o ad un peripatetico trastullo.
Comunità, ispirate da alto senso civico, hanno reso il centro storico lo spazio vitalizzante di ogni attività, l’area in cui consumare le esperienze quotidiane, il momento centrale della vita cittadina. Perché da noi questo non è possibile? Qual è il progetto sul nostro centro storico?
Credo che manchi un reale disegno lungimirante, un investimento culturale di ampi orizzonti. Montecalvo non può permettersi altri differimenti: si rende urgente e necessario intervenire. In che modo?
In primis, convogliare nel centro storico interessi, attività, iniziative.
Sarebbe stato opportuno, in tal senso, spostare gli ambulanti, accorsi in occasione della fiera di Santa Caterina, allocare stands e banchi espositivi lungo Corso Umberto; si sarebbe potuto installare anche nella zona antica le luminarie natalizie. Si potrebbero prevedere sussidi e sconti fiscali per chi intenda trasferire la propria dimora nel centro storico; favorire allo stesso modo l’apertura di attività commerciali; occupare immobili abbandonati e utilizzarli come sedi di associazioni, circoli, partiti; elaborare la possibilità di rendere lo spazio isola pedonale, se non permanente, almeno ogni domenica, data l’affluenza dei fedeli presso la chiesa Collegiata. Il tutto sorretto da un serio programma di interventi urbanistici e architettonici, diretti a preservare e soprattutto ristrutturare, nel pieno rispetto dei canoni estetici e dei criteri normativi, gli spazi e gli edifici in rovina. Ben vengano le opere di recupero, ma che siano compiute con gusto, con cura e con l’attenzione rivolta al possibile utilizzo del bene: non si interviene per stravolgere bensì per abbellire e funzionalizzare. Si predispongano incontri, tavole rotonde attorno alle quali confrontarsi pacificamente, con spirito collaborativo e prospettive di feconde finalità.
Perché attendere?
Costa dell’Angelo non può soffocare sotto le lastre di cemento che ne hanno deturpato la grazia; corso Umberto soffre una pavimentazione di basolato frammista a cemento e catrame; i vicoli che si inerpicano fin su a Santa Maria meritano più decoro e valorizzazione, al pari dei vichi che da corso Umberto in picchiata si tuffano in Via Santa Caterina, in via Lungara Fossi o verso il Tappeto. E basterebbe veramente poco: pulizia, riassetto pavimentazione e illuminazione. Il Trappeto, gioiello del nostro centro storico, dichiaratamente castigato e condannato all’oblio.E si potrebbe continuare, ma qui ora non preme fare elencazioni. Urge assolutamente intervenire!!
Io, giovane di Montecalvo, amante della mia terra, elevo un grido: difendiamo il centro storico.[Credit│alternativapermontecalvo.it]
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S. Maria antico splendore e nuovi misteri
[Edito 23/03/2002] Montecalvo Irpino AV – Dopo quarant’anni, ieri sera, grazie a don Teodoro Rapuano ed alla buona volontà dei parrocchiani, la chiesa collegiata di Santa Maria Assunta è stata riaperta al culto dei fedeli. L’Arcivescovo di Benevento S. E. Serafino Sprovieri, davanti a centinaia di persone, ha celebrato il rito della nuova dedicazione, rito che in passato hanno già officiato il cardinale Piazza, futuro patriarca di Venezia, nel 1937 e Vincenzo Maria Orsini, futuro papa Benedetto XIII, nel 1693, infatti, i vari terremoti hanno, di volta in volta, decretato la chiusura della chiesa. Ma la passione che i fedeli hanno verso la loro chiesa madre ha sempre fatto sì che essa risorgesse; in stile tardo gotico, con i caratteristici archi a sesto acuto e l’inserimento in una navata laterale di una cappella rinascimentale, attribuita da alcuni studiosi alla scuola del Bramante, la chiesa è uno dei luoghi simbolo di Montecalvo. In essa è stato battezzato ed ha celebrato messa, S. Pompilio Maria Pirrotti. L’arcivescovo Sprovieri, nel suo discorso ai fedeli, ha sottolineato la grandezza di S. Pompilio ed a proposito del Santo ha parlato del recente ritrovamento della statua della Madonna dell’Abbondanza: “In questa chiesa manca ancora la padrona di casa – ha detto riferendosi alla statua – cioè la mamma che qui è configurata nella Madonna dell’Abbondanza – a questo punto è stato interrotto da un forte applauso ed ha continuato – che porta con sé un mistero ed è colma di affetto dei nostri avi. Una statua che non è ancora qui – infatti si trova nei depositi della soprintendenza, dove è stata restaurata a tempo di record, in attesa della presentazione ufficiale – ma che lo sarà presto, con il suo mistero che può sembrare inquietante ma che è, per me, esaltante. A guardarla le nostre pupille si riempiono della sua tenerezza. I suoi occhi cosa portano? Portano l’immagine della nostra realtà fatta, spesso, di peccatori. Come i tralci tagliati, l’uomo che si distacca da Dio secca e muore, conserva le sue sembianze ma spiritualmente diventa uno scheletro ed un teschio. Guarderemo la statua con attenzione, ma non per leggervi cattivi presagi”. Alla cerimonia religiosa erano presenti numerose autorità civili tra le quali il sindaco Alfonso Caccese ed Alfredo Siniscalchi, alto dirigente della presidenza del consiglio. Tra le autorità religiose Mons. Pompilio Cristino della curia di Benevento.
Angelo Corvino
[Crediti Foto│...]
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Le BOLLE della MALVIZZA
Mario Sorrentino
[Edito 00/00/0000] Viene così chiamato un luogo in cui si manifesta un fenomeno di vulcanesimo minore con fango perennemente ribollente.
Nelle immediate vicinanze di questo posto dal nome un po’ sinistro sorgeva un tempio italico molto probabilmente dedicato alla dea Mephites, divinità importante nel pantheon sannita. Era una dea che si ritiene sia stata collegata ritualmente agli Inferi e, di conseguenza, all’alternarsi delle due opposte stagioni della primavera e dell’autunno, come la Proserpina latina e la greca Persèfone, e, cosa rilevante per la Malvizza (che era crocevia di tratturi e importante stazione dell’antico e principale tratturo tra Pescasseroli (Abruzzo) e Candela (Puglie), questa dea era anche invocata nei culti di fertilità degli animali (pecore,essenzialmente) che a milioni di capi transitavano e si fermavano in questo nostro luogo in primavera e in autunno. La transumanza che interessava il nostro territorio sino alla metà degli anni ’50 del secolo appena trascorso era cominciata nei lontanissimi tempi preistorici, prima di tutto come migrazione spontanea delle mandrie degli animali bradi, richiamati alternativamente dai prati estivi di montagna e quelli invernali di pianura; per finire poi come spostamento organizzato da parte delle varie civiltà umane succedutesi nei territori attraversati dal tratturo (da noi, popoli della civiltà appenninica, sanniti, romani, ecc.)
Dobbiamo al dott. Roberto Patrevita, del museo archeologico di Ariano Irpino, l’informazione che alla Malvizza sono stati trovati, durante gli scavi per un invaso d’irrigazione, alcuni reperti di un tempio italico, tra i quali una antefissa di terracotta del frontone del tempio, con su effigiato in rilievo un volto femminile visto di profilo, probabilmente proprio quello della dea Mephites. Il prezioso reperto si trova attualmente a Benevento, custodito dalla “Sovrintendenza per i beni archeologici delle province di Benevento, Avellino e Salerno” (non sappiamo se visibile per il pubblico).
Sempre il dott. Patrevita ci ha informati che templi italici dedicati alla dea Mefite erano dislocati un po’ dappertutto lungo il percorso del tratturo Pescasseroli-Candela, tra i quali, non lontani dalla Malvizza, quello di Casalbore, altra importante stazione del tratturo (probabilmente distrutto durante la seconda Guerra Punica, nel 217 a.C.) e un altro nel territorio di Greci, i cui reperti sono custoditi nel museo archeologico di Ariano Irpino.
In una delle nostre immagini è possibile scorgere in distanza la quercia centenaria che domina solitaria gli scavi di Aequum Tuticum. [Nativo]
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Il PONTE delle CHIANCHE
Mario Sorrentino
[Edito 00/00/0000] Ponte romano della Via Traiana, costruito all’inizio del II° sec. d.C. Ha tre arcate ancora esistenti con una quarta arcata separata dalle rimanenti interamente e malamente ristrutturata con materiali non originali. Sussiste anche quasi integra la pavimentazione del piano viario di bàsoli, chiamati nel dialetto locale “chianche” (da cui il nome attuale del ponte). Si trova a circa due chilometri verso valle, in direzione del fiume Miscano. Serviva a superare un torrente ora quasi asciutto.
Opera probabile di Apollodoro di Damasco, architetto e scultore, al quale la critica moderna, oltre alle opere già attribuitegli dagli scrittori classici, ha aggiunto, tra le altre, il Foro di Traiano di Roma, con la celebre Colonna istoriata con bellissimi bassorilievi sulla guerra in Dacia dell’imperatore, ed anche, per ciò che ci interessa qui, l’Arco di Traiano di Benevento (v. R. Bianchi Bandinelli, alla voce “Apollodoro di Damasco”, in “Encicl. Dell’Arte Ant.”, Roma, 1958). L’Arco di Benevento fu inaugurato dallo stesso imperatore, nel 114 d.C., come porta a capo della Via Traiana realizzata nel biennio 109-110, alla biforcazione con la più antica via consolare dell’Appia, entrambe conducenti a Brindisi.
Una somiglianza illuminante sulla probabile attribuzione del Ponte delle Chianche ad Apollodoro è quella esistente tra le facce delle arcate di questo ponte e quello certamente più maestoso sul Danubio, a Dobreta (Romania), sicuramente opera dell’architetto preferito di Traiano, a sezioni trapezoidali, che però nel ponte di Buonalbergo possono decifrarsi con difficoltà, dato che il suo rivestimento litico originario giace disperso nel greto del torrente. [Nativo] -
La stagione del fiume Miscano
Francesco Cardinale
[Ed. 25/11/2010] Il fiume Miscano è una delle risorse naturali più imponenti e suggestive del nostro territorio; non a caso, la nostra valle porta il suo nome. È considerato una fonte inesauribile per itinerari storico-culturali e, quando è in piena, offre uno spettacolo indescrivibile, anche se ciò accade raramente. Tuttavia, è un peccato che sembri interessare a poche persone. L’incuria con cui è stato trattato e viene trattato è un chiaro segno di questo disinteresse. Il suo nome sembra emergere solo in occasione di straripamenti o eventi drammatici come l’incidente recente con l’auto bloccata tra le due sponde. Questa è la sua stagione, anche se per un breve periodo, in cui può riappropriarsi del suo status e tornare ad essere quello che era un tempo: un fiume. [Nativo] Foto Franco D’Addona
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Ponte di S. Spirito o del Diavolo
Con questo ponte la Via Traiana superava il torrente di Ginestra alla confluenza con il fiume Miscano. Qui, nel 1970, fu trovata un’epigrafe, oggi collocata nel museo provinciale di Avellino e corrispondente al numero di inventario ventitre. Si tratta di un blocco di pietra (alto 130 cm, largo cm. 87 e spesso cm. 40) che reca incisa l’iscrizione, trascritta ed integrata da Consalvo Grella, ex direttore del museo provinciale di Avellino, “IMP.CAESAR DIVI NERVAE F. NER VA TRAIANUS … AU G. GERM (ANICUS) DACICUS PARTHICUS PONT MAX TR. POT.XX IMP.XIII COS. VI P.P. VIAM TRANSLATAMQUE IMPETU? FLUMINIS …..DESTRATUR. SUA PECUNIA IN. LOCO TUTIORE RESTITUIT”. Ruderi di maggiori dimensioni erano ancora visibili nel 1854, quando lo storico Cirelli scriveva di “una colonna miliaria con numero XVI, benché guasta nell’iscrizione.Tuttora (1854) noi l’abbiamo ocularmente veduti, esistono di tal ponte i ruderi di due archi ed uno intero pilastro”.
G.B.M. Cavalletti
[Bibliografia di riferimento]
[AA.VV., Progetto Itinerari turistici Campania interna: la valle del Miscano, Volume 1 , Poligrafica Ruggiero, Avellino, 1993]
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In dirittura di arrivo il restauro del Castello di Montecalvo
Alfonso Caccese
[Ed. 14/01/2005] Montecalvo Irpino AV – Continuano a ritmo costante i lavori di recupero del castello Pignatelli del nostro paese. Situato alla sommità del paese, sorge sui ruderi di una vecchia fortezza di epoca romana e domina tutta la “Valle del Miscano” aprendo l’orizzonte fino alle montagne del Matese. Rappresenta una delle poche testimonianze del passato giunte a noi quasi intatte. Costruito dai Normanni, in origine costituiva una fortezza prettamente militare, ma nel corso dei secoli si è trasformato in residenza di principi e signori governatori del luogo. Intorno ad esso, dal milletrecento in poi, si sono edificati palazzi gentilizi e religiosi , di cui si possono osservare ancora le strutture, facendolo diventare il nucleo fondamentale della vita del paese.
Sede di scuole ed uffici comunali, durante l’era fascista diventa luogo di esercitazione per i giovani “Balilla”, nelle adunanze, oramai storiche, del Sabato fascista. Sempre danneggiato dai vari terremoti nelle varie epoche, semidistrutto dal sisma del 1930, è definitivamente distrutto, come la gran parte del centro del paese, dalla scossa tellurica dell’Agosto 1962. Nel 2002, dopo quaranta anni, sono iniziati i lavori di rimozione e pulitura dalle macerie ed un tentativo di recupero per ridare vivibilità a questo luogo , unica testimonianza del passato autentico nelle storia di Montecalvo Irpino.
Nella riunione di giunta del 3 settembre (2004) ultimo scorso, è stato approvato e messo in appalto il progetto esecutivo dei lavori del lotto A di “Recupero del Castello Ducale Pignatelli, inserito nel finanziamento del PIT- Regio Tratturo – Itinerario culturale. L’importo totale dei lavori è di Euro 1.987.242,38 (circa 4 miliardi delle vecchie lire), in base al progetto redatto dalla amministrazione – tecnico – provinciale, nelle persone dell’ Ing.Franco Aucelli e dell’Arch.Antonio Sorrentino, prevede la riqualifica strutturale, storico e culturale, del castello Pignatelli . [Nativo]
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La Malvizza
Alfonso Caccese
[Ed.24/01/2005] La ricerca delle proprie radici è un’esigenza che prima o poi, qualsiasi individuo si sente in dovere di tradurre in informazioni reali. Talvolta, addirittura, questa operazione si arricchisce via via di contenuti di sicuro valore letterario, scientifico, poetico. Per conseguire traguardi di tali dimensioni, è opportuno esprimere una gamma di funzioni e di sensibilità di fondo talmente ampia da poter essere parafrasata senza limitazioni di sorta. Ne possono nascere trame espressive di diversa tipologia analitica: con inclinazione alla creatività artistica o alla riscoperta dell’ uomo attraverso vere e proprie analisi del contesto sociale.
Si tratta di lavori rari, però, quando se ne scopre qualcuno, lo si legge con un piacere nuovo, se non altro per appropriarsi dei piccoli tesori che in esso si celano, magari dietro un sottile velo di pudore. A ricordare e a tramandare oralmente tutto quello che è possibile ed umanamente tramandabile è il carattere forte e duro degli abitanti di questa contrada attenti custodi della propria storia e delle proprie tradizioni. Uomini e donne forgiate dalla durezza della vita ma strettamente legati alla continua evoluzione dei tempi moderni perenni testimoni di una storia non scritta ma realmente passata in questa terra che ancora oggi mantiene tutto il suo fascino misterioso e affascinante. La mesta sobrietà di vecchi contadini che da antichi massari, si sono , trasformati in conduttori di aziende agricole moderne dove del passato resta solo la struttura organizzativa di un lavoro svolto con una cadenza di tempi connesso ai ritmi biologici della natura. In una masseria , diventata oggi una moderna villetta di campagna, incontriamo una famiglia organizzata secondo i vecchi canoni ma con opportune differenze.
Accanto allo screpitio di legna che irradia la sua luce e il suo calore da una “fucagna” da antichi ricordi, il buon vecchio Antonio, questo è il suo nome ci ricorda che: “ Non è più come una volta, oggi pure nella nostra contrada tutto è cambiato, ci sono le macchine moderne che ci aiutano nel nostro lavoro, siamo diventate aziende agricole e non siamo più al tempo dei massari”. Nella sua intensa vita ha visto il mutare delle cose e coi propri occhi ha assistito alla trasformazione radicale del mondo contadino dagli inizi degli anni sessanta in avanti. Testimonianza di un epoca in cui l’analfabetismo era imperante e la popolazione, traeva sostentamento dalla coltivazione della terra e dall’allevamento del bestiame. La suddivisione della società in classi era una tremenda realtà e i lavoratori della terra rappresentavano la classe più umile.
Nelle masserie luogo più importante era l’aia, da anni scomparsa per colpa della moderna organizzazione del lavoro. In questa parte centrale si procedeva alla trebbiatura dei cereali si lavorava in mezzo al baccano e alla confusione, secondo una tradizione consolidata. Una moltitudine di uomini, donne e ragazzi lavoravano alacremente sull’aia, per giorni o settimane, ammazzandosi di fatica. Si respirava polvere e si sudava tanto con la canicola di luglio e agosto, per mettere da parte il raccolto dei cereali per l’inverno e anche la paglia per le bestie. A partire dagli anni Settanta, le nuove macchine tecnologicamente avanzate ( le mietitrebbiatrici ) capaci di operare anche sui declivi delle colline, hanno risolto ogni problema con la trebbiatura effettuata direttamente nei campi coltivati e la consegna, ai relativi proprietari, dei sacchi pieni di grano a domicilio. In questo modo sono scomparse delle affascinanti figure ottocentesche di lavoratori rurali, oramai confinati nei ricordi di un tempo che fu. Anche il paesaggio rurale in questi decenni è mutato, sia per l’introduzione di nuove tipologie di coltura che per l’uso diffuso delle macchine agricole che hanno sostituito il lavoro umano. [Nativo]