Beni artistici e storici
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La LAPIDE di contrada PRATOLA
Mario Sorrentino
[Edito 28/03/2011] Lapide apparentemente di marmo, ora scomparsa, ma certamente esistente sino al 3 novembre 2003 (come provano queste immagini). Era usata come coperchio di una fontana abbeveratoio in località Pratola di Tressanti (territorio di Montecalvo Irpino). Delle dimensioni di cm. 40 x 60, recava incisa la seguente epigrafe che non risulta repertata nel Corpus Inscriptionum Latinarum:
“GAVOLEIAE . P . F . R(VFAE)
O . SEPPIO . Q . F . RVFO
EX . TESTAMENTO
ARBITRATV
CRITTIAE . M . F . POLLAE”,
la cui traduzione probabile è “Morto Quinto Fabio Rufo Seppio, per testamento e (successivo) arbitrato di Crizia Paolina, mater familiae, ( la cosa su cui insiste la presente lapide) appartiene a Gavoleia (?) Rufa, pia foemina.”
Questa era l’unica epigrafe non funeraria esistente in prossimità di un ager romano probabilmente urbanizzato ai tempi di Cornelio Silla (I sec. a. C.), in località Pratola di Tressanti (v. Sez. n. ). [Nativo]
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Corona al Milite Ignoto
[Ed. 30/04/2003] Il monumento ai caduti montecalvesi nella prima guerra mondiale, opera dello scultore Michele Guerrisi della Real Accademia di Belle Arti di Torino, fu inaugurato il 3 ottobre 1926. La realizzazione fu possibile grazie alle generose offerte dei cittadini Montecalvesi. Solenne il discorso di Nicola Susanna dei marchesi di S. Egidio, presidente onorario del comitati “Pro-monumento ai Caduti di Montecalvo”, discendente, per parte femminile, di S. Pompilio M. Pirrotti, imperneato sulle valorose gesta patriottiche del popolo montecalvese e sul sacrificio del figlio Ottavio,morto nel conflitto a causa del siluramento del somergibile Minas il 15 febbraio 1917. [Nativo]
Giovanni Bosco Maria Cavalletti
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Il castello ducale Pignatelli
[Ed. 00/09/2017] Il castello ducale Pignatelli, costruito nel punto più alto del paese, deve il nome dagli ultimi suoi feudatari ovvero ai duchi Pignatelli di Montecalvo. Il castello, costruito con buona probabilità sui resti di un precedente fortilizio romano, viene per la prima volta menzionato nella Cronaca di Alessandro Telesino, a mezzo della quale si apprende che, nel 1137, Ruggero II si accampò nei pressi durante il suo viaggio in direzione di Paduli. Dell’impianto originario del castello sono rimaste solo poche tracce a causa del terremoto del 1456. Le strutture oggi visibili, oggetto di un recente e profondo restauro, sono quelle di cui alla ricostruzione voluta dalla famiglia Pignatelli e poi di quella dei Carafa. Al castello si accede per il mezzo di un artistico portale in pietra arenaria risalente all’anno 1505 e delimitato da due belle colonne ioniche antistanti in rilievo le quali sorreggono un frontone rettangolare nel quale è ben visibile lo stemma della famiglia Gagliardi. Il portale immette al cortile interno dove un successivo portale archivoltato conduce ad uno degli ambienti ubicati al piano terra. All’esterno sono ancora ben visibili una splendida torre di forma cilindrica, contraddistinta dalla presenza di una cisterna, con annesso pozzo, situata al primo livello, e le cortine murarie che circondano tutta la corte interna del castello. Esse risalgono sia al periodo rinascimentale che alla più antica struttura difensiva di origine medioevale, che all’origine era costituita dalla torre circolare e da un recinto fortificato.
[Crediti│Testo - Tripadvisor]
Salvatore M.
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Il murale di via Maddalena
[Ed. 18/12/2001] Il muro di cinta di Via Maddalena, che si estende per 510 mq, e’ interamente affrescato con uno dei murali a soggetto unico piu’ grandi d’Italia. In un affascinante intreccio tra Storia e Mito, sono narrate le vicende della comunita’ montecalvese dal suo nascere fino alla seconda meta’ del 1600.
Coordinati dal critico d’arte Marisa Russo, hanno dato vita al murale gli artisti Lavinio Sceral, Lello Sansone, Michele Giglio e Renato Criscuolo. Agganciato al rosso tappeto volante, elemento d’unione dell’intera narrazione murale e’ lo “scazzamariello”, prima figura mitica rappresentata. Secondo la tradizione popolare, il dispettoso folletto ha il potere di defecare oro.
La “pacchiana” cioe’ la donna con il tipico costume montecalvese, rappresenta la sintesi tra Storia e Mito in quanto pur essendo figura reale, e’, ormai, simbolo di una civilta’ scomparsa e profondamente trasformata. In un turbinoso cielo squarciato dai lampi si erge la rocca romana sorta durante le guerre sannitiche e divenuta, successivamente, il castello di montecalvo. Spettri alla ricerca delle nordiche radici, i soldati longobardi vi si aggirano smarriti.
Mefite, nauseabonda, personificazione delle stomachevoli esalazioni, dea effettivamente adorata presso la Malvizza di Montecalvo dagli antichi Sanniti e dagli stessi Romani, ispira una sorta di fusione tra religione e magia.
Le leggendarie “Janare” (streghe) che tanta fortuna ebbero nell’area beneventana, trovarono terreno fertile nel contesto culturale montecalvese. La tempesta creava le condizioni ottimali perche’ potessero radunarsi per danzare intorno al famoso noce di Benevento : ” sott’acqua e sott’a bbiento sott’a la noce di bbinivientu” (sotto acqua e sotto vento sotto il noce di Benevento) e’ la formula magica pronunciata dalla Janara prima di spiccare il volo. In contrada Malvizza e’ ambientata la scena dell’oste malvagio, che l’avidita’ sta trasformando in bestia. Egli serve carne umana, meglio ancora di bambini, ai malcapitati avventori. Satana concorrente nel Male, o Cristo, sdegnato da tanta efferatezza, inabissano la taverna nelle viscere della Terra da dove sarebbero sorte le malefiche bolle.
La dea Diana, storicamente adorata in territorio montecalvese e ritenuta nel Medioevo protettrice delle partorienti, rappresenta la difesa della vita calpestata dall’oste maligno. Il beato Felice da Corsano, nell’evidente smaterializzazione, e’ l’antitesi del crudele oste di contrada Malvizza: mentre questi e’ trasformato in bestia dalla materia, l’asceta e’ spiritualizzato dal misticismo. L’integrazione del dinamismo germanico con la cultura romana attraverso la mediazione cristiana, da corpo alle umbratili figure dei Longobardi invasori ed i crociati, insieme al radioso rosone gotico, diventano il simbolo della nuova Europa. Sullo sfondo l’ospedale di S.Caterina, fondato a Montecalvo dagli stessi Crociati.
La terribile peste del 1656 che violenta si abbatte’ sull’intero regno di Napoli e’ il motivo ispiratore della penultima scena. Il dolore umano, che sovrasta ogni cosa, accomuna quella tragica occasione a tutte le altre sventure, soprattutto terremoti, che nel corso dei secoli sono state causa di lutto.
Il viaggio del tappeto volante si conclude in Oriente, che non e’, pero, ricercato lontano nello spazio inserendosi senza fratture tra la Storia ed il Mito di Montecalvo. Anche in questa scena, che sembra la piu’ fantastica di tutte, col Mito si alterna la Storia: le esperienze guerresche degli antichi crociati, l’arrivo della cultura araba filtrata nelle esperienze dei Pugliesi immigrati a Montecalvo dopo la peste del 1656, si tramandano in segni di pietra scolpiti sui noti portali che la magica lanterna di Aladino trasforma in un dolce paesaggio orientale. Il sekoma l’antichissima mensa ponderaria presente a Montecalvo da tempo immemorabile, da misura granaria si trasforma in misura del tempo che non cancella il passato. Un portale che si apre al futuro, e’ il segno che la Storia continua. – “Progetto Itinerari Turistici Campania Interna. La Valle del Miscano, Volume 1°” Poligrafica Ruggiero, Avellino, dicembre 1995
Giovanni Bosco Maria Cavalletti
Nell’ agosto 2011, Angelo Siciliano, scrittore e ricercatore montecalvese, preso visione della pagina sopra ha invitato, la direzione del sito, di aggiungere quanto segue:
I murales di Montecalvo Irpino furono realizzati, nell’autunno 1988, su iniziativa e proposta di Angelo Siciliano all’amministrazione comunale, guidata allora dal sindaco Felice Aucelli. Nell’estate del 1988, dopo la pubblicazione de “Lo zio d’America” ad Avellino, l’editore Nunzio Menna invitava Angelo Siciliano e sua moglie, Maria Paparo, a far parte della giuria che valutava le opere realizzate da un gruppo di pittori muralisti campani, coordinati dalla signora Marisa Russo di Napoli, a Piano Vetrale (Sa) e a Castelvolturno (Ce). Alcuni di quegli artisti avrebbero realizzato, nello stesso periodo, dei murales a Montefalcone (Bn). Constatata la buona qualità di quei murales, Angelo Siciliano faceva la proposta verbale al sindaco Aucelli, che allertava alcuni assessori e vice assessori, i quali si recavano a visionare quei dipinti. Poiché la cosa piacque, fu contattata la signora Marisa Russo, alla quale Angelo Siciliano suggeriva che si sarebbero potuti dipingere dei miti attinti anche da “Lo zio d’America”. Si trattava poi solo di scegliere se realizzare dei murales singoli, sui muri delle case ubicate nei punti strategici del paese, o una lunga striscia di murales, come poi fu fatto, sul muro del giardino del convento dei francescani. A fine agosto, Angelo Siciliano salutava tutti e partiva per tornare a Trento, città in cui vive dal 1973.[Nativo]
Angelo Siciliano