Cultura
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La Madonna dei Rosari della Chiesa Abbaziale di San Nicola di Corsano
Antonio Stiscia
[Ed. 00/12/2008] La tela della seconda metà del 500 ricalca la composizione piramidale di quasi tutte le opere dello stesso periodo e con lo stesso tema.
Il quadro ha una sua unicità per la presenza di più rosari,certamente di corallo.
La parte superiore del quadro vede,a sinistra, la presenza di un Angioletto tra le nuvole e che sovrasta 2 boccioli di rosa offerenti 2 rosari,quasi a indicare i personaggi della Chiesa a cui si deve la nascita e proliferazione del culto del Santo Rosario:
Papa Pio V (Antonio Michele Ghislieri),rappresentato con la barba e la Tiara, Pontefice dal 7 Gennaio 1566 al 1° Maggio 1572 .
Appartenente all’Ordine Domenicano,già Vescovo sotto il Pontificato di Papa Paolo IV Carafa , che ne apprezzava la integrità morale,fu un Papa rigido e combatté la corruzione , la mondanità e il nepotismo.
Al suo ingegno in politica estera,si deve la nascita della Lega Santa contro i Turchi,sconfitti definitivamente, nella celeberrima Battaglia di Lepanto del 7 Ottobre 1571,che da quel giorno divenne “Festa di Santa Maria della Vittoria “( Bolla Salvatoris Domini-1572),successivamente Festa del SS. Rosario.
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l’Uccisione del maiale
Antonio Stiscia
[Ed. 00/2/2009] La Maialata,o più correttamente l’Uccisione del maiale,è uno degli avvenimenti più importanti nella storia della cultura contadina montecalvese,legata al necessario sacrificio di un animale prezioso e ricco, di cui non si butta via niente.
Fin dall’antichità e in specie nella tradizione dei Sanniti *(Benevento ha nel suo stemma la rappresentazione di un cinghiale – S.P.Q.B.) e dei Romani, e di poi nella tradizione medioevale,l’allevamento e la cura dei maiali,ha rappresentato una importante voce dell’economia agropastorale,anche per la presenza di vaste estensioni di quercete e di boschi,di cui ci rimane la memoria in alcuni toponimi (C/da Cerreta ).
Il maiale*come riserva di proteine per il lungo inverno,un sicuro riferimento per la sopravvivenza del nucleo familiare.
*(Nella tradizione e nella pratica comune,il Porco diventa Maiale solo dopo la castrazione,che segue riti e procedure complesse,nel mentre al femminile si ha l’esatto opposto, la femmina che si riproduce diventa orgogliosamente Scrofa,quella castrata rimane Porca-Troia ,con il naturale accostamento alla pratica del meretricio,fatto a scopo di lucro e/o di piacere,ma non di riproduzione,o anche per la naturale propensione della femmine di questa specie ad accoppiarsi frequentemente e continuamente,anche nei periodi di gestazione).
Nell’alto medioevo nasce e si concretizza la figura del Porcaro(Pastore di porci),ultimo nella scala sociale e assimilabile allo stesso animale che pascolava.
Il porcaro non era,quasi mai, proprietario dei porci,che si appartenevano ad alcune ricche famiglie, a ricchi commercianti e alla Chiesa*
*(Nella tradizione religiosa montecalvese,e fin dal 1700 i Frati Francescani di Montecalvo,solevano allevare 2 maialini chiamati,devozionalmente Francesco e Antonio,che pascolavano,liberamente per il territorio,identificati con nastri rossi e marchiati a fuoco.Chi li incontrava o il proprietario del luogo ove si fossero fermati per pascolare,aveva l”obbligo”devozionale di accudirli e rifocillarli,considerando una sacra benedizione averne ricevuta la beneaugurante visita. Senza dimenticare S.Antonio abate,protettore degli animali e raffigurato quasi sempre in compagnia di un porco).
La notoria sporcizia dell’animale abbinata ad una sua indiscussa utilità e ricchezza,diede vita ad un ambivalente rapporto,fondato sul bene e sul male,in una strana convivenza che attraverserà tutto il medioevo.
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Ricette del borgo antico di Montecalvo Irpino
Questo opuscolo ha lo scopo di tramandare le ricette di piatti antichi, al fine di tenere viva la tradizione di Montecalvo Irpino in Provincia di Avellino, paese adagiato sulle colline dell’Irpinia che si affaccia sulla Valle del fiume Miscano.La pubblicazione, oltre a dare precise indicazioni circa il quantitativo degli ingredienti e le modalità di cottura di ogni piatto, dà preziosi suggerimenti sulla qualità degli stessi ingredienti attraverso l’esperienza di Guido Altieri acquisita negli anni mediante un proprio particolarissimo modo di ricercare il meglio tra i tantissimi prodotti di cucina presenti sul mercato. La sua conoscenza storica rappresenta un momento altamente qualificante per il recupero documentario del patrimonio culturale montecalvese. Da queste considerazioni è nata l’idea del presente opuscolo dalla piacevole lettura, suddiviso in capitoli di facile consultazione. Ci proponiamo di dare testimonianza dei nostro passato in quanto responsabili continuatori, ma anche qualificati e coscienti protagonisti della nostra storia.
Liliana Monaco
[Bibliografia di riferimento]
[G. Altieri Ricette del borgo antico di Montecalvo Irpino, Pro Loco Montecalvo Irpino APS, 2023] -
GUIDO ALTIERI
Guido Altieri è nato a Montecalvo Irpino, coniugato, ha due figli. Ex maresciallo dei carabinieri, ha vissuto per circa dieci anni in Sicilia. Oggi vive a Montecalvo Irpino. Negli anni settanta nasce la passione per la cucina, ricercando prodotti di alta qualità culinaria. Ha ottenuto vari riconoscimenti: insignito quale gastronomo della tradizione culinaria montecalvese da parte del Comune di Montecalvo Irpino; insignito al merito, quale ambasciatore della cucina irpina e divulgatore dei piatti tipici della Campania, dall’Osservatorio Appennino Meridionale – Campus Università di Fisciano.
Redazione
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Commedie, Sonetti e Madrigali nella Montecalvo del ‘700
Antonio Stiscia
[Ed 00/11/2007] Il 15 Agosto 1748 nella Collegiata di Santa Maria Assunta in Cielo, si tenne una Accademia, vale a dire una manifestazione artistico-letteraria in onore della Vergine, nel giorno della sua Assunzione, con la recita di poesie e canti e la rappresentazione di una commediola sacra, col solo unico fine di magnificare la grandezza di Dio e della sua soavissima Madre.
Il manoscritto che raccoglie i componimenti letterari, è straordinariamente importante, non solo per il contenuto delle opere, di ottimo livello e grande raffinatezza culturale,ma soprattutto per il suo utilizzo come libretto d’opera,visto che l’Accademia è stata rappresentata più volte, alla presenza della moltitudine dei fedeli e all’interno della stessa Collegiata,per il qual motivo ben si spiega l’utilizzo della lingua volgare e addirittura del dialetto montecalvese.
Il madrigale, (di cui alla riproduzione dattiloscritta) dedicato alla Vergine Immacolata, di chiara matrice popolare, mantiene la freschezza e la immediatezza tipica delle opere dialettali e occupa un suo non casuale posto nel manoscritto, come nella rappresentazione.
La particolarità del componimento sta tutta nelle parole,alcune perdute, e nella splendida semplicità di accattivanti versi,che sono propri della tradizione musicalpopolare montecalvese che ha sempre accompagnato,evolvendosi, le vicende umane, politiche,storiche e religiose del paese.
Un popolo di artisti e di poeti ?
Ci piace pensare di si,sebbene si debba parlare più di spirito libertario, affiancato da una visione critica e speculativa dell’esistenza,in un periodo storico il ‘700,dove la presenza di indubbie genialità nelle arti e nelle scienze,trova quasi naturale espressione nella spiritualità alta e profonda di San Pompilio Maria Pirrotti.
Montecalvo fin dal tardo 500 ha avuto un teatro dove si rappresentava la commedia dell’arte e questo la dice lunga sull’atteggiamento avanguardiale del paese.La presenza di poeti, filosofi, storici, artisti in genere, legati alla ricca borghesia e nobiltà locale e agli artisti di Napoli e Roma, porterà ad una singolare evoluzione del paese che diventerà, inconsapevolmente, una isola felix della cultura meridionale e che troverà nel 700 la massima esplosione di stile e di partecipazione, anche popolare.
A significare quanto fin qui detto basti ricordare l’esistenza in Montecalvo del Sacro Collegio d’Arcadia,un movimento letterario straordinario,che favorì la presenza di uomini di cultura, attratti più dalla vita campestre che non da quella cittadina.Questa mancata fuga di cervelli,segnò il proliferare di giuristi, teologi,storici e storiografi,poeti e pensatori, attori e musicisti,in una spasmodica e continua ricerca di risposte al vivere,sotto il comprensivo e tutelante mantello di un clero forte e saggio,chiaramente illuminato se non addirittura illuminista.
La tradizione teatrale è continuata per tutto l’800 e ne sono prova tangibile i drammi a carattere sacro sulla vita di San Francesco e Sant’Antonio,scritti e recitati da Montecalvesi,senza dimenticare il sacro fuoco del Risorgimento.
Il novecento vede la fioritura del teatro leggero e la nascita,nel ventennio,di compagnie teatrali studentesche,organizzate e dirette da personale docente(Maestro Mario La Vigna…) e su testi di autori locali( Signora Angela Pisani Cavalletti).
Dopo la II guerra mondiale si riprenderà a far teatro,con compagnie instabili di giovani,nel mentre andrà perduto l’interesse per le arti.
Da circa 30 anni viviamo di ricordi,annoiati spettatori di un teatrino politico avvilente,perfido avido e scioccante, dove l’ennesima replica si connota di pantomime incomprensibili,costretti,comunque, a pagare un biglietto salato,non avendo,ahimé,nemmeno più il teatro.
Che s’allumma, si separa
Allegro ogn’uno, e faccia festa
Ca la ‘ncoppa l’Ammaculata nosta
E’ fatta mo Regina da lo figlio,
e chi la vede assettata conna crona
certo pe l’allegrezza mi scquacquiglio.
Non midite ca lo cielo stace bellone
Persinche la Zitella vede lo sole
E bui allummaccari, se non potiti tutti fa li lumi
Dicite schito rosari, a ragiuni.* Questo piccolo scritto è dedicato all’indimenticato amico Giuseppe Lo Casale, di cui oltre alla perizia storica, ci manca l’affabile sorriso e la irripetibile geniale regia di tante Commedie Teatrali.
[Nativo] -
PONTE APPIANO DETTO ANCHE “PONTE ROTTO”
Alfonso Caccese
[Ed. 00/00/0000] A dieci miglia romane da Benevento in direzione di Eclano, in località del Cubante nelle vicinanze dell’odierna Apice, secondo quando è segnato nella “ Tabula Peutingenaria”, la via Appia attraversava il Calore su un ponte monumentale, di cui oggi restano le insigni vestigia, per inoltrarsi nella valle dell’Ufita. Questo da testata a testata misurava circa 150 metri ed è a schiena d’asino, con sette piloni di cui tre in acqua e quattro sul terreno. Ogni arco misura 14 metri di luce e 5,5 metri di larghezza. La carreggiata è di circa 4 metri. La struttura del ponte è probabilmente di età Traianea.
La Via Appia fu la prima strada consolare romana costruita in epoca repubblicana, possiede un fascino tutto particolare. Non a caso Papinio Stazio la definisce Regina viarum.
La sua realizzazione, avvenuta in diverse fasi, consentì il collegamento fra Roma ed i più importanti centri del Samnium e dell’Apulia: Santa Maria Capua Vetere, Benevento, Eclano, Venosa, Taranto, Brindisi. Sulla Tabula è possibile seguire agevolmente il tracciato fino a Sublupatia (nei pressi di Castellana in Puglia).
L’inizio della costruzione di questa strada risale a quando il console Appio Claudio Cieco, dopo la I Sannitica, ordinò, nel 312 a.C., che si costruisse una via tra Roma a Capua. Nel 268 Fabio Massimo il temporeggiatore occupò Taranto e quindi la via Appia Antica venne prolungata, prima fino a Venosa e poi Fino a Taranto e Brindisi.. Per secoli il ponte Appiano ha subito la furia distruttrice delle acque del fiume Calore che è stata naturalmente causa, non solo di parziali mutamenti del corso del fiume, ma anche di continui rifacimenti del ponte stesso in diverse epoche.
Attorno ad uno dei piloni sporgeva, come si apprende da un sopralluogo pubblicato nel 1911 dal Dott. S. Aurigemma, un grosso lastrone di pietra viva collocato orizzontalmente, nella cui faccia superiore apparivano in bei caratteri epigrafici le ultime lettere di varie linee di una iscrizione latina.C- L- PRAEFECTO MER A RESCVSA-ET L.CORINTHVS MER ENE-MERITO L. FESTO-L.
Il titolo, incompleto, è stato conservato per la sola metà destra e gli elementi che esso fornisce non sono tali da potersi pronunciare sul suo carattere e sulla sua destinazione. Si pensa che l’epigrafe provenga dal territorio Beneventano, dove l’esistenza dei mercuriali è accertata da varie iscrizioni (cfr.C.I.L.IX, 1707, 1710). Per la distruzione di Aeclanum, ordinata da Silla dopo la guerra sociale, le popolazioni locali dovettero subire gli espropri e il passaggio della terra ai “coloni”. Lenta fu la ripresa dopo la distruzione, ma nel primo secolo d.C. già si rifacevano case e strade. Quando passarono gruppi di Goti, gli eserciti bizantini di Belisario e di Narsete si rinnovarono le devastazioni e distruzioni. [Nativo]
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L’EROTISMO NELLA CULTURA ORALE DELL’IRPINIA
Tre modi diversi, ma complementari, di ricercare e rielaborare questo aspetto particolare e non secondario dell’immaginario collettivo arcaico: Aniello Russo, Mario Aucelli e Angelo Siciliano
[Ed. 08/05/2008] Il termine eros, introdotto nelle lingue moderne da Sigmund Freud, viene dalle parole greche éros ed érotos, che significano rispettivamente amore e istinto sessuale. Eros sta per amore sessuale, che ha indiscutibili riflessi psichici sulla vita delle persone. Sempre presso i greci, Eros era il dio della passione amorosa. Non noto all’epoca di Omero come divinità personificata, fu introdotto da Esiodo come una delle potenze primigenie del cosmo, emerso con Gea e Tartaro dal Caos, e onnipotente su uomini e dei. Eros, inteso come principio generatore, fu il frutto di elaborazioni da parte di filosofi e orfici, seguaci costoro dei riti misterici. Nella poesia classica Eros divenne il giovinetto nudo dalle ali d’oro armato di arco e frecce, compagno di Afrodite, dea dell’amore, e trafiggeva il cuore degli uomini con i suoi dardi infiammandoli di passione. Più tardi fu rappresentato come putto, angioletto nudo o Amorino, e lo si trova dipinto a Pompei, nella casa dei Vetti, e poi, col Cristianesimo, nelle chiese e successivamente nelle volte affrescate dei palazzi a partire dal Rinascimento.
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Pellegrinaggio da Montecalvo a Campi Salentina
[24/06/2008] Montecalvo Irpino AV – Il 13/14/15-07-2008, giorni nei quali a Campi Salentina si festeggia il nostro San Pompilio Maria Pirrotti, è stato organizzato un pellegrinaggio in bicicletta che porterà i partecipanti da Montecalvo Irpino a Campi Salentina dove si uniranno con gli altri pellegrini che giungeranno in autobus. La partenza del mini-tour è fissata per il giorno 13 luglio alle ore 17,00. Dopo varie tappe attraverso la terra pugliese si giungerà all’arrivo il giorno 15 luglio alle ore 10,20. Tra i promotori dell’iniziativa il vulcanico assessore alle attività produttive ed alla promozione di Montecalvo, Nicola Serafino, che è stato l’ispiratore principe di questa manifestazione. A tutti i partecipanti un cordialissimo in “bocca al lupo” dalla redazione di www.irpino.it. [Nativo]
Redazione
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Angelica
Poema contadino ottocentesco in dialetto irpino di Montecalvo Irpino (AV) di 107 quartine – Storia d’un ritrovamento – Trascritto e tradotto da Angelo Siciliano
[Ed. 00/00/0000] Nel 1987 iniziavo a recuperare e scrivere la cultura orale del mio paese natale, Montecalvo Irpino. Ritenevo di poter risolvere l’operazione circoscrivendo la ricerca all’aspetto esclusivamente letterario di quanto gli antenati, per secoli, avevano ripreso dalla cultura ufficiale, prodotto o rielaborato autonomamente e sedimentato. In sostanza presumevo che tutta la questione si potesse risolvere semplicemente trascrivendo i cunti, i detti, le filastrocche, le maledizioni ecc.. Non trascorreva molto tempo, però, e m’accorgevo che la trascrizione in dialetto locale del materiale summenzionato, seppure fedele e con traduzione a fronte, non solo risultava riduttiva, rispetto ad un patrimonio orale che cominciavo ad intuire vasto e straordinario, ma non rendeva giustizia alla storia della gente che quegli strumenti di comunicazione arcaica aveva adoperato quotidianamente, e che cambiamenti epocali, già in atto da tempo nella società nazionale, stavano per cancellare per sempre. Diventavano fondamentali, quindi, una raccolta a più ampio raggio di tutto il materiale reperibile sul territorio, prima che scomparisse la generazione d’anziani che ne era portatrice, e l’introduzione di una visione antropologica di tutto l’insieme.Rivolgevo allora la mia attenzione anche ai canti, di cui echeggiavano i campi, durante i faticosi lavori agricoli, e gli antri delle case nei freddi e fumosi mesi invernali. Non essendo io un etno-musicologo, dovevo limitare il raggio d’azione alla registrazione, trascrizione, traduzione, annotazione dei testi e alla classificazione per tipo dei tanti canti raccolti. La trascrizione delle note musicali delle melodie avrei dovuto affidarla in seguito a qualche volenteroso specialista del settore.Dal 1988 si era venuta insinuando in me la convinzione, che anche nella tradizione orale montecalvese potesse esservi traccia di qualche poema epico, ascoltato e appreso dai compaesani dalla viva voce dei cantastorie che, nei secoli passati, girovagavano per i paesi in occasione di fiere e feste, più raramente nei mercati settimanali. Da testimonianze raccolte, a Montecalvo i cantastorie erano passati sicuramente sino agli anni Trenta del ventesimo secolo.Nel 1989, Domenico Iorillo, 1910-1991, noto in paese come zi’ Mingu Trancucciéddru, grande cantatore durante la trebbiatura del grano, nonostante gli acciacchi dell’età, nel fisico e nella voce, mi cantava tra diversi canti un frammento che, a un riscontro posteriore di qualche anno, sarebbe risultato far parte del poema da me agognato. Il 12 aprile 1990 la mia ostinazione era premiata. Avevo finalmente trovato quel che cercavo, anche se niente m’avesse fatto presagire che vi fosse. Felice Cristino, conosciuto come Filici Pannucciéddru, contadino, classe 1921, mi cantava la metà del poema Angelica di 107 quartine. Me n’affidava anche il testo, fotocopiato da un quadernetto di quattordici pagine, ricevuto in prestito in cambio di due polli, su cui una sua cognata, Mariantonia Fioravanti, classe 1928, anche lei contadina, l’aveva trascritto nel 1949, sotto dettatura di suo nonno, contadino e pastore analfabeta, Giuseppe Fioravanti, 1874-1970. Costui godeva fama di gran cantore e asseriva d’avere inventato lui stesso il poema, ispirandosi alla trama di un romanzo del ‘700 che, per quanto io abbia finora ricercato, non sono riuscito a riscontrare presso alcuna biblioteca. In seguito iniziavo la trascrizione, traduzione e interpretazione del testo nel tentativo di collocarlo idealmente nella tradizione popolare. [Nativo]
Angelo Siciliano
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PIAZZA CARMINE (L’olmo che non c’è)
Antonio Stiscia
[Ed. 19/08/2005] A baluardo di un millenario, felice e non casuale connubio tra il Sacro e il Faceto, troviamo la Chiesa del Carmine e l’Olmo, quasi a simboleggiare la instaurata pace tra l’uomo e Dio e tra l’uomo e la natura.
Cinquant’anni fa, si abbatté, il maestoso olmo, che solo l’animo sensibile e nostalgico di un nostro emigrato (Placido A. De Furia) poteva ricordare con versi di un sì sublime ardente rispetto.
Aveva più di mille anni il nostro amico,lo avevano piantato i Longobardi (che consideravano l’Olmo un albero sacro, ben rappresentativo della loro forza e fierezza d’animo), vicino a quella Chiesa che per loro volontà si chiamerà di San Sebastiano e solo molto tempo dopo del Carmine.
I Longobardi (longa-barda) (barda: grande ascia da combattimento, tipica di queste genti) erano degli svedesoni forti, rozzi e ignoranti, requisiti indispensabili per la conquista di una Italia decadente e lasciva.
Ariani convertiti al Cattolicesimo,più che essere usati dalla religione,ne furono abili fruitori e sebbene temessero il Demonio,adoravano la Vipera.