Cultura

  • Etimi,  Storia

    Montecalvo Irpino – Le origini del nome

    Mario Sorrentino

    [Ed. 00/07/2003] Stabilire l’origine del nome Montecalvo è compito arduo e complesso. Riferimenti certi non ve ne sono.
    Molti hanno provato a dare interpretazioni, a volte anche fantasiose, le più veritiere possibili e le numerose fonti storiche consultate non aiutano a risolvere il problema.
    Un’ipotesi semplicistica, ma priva di fondamento storico, vorrebbe il nome derivare dalla mancanza di vegetazione sul colle, un’altra dalla famiglia romana Caldia padrona della collina, ma un’affascinante terza ipotesi potrebbe essere la più veritiera.
    Tipica di questo colle e della zona, è, infatti, la coltivazione del grano e la fioritura delle ginestre che hanno in comune un particolare, il colore Giallo, in latino “Galbus”, che in alcune ore del giorno avvolge la collina di magnifici riflessi dorati, donandogli appunto quella particolare colorazione.
    Quindi da un ipotetico Mons Galbus (Monte Giallo), con le trasformazioni linguistiche, come ad esempio quella spagnola che trasforma la lettera “b” in “v”, influenza presente ancora nel dialetto Montecalvese, si sarebbe potuto passare ad un realistico Montecalbo e quindi Montecalvo. Ipotesi di certo intriganti, in lotta tra loro ma nessuno in grado di sopprimere le altre, la curiosità resta, solo la continuità nella ricerca storica potrebbe in futuro aggiungere elementi chiarificatori e decisivi per la vera origine del nome.

    Nuova ipotesi da studi recenti

    …E Montecalvo? Il suo nome, cioè. La mia ipotesi, fondata sempre su solidi studi di toponomastica, è che indichi una comunità a cui non è mai stato dato un nome diverso da quello puramente geografico e fisico del luogo, forse perché la nostra comunità fu formata da gente che arrivava alla spicciolata, in fuga da eventi bellici o altri disastri, come terremoti o altro, gente di provenienze diverse, che cercava protezione intorno al castello normanno, dopo il Mille e a più di mille anni dalla fondazione della comunità che mi piace chiamare senz’altro Anzano.
    Di posti chiamati “Montecalvo” ve ne sono a bizzeffe in Italia. E meno un altro paio di paesi, tutti posti spopolati e brulli. Uno, Monte Calvello, addirittura ci guarda da sopra Casalbore. Un altro è nei paraggi di Benevento. Un altro nella Daunia. Sono nella quasi totalità luoghi disboscati in varie epoche per fornire legname alle flotte romane, per ottenere erba da pascolo, per la ripresa delle coltivazioni dopo il Mille, ecc. Peccato, perciò, che mai nessuno abbia pensato di dare al nostro paese un vero e proprio nome. Il motivo fondamentale probabilmente è stato che la gente che lo fondò veniva da comunità diverse, aventi diversi nomi, e nessun gruppo poté prevalere al punto di spuntarla con il dare il proprio nome di provenienza,
    Queste mie sono ovviamente soltanto ipotesi, per quanto argomentate. Ma dimostrare che sono infondate è altrettanto difficile che dimostrare il contrario. Di fasti storici illustri mi pare che non ve ne siano stati troppi, da noi. Però vi si è acclimatata una gente che non è di plastica, mi pare.
    Da uno studio di Mario Sorrentino ( Bologna ) Luglio-2003 [Nativo]

  • Cultura

    UNA CELLULA TEMPLARE PISANA IN TERRA DI CAPITANATA

    G.B.M. Cavalletti

    Dagli inediti cabrei della commenda gerosolimitana di Troia, tra le più antiche d’Europa, la clamorosa scoperta che questa fu una fondazione templare della città di Lucca, dipendente dal gran priorato di Pisa. Non si chiamò, in origine, così come la storiografia ce l’ha tramandata, di «San Giovanni Battista di Troia», ma dei «Santi Pietro e Giovanni di Lucca».

    Troia, Foggia, Manfredonia, il fiume Rivoli, Biccari, Ariano Irpino, Apice e Montecalvo Irpino, furono le sue grance; Calore, Miscano, Celone, Ufita e Carapelle i suoi fiumi; Rivoli e Manfredonia, i suoi porti; il Regio Tratturo Pescasseroli-Candela e la consolare via Traiana furono le sue strade; la valle del fiume Miscano, strategica cerniera tra il nord e il sud della penisola italica, passo obbligato per le avventure crociate e i commerci mediorientali, fu la sua culla; il ponte del Diavolo in Montecalvo Irpino, come sorta di esorcismo detto anche di Santo Spirito, fu la linfa ispiratrice di storie e leggende. Chi volesse approfondire puo’ leggere il mio saggio pubblicato nel n.ro 3, anno 2021, della rivista «l’Universo» dell’Istituto Geografico Militare di Firenze.

    Didascalia  foto (da sinistra guardando):
    1 Montecalvo Irpino, ospedale di S. Caterina d’Alessandria – Secolo XII-XIII – prospetto est.
    2 Stemma dell’università di Montecalvo sormontato dalla croce templare. Particolare dalla pergamena del 23 dicembre 1484 in archivio D’alessio Trancucci Montecalvo Irpino (in basso).
    3 Montecalvo Irpino – Oasi francescana Maria Immacolata.
    Formelle gerosolimitane già facenti parte del portale della chiesa di Santa Maria Maddalena in Montecalvo.
    4 Montecalvo Irpino, chiesa di S. Sebastiano «degli Spagnoli», detta del Carmine – Statua lignea Madonna del parto raffigurante la Vergine della Libera con croci templari nel palmo delle mani.

    *chi volesse approfondire puo’ leggere il mio saggio pubblicato nel n.ro 3, anno 2021, della rivista «l’Universo» dell’Istituto Geografico Militare di Firenze.

  • Cultura,  Cultura orale

    LI DITTI ANTICHI NUN FALLISCINU MAI (I detti antichi non falliscono mai)

    Mario Corcetto

    La presente raccolta riunisce 418 proverbi in vernacolo montecalvese, non proverbi “montecalvesi”, perché certamente non tutte le massime raccolte sono state coniate a Montecalvo, anche se comunemente usate nel quotidiano. Larghissima parte di esse credo provenga da paesi e popoli vicini, con cui i montecalvesi hanno interagito in passato. Sono entrati a far parte della nostra tradizione, oserei dire ammesse, non prima di avere subito una sagace selezione da parte dei nostri padri che, in quanto ad acume, non li si può ritenere secondi a nessuno. Nel raccoglierli, ho cercato, con rigore metodologico, di tenermi lontano da ogni contaminazione esterna, dovuta ai contatti con persone provenienti da tutt’Italia, che avrebbe potuto compromettere il lavoro di recupero sperato. Per questo motivo, ho trascritto soltanto quei proverbi che sono assolutamente certo di aver sentito dire a Montecalvo.

    E’ stato per me divertente scavare nei miei ricordi ed annotare, man mano che mi sovvenivano, queste massime che, se ne può convenire, sono delle vere e proprie perle di saggezza. Esse, con poche parole, riescono a sintetizzare giudizi, dettami o consigli che derivano da esperienze comuni di vita vissuta. Si tratta di confortanti pensieri di verità, capaci di esorcizzare paure, preoccupazioni ed incertezze, fornendo una chiave di lettura dei fatti umani, stemperandone a volte la gravità con la mera testimonianza del già vissuto. Quasi una sorta di nobilitazione dei fatti ordinari e delle miserie, che possono così assurgere a “cultura”. Li potremmo definire delle istantanee di esperienze, capaci di immortalare un sentire piuttosto che un vedere! Sono tutti belli. Alcuni li ho trovati esilaranti, come la pretestuosa condizione de “Lu mijézzu puórcu miju lu vogliu vivu” (Il mio mezzo maiale lo voglio vivo), altri amari, altri poetici… qualcuno forse un po’ scurrile. Ma tutti profondi e capaci di esprimere e tramandare il sapere popolare meglio di qualsiasi trattato. Oltre ad evidenziare una spesso misconosciuta nobiltà d’animo del popolo montecalvese: “A la casa di lu pizzente nu’mmanchino maj li tozzira” (Nella casa del povero non mancano mai i tozzi di pane): per dire che il povero, più che il ricco, sa essere disponibile verso chi è nel bisogno.

    Molti li ho “testati” fuori sede! Ricordo di aver sollecitato una pratica ad un collega di Trento, apostrofandolo dicendo che “La cera si cunzuma e la prucissione nu’cammìna” (La cera si consuma e la processione non cammina). Ai miei diretti collaboratori dicevo spesso: “Ti sacciu piru a la vigna mija” (Ti conosco pero alla mia vigna) per richiamare coi piedi per terra chi tendeva a sopravvalutarsi. Ad un collega che si era venuto a sfogare per l’incauto acquisto di una macchina usata, rivelatasi una fregatura, dissi che: “Lu ciucciu viécchju a la casa di lu fessa móre” (L’asino vecchio in casa del fesso muore). Debbo dire che hanno tutti centrato l’obiettivo! Ho sempre strappato un sorriso ed ottenuto l’effetto sperato.

    Citandoli, non ho fatto altro che esportare saggezza, non mia certamente, ma dei nostri avi.

    Questi proverbi, spesso in metafora, talvolta in rima, hanno tutti la caratteristica di non stigmatizzare comportamenti, quanto di tesaurizzare le esperienze per evitare che si ripetano gli errori commessi.

  • Beni,  Beni artistici e storici,  Cultura

    La LAPIDE di contrada PRATOLA

    Mario Sorrentino

    [Edito 28/03/2011] Lapide apparentemente di marmo, ora scomparsa, ma certamente esistente sino al 3 novembre 2003 (come provano queste immagini). Era usata come coperchio di una fontana abbeveratoio in località Pratola di Tressanti (territorio di Montecalvo Irpino). Delle dimensioni di cm. 40 x 60, recava incisa la seguente epigrafe che non risulta repertata nel Corpus Inscriptionum Latinarum:

     

    “GAVOLEIAE . P . F . R(VFAE)

    O . SEPPIO . Q . F . RVFO

    EX . TESTAMENTO

    ARBITRATV

    CRITTIAE . M . F . POLLAE”,

     

    la cui traduzione probabile è “Morto Quinto Fabio Rufo Seppio, per testamento e (successivo) arbitrato di Crizia Paolina, mater familiae, ( la cosa su cui insiste la presente lapide) appartiene a Gavoleia (?) Rufa, pia foemina.”

    Questa era l’unica epigrafe non funeraria esistente in prossimità di un ager romano probabilmente urbanizzato ai tempi di Cornelio Silla (I sec. a. C.), in località Pratola di Tressanti (v. Sez. n. ). [Nativo]

     

  • Approfondimenti,  Politica

    Viaggio nel mondo della politica. Un simpatico incontro

    Alfonso Caccese

    [Ed. 00/02/2004] Montecalvo Irpino AV – In uno dei tanti pomeriggi mesti e silenziosi ci siamo imbattuti in un gruppo di anziani che seduti su una panchina in piazza Carmine, discutevano di quello che a loro in questo momento interessa di più:lo stato ed il futuro del sistema pensionistico. Incuriositi dal caloroso tono della discussione ci siamo avvicinati e pian piano siamo entrati nella discussione che volutamente abbiamo fatto scivolare su problemi di politica locale. Abbiamo chiesto il loro parere sui comportamenti degli amministratori attuali e se erano soddisfatti del loro operato. Ci hanno risposto,con ampi gesti di rassegnazione,che più di tanto non potevano fare per il paese, vuoi per la scarsa capacità progettuale degli assessori locali vuoi per la grande confusione che regna a livello di competenza provinciale,regionale e nazionale, e che nonostante tutto l’amministrazione guidata dal sindaco uscente Alfonso Caccese è stata di garanzia alla conservazione dei diritti inerenti alla loro condizione di anziani. Su alcuni giovani assessori colorito e netto è stato il giudizio:”songu buoni uagliuni ma non ea cosa loro piglià lu posto di Fonzo”,tradotto per i non montecalvesi :”sono bravi ragazzi ma non è nelle loro capacità sostituire il sindaco Alfonso. A questo punto abbiamo chiesto loro come giudicano il fatto che il sindaco non si possa più candidare. Scrollando le spalle il più anziano di loro ci dice che moralmente la legge è giusta, ma si mostra preoccupato “pi dinta a quali manu amma ii a finii”,non sapendo indicare quale possa essere la persona giusta alla carica di sindaco:“ci stà quaccheduno che ci sape fà pi la gente ma nunnea come l’ati ch’anno diventatu sinnaco”. Di nomi neanche a parlarne sottovoce paventando una discrezionalità di antica data e saggia esperienza. Nonostante  l’incontro volga al termine hanno uno scatto,un sussulto e nel momento in cui stiamo per lasciarli ci chiedono all’unisono:”e bbui co’ chi state”, cu’ li russi o cu’ li janchi?”,impreparati nel rispondere all’inaspettata domanda rispondiamo amaramente “cu nisciuno”. [Nativo]

  • Cultura,  Poesia

    “Lu Communi” poesia di Angelo Siciliano

    Angelo Siciliano

    [Ed. 27/01/2005] Zell TN – L’edificio comunale montecalvese, col suo aspetto architettonico così diverso e inconsueto rispetto agli altri palazzi del paese, fu edificato dopo il terremoto del 1930, secondo lo stile littorio elaborato dall’architetto e urbanista del regime, Marcello Piacentini, che tanto contribuì allo sventramento di Roma. Strutture architettoniche dello stesso tipo, spesso più elaborate e con intenti celebrativi e monumentali, sono presenti in tutte le città italiane. Il terremoto distruttivo del 1930 causò, solo a Montecalvo Irpino, la morte di 83 persone. Poi vi sono stati altri due terremoti distruttivi: quello del 1962, che provocò indirettamente la morte di una signora, e quello del 1980, che non provocò vittime a Montecalvo, ma ne causò quasi tremila nel resto dell’Irpinia e in Lucania.
    Delle due foto del Comune di Montecalvo, una l’ho scattata nel 2004, l’altra, a cui ho dato i colori, è del 7 aprile 1946 e appartiene all’archivio di Agnese Cristino, vedova di Oreste e nuora di Pietro Cristino, primo sindaco democratico di Montecalvo Irpino, eletto proprio nell’aprile del 1946. [Nativo]

    LU CUMMUNI

    Lu cummùni, nu palazzu fatt’a shcàtuli:
    la pìccula ‘ncòppa, cu lu llòrgiu,
    la ròssa sótta, cu lu barcóne andó s’affacciava
    chi cummànnava e ss’éva fa vidé.
    Fu lu rijàlu fascista pi li tanta
    muórti di lu tirramóte di lu Trènta,
    ca facètt ‘nchjanià palazz’e chjiésiji.
    Pócu luntànu, dòppu lu tirramóte
    di lu Sissantadùji, sfrattànnu la cantina
    di nu palàzzu, truvàrnu li shcatulètt fràcidi
    ca lu padrone s’er’ammucciàt’a lu tirramóte
    di lu Trènta, ‘mméce di li spinzià a la gente.
    Ma puru dòppu lu Sissantadùji
    e dòpp’ancóra, ci fu chi si n’apprufittàvu
    cu lu magna magna: si cagnàva partìtu,
    si facéva carna di puórcu,
    paréva ca ‘n s’abbuttàvunu maji.
    ‘Nd’à stu municìbbiju, da quannu
    ci trasètt lu pudistà, dint’a lu suttànu,
    c’abbijàrn’ammintunà carti e ccu lu tiémpu
    s’ave chjinu com’a n’uóvu.
    Si unu cerca cóccósa ddrà ddintu,
    jà com’ascià n’ agu ‘nd’à nu pagliàru,
    ci pó’ ttruvà puru nu nidu di sórici.
    Dòppu la uèrra, sótt’a lu cummùni ci stéva
    la Càmmira de’ llavóro e ‘mmiézz’a la chjazza,
    a la stagióna, s’accugliévunu li mititùri ‘la séra
    ca li massàri si li mminévun’a ccapà.
    D’ati tiémpi, si mittévunu l’uómmini‘ncòppa
    a li fiérri: accuntàvun’a ffil’a ffilu quéddru
    ca l’era capitàtu a li ddóji uèrri mundiàli.
    Passàvunu cu li ciucci cu la sàlima li cristijàni,
    uagliùni ch’alluccàvunu, fèmmini cu lu varrìlu
    o na césta ‘n capu, sèrivi cu li bórzi chjéne,
    cócche ssignóre cu la códa crécca.
    Po’ cócchidùnu si shcaffàvu ‘nd’à li cchjòcchi
    ca ‘stu paese era viécchju e ssi di n’ómu
    viécchju si ni scòrdunu, li ccàsura vècchji
    s’abbandónunu. Accussì lu paese s’ave dillatàtu
    da quà e da ddrà pi ddint’à li tterr’attuórnu.
    Si tatóne lu vidéss mo’ da luntànu, dicéss
    sicuramènt ca pare Nàbbuli pìcculu.
    Ma li genti so’ ccuntènt di ‘sti ccasi nóvi
    a lu mmarànu, ‘nfacci’a bbòrija?
    Da quannu puru lu Trappìtu ave muórtu
    pi ‘nnant’a ‘stu municìbbiju, a la sera,
    ci passa sulu cócche ccanu spèrzu.

    IL MUNICIPIO

    Il municipio, un palazzo fatto a scatole:
    la piccola sopra, con l’orologio civico,
    la grande sotto, col balcone da cui s’affacciava
    chi comandava e doveva farsi vedere.
    Fu un regalo fascista per i tanti
    morti del terremoto del 1930,
    che fece abbattere palazzi e chiese.
    Poco distante, dopo il terremoto
    del 1962, svuotando la cantina
    di un palazzo, si rinvennero barattoli corrosi
    che il proprietario aveva imboscato al terremoto
    del 1930, invece di distribuirli alla gente.
    Ma anche dopo il 1962
    e dopo ancora, vi fu chi si approfittò
    con accaparramenti: si cambiava partito,
    c’era chi se la sapeva godere,
    mai mostrando d’essere soddisfatto.
    In questo municipio, da quando
    vi entrò il podestà, nel seminterrato,
    iniziarono ad accumulare documenti
    e col tempo s’è riempito come un uovo.
    Se uno va per qualcosa lì dentro,
    è come cercare un ago nel pagliaio,
    vi potrebbe trovare anche un nido di topi.
    Dopo la seconda guerra, sotto il comune vi era
    la Camera del lavoro e nella piazza,
    d’estate, vi si radunavano i mietitori di sera
    per essere ingaggiati dai massari.
    In altre stagioni, i reduci si sedevano
    sulle sbarre di ferro: raccontavano con ordine
    le loro disavventure nelle due guerre mondiali.
    Passavano con gli asini con la soma gli uomini,
    ragazzi che schiamazzavano, donne col barile
    o una cesta sul capo, serve con la borsa piena
    della spesa, qualche borghese altezzoso.
    Poi qualcuno si incaponì
    che questo paese era vecchio e se un uomo
    vecchio va dimenticato, le case vecchie
    si abbandonano. Così il paese s’è dilatato
    di qui e di là nei terreni coltivi tutt’intorno.
    Se il nonno lo osservasse ora da lontano,
    direbbe sicuramente che è una piccola Napoli.
    Ma la gente è contenta di queste case nuove
    senza sole, esposte sempre a bora?
    Da quando anche il Trappeto è morto
    davanti a questo municipio, di sera,
    vi passa solitario qualche cane randagio.

  • Ricorrenze religiose

    I fuochi e i piccoli aerostati di S. Giuseppe nella tradizione montecalvese

    [Ed. 20/03/2005] A Montecalvo Irpino il 19 marzo si festeggia S. Giuseppe e nel pomeriggio il paese si anima, perché è attraversato dalla processione con la statua del santo, appartenente alla chiesa di S. Bartolomeo, seguita dai fedeli e da diversi automezzi.
    In passato, questa festa riguardava soprattutto gli artigiani. Anche i contadini e i massari, tuttavia, partecipavano con mucche e carri.
    Con l’introduzione di camion e trattori nelle attività lavorative, si cominciò a sfilare anche con questi mezzi dietro la processione e i gas di scarico ammorbavano l’aria rendendola irrespirabile.
    Era una specie di sfida per mostrare agli occhi della gente le mucche più belle, con le corna infiocchettate di nastri colorati, e anni dopo il trattore lucidato, più grosso e potente di quelli della concorrenza.
    All’imbrunire, era tradizione accendere dei fuochi negli slarghi del paese e davanti alle case di chi viveva in campagna.
    Questa tradizione è comune ad altri paesi dell’Irpinia.
    Qualche giorno prima della festa, le famiglie, o la gente dei rioni che era animata dallo spirito di clan, si davano da fare per raccogliere materiale da ardere per l’occasione. Accatastavano paglia, ramaglie, fascine e, giunto il momento dell’accensione, adulti e bambini si radunavano eccitati e vocianti attorno al cumulo di materiale che si era riusciti a costruire.
    A un certo punto colui che fungeva da capo clan, diventava piromane dando fuoco alla catasta.

  • Carnevale,  Cultura

    Chiacchiere e Strufoli

    [Ed. 07/02/2005] Montecalvo Irpino AV – “A carnevale ogni scherzo vale”. I ragazzini scorazzano mascherati per le vie del paese entrano nelle case con allegria e gioiosità. Al carnevale chiedono poco o niente. “Carnuvàle, carnuvalicchiu, daccì ‘nù pocu di sausicchiu e si ‘nun ci lu vuoi dàne cà ti pozza ‘nfraciddàne”.

     

     

    Redazione

  • Carnevale,  Cultura

    La Magia del Carnevale

    Alfonso Caccese

    [Ed. 08/02/2005] Montecalvo Irpino AV – Tradizionale appuntamento in piazzetta (piazza Vittoria) per tutti i bambini in maschera per partecipare alla consueta sfilata di carnevale. La manifestazione patrocinata dalla amministrazione comunale di Montecalvo Irpino in collaborazione con la Pro-loco ha visto la partecipazione di tanti ragazzi che hanno dato vita ad un colorito corteo colorato che ha sfilato per le strade del centro cittadino per poi ritrovarsi di nuovo in piazzetta dove si sono abbandonati a scherzi e lazzi di ogni genere sotto gli occhi vigili di organizzatori e genitori precocemente canuti per il classico ed oramai immancabile lancio di farina e coriandoli. Dopo la manifestazione in piazza, le mascherine si sono ritrovate presso il palazzetto dello sport di via Roma dove è continuato l’appuntamento con la fantasia, l’allegria ed il buon umore. [Nativo]

     

     

  • Cronaca,  Gastronomia

    I nostri prodotti tipici, in mostra, a Donceel

    [Ed. 22/02/2005] Montecalvo Irpino AV – Nel Comune di Donceel (Belgio) è stata organizzata una manifestazione sui vini, dal 18 e 19 febbraio c.a. all’interno della manifestazione è stato allestito uno stand di prodotti tipici Montecalvesi. La cena di gala, che ha chiuso la manifestazione, è stata organizzata con i nostri prodotti: cicatielli, pomodori, olio, salumi, formaggi e vino.
    I nostri produttori si sono attivati per spedire le merci su richiesta delle autorità di Donceel per l’ organizzazione si è interessato l’Assessorato allo Sviluppo e Promozione del Comune di Montecalvo con il contributo della locale Pro-Loco.
    Alla manifestazione hanno partecipato, oltre alle autorità Belghe, alcuni imprenditori già interessati all’esportazione dei nostri prodotti tipici, questa iniziativa è stata apprezzata dai produttori locali, che si sono impegnati all’ importazione in Belgio dei nostri prodotti qualora si definiranno le trattative intraprese. Foto F. D’Addona

    Redazione