Il nostro passato
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Possessori feudatari di Montecalvo ai tempi dei Normanni
[Ed. 00/00/0000] Ruggiero, che fu poi re di Puglia e di Sicilia – dopo le guerre con Ruggiero conte di Ariano, lo esiliò in Sicilia, e fondò la Contea di Buonalbergo – in terra beneventana, alla quale fu aggregata Montecaivo come terra feudale – e fu posseduta dal Conte Ruggiero di Buonalbergo. In quei tempi il titolo insigne di conte era di pochissimi. Prima di re Ruggiero, fondatore della monarchia – senza dubbio la nostra terra era inclusa nella contea di Ariano, fin dalla spartizione delle terre — fatta tra i conquistatori normanni.
Con il declino dell’impero Romano d’occidente, Montecalvo assume una propria identità, e le cronache del tempo registrano già nel 1099 la partenza di una sessantina di propri militi alle crociate per la liberazione di Gerusalemme. La prima famiglia che ha avuto il possesso del feudo Montecalvese, della quale si ha notizia, è quella dei Portofranco. Dal catalogo dei baroni normanni, compilato ai tempi di re Guglielmo il Buono – che si conserva nell’Archivio di Stato di Napoli – rileviamo al N.° 351 – che Montecalvo rimase infeudata alla moglie di Pietro Franculo, e alla moglie di Guglielmo Potofranco, sorelle. — Queste erano le feudatarie del Conte di Buonalbergo, che avevano la signoria della nostra terra — ed erano tenute a servire il re con quattro militi, per il feudo di Montecalvo — e con un sol milite per il feudo di Ginestra, ma ne offrirono dieci militi per il servizio militare della crociata. « Ogni milite era un nobile, porta seco altri tre cavalieri ignobili – tale era l’usanza militare e cavalleresca dell’ epoca. Ecco le parole: Uxor Petri Franculi et Guillelini Potifranci sorores – tenent Montem calvum, quod est feudum quatuor militum et Genestram feudum unius militis – et cum augumento obtullt milites decem. Nei regni di Sicilia – dopo re Ruggiero – successero l’un dopo l’altro, i due re normanni Guglielmo il Malo e Guglielmo il Buono. La prima luce intorno a Montecalvo balza ai tempi di questo re. – La notizia precisata dai documenti del R. Archivio di Stato di Napoli ci illumina, relativamente, l’ambiente e l’epoca – getta una luce rivelatrice sul passato – ci permette di parlare con sicurezza di essa terra, e ci dimostra, in direttamente, che vantava la sua esistenza anche pri ma del regno di questo re.Difatti, se non fosse stato così, noi dovremmo pen sare che Montecalvo sia apparsa, improvvisamente, alla ribalta della storia ai tempi normanni – ed avrebbe avuta la sua fisionomia iniziale e la sua fondazione originaria tutta normanna. Ciòè a dire, ai tempi delle crociate contro gli infedeli, quando le armi cristiane vittoriose andavano a difendere il sepolcro di Cristo- ed erano in movimento migliaia di cristiani. In quegli anni, quando ogni cittadino si trasformava in un crociato, ed aspirava a riposare sotto le mura di Gerusalemme.Viceversa, noi da questi riflessi – apprendiamo chiaramente, che quello non era il suo stato embrionale, e perciò le sue origini dovevano essere molto più antiche di quell epoca. Questa affermazione si rafforza al riflettere che non si poteva improvvisare, da un momento all’altro, un grosso centro abitato.Queste considerazioni ci autorizzano ad affermare, con fondatezza, che la sua epoca ultra normanna – e ultra longobarda.Però, la mancanza assoluta di documenti e di noti zie cronistoriche al riguardo, non ci permette di stabilire altro prima dei tempi anzidetti – e ripetiamo che a nulla è valsa – almeno sinora – ogni nostra indagine. Indubbiamente, se esisteva ancora prima – la sua storia è collegata alla storia di Benevento, perché compresa nel dominio beneventano.È a notarsi in ultimo che intorno ai medesimi tempi di Guglielmo il Buono, troviamo Montecalvo nel Giustiziariato di Principato — e giustiziere ne era il Prelato Abate di S. Elena, il quale era anche feudatario. Ecco le parole: Abbas S. Helenae tenet Montem Calvum, quod est feudum unius militis – Era tenuto a servire il re con un sol milite per il feudo di Montecalvo.Come pure è a sapersi che il Catalogo dei baroni normanni, che presero parte alla spedizione militare di Terra santa – fu fatto in dieci o dodici anni. Ciò spiegherebbe questi nomi. – Riguardo al titolo di S. Elena – crediamo fosse stata S. Elena Vergine arianiese – il di cui corpo fu trovato con tale iscrizione nel rifarsi l’altare maggiore della Cattedrale di Ariano, Con altre reliquìe. ( Vedi Vitale) [Nativo]Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[P. Santosuosso B., Pagine di storia civile di Montecalvo Irpino, Tipografia Fischetti, Sarno SA, 1913] -
Dalla Democrazia Cristiana alla Margherita
Breve cronistoria dal dopoguerra ad oggi
Alfonso Caccese
[Edito 00/03/2004] Nell’immediato dopoguerra, negli anni compresi tra il 1945 e il 1948, nel chiuso delle sacrestie e nell’austerità dei luoghi religiosi, a Montecalvo Irpino,come d’altronde in altri paesi della provincia di Avellino, un gruppo di giovani professionisti locali, costituiscono la prima sezione della D.C. Momento difficile,perchè in quegli anni il paese era altamente in fermento. Abbastanza attivi sono i rappresentanti della vecchia borghesia locale,attaccati visceralmente alla monarchia ,che fronteggiano con vigore l’avanzare del fronte popolare costituito dai comunisti e dai socialisti,abbastanza radicati nelle campagne montecalvesi, mentre nel paese si respira aria di”Uomo qualunque”, di Parrittiana memoria. Primo banco di prova per la verifica degli schieramenti in campo,il referendum costituzionale del 1948. Storici restano i comizi sui balconi di Piazza Vittoria, dove molti oratori si alternano con toni moto aspri ad affermare le proprie ragioni,facendo maturare tra la folla acute discussioni sfociate spesso in liti furibonde e cruente. Come in tutto il resto dell’Italia anche Montecalvo si pronuncia per la nascita della repubblica con pochi voti di scarto.
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Montecalvo Irpino e il risorgimento nazionale.
[Edito 00/02/2004] Dopo la restaurazione borbonica è nel 1820 che nel meridione diventa corposo il sentimento di libertà politica con i primi ferventi per l’unificazione della nostra nazione. Dopo l’esperienza di Napoli , che aveva vissuto una fiammata di libertà, ora sono le popolazioni irpine pronte a scuotersi e a muovere in armi al primo segnale favorevole. Il Re Ferdinando I, temporeggiava nel prendere coscienza del volere del popolo , che richiedeva assolutamente una Costituzione democratica a tutela delle proprie libertà, e se da un lato la prometteva solennemente , dall’altro meditava un modo come ritornare al potere assoluto. L’occasione per compiere questo ennesimo atto criminale fu colto dal Re, nell’ottobre del 1820, quando allontandosi da Napoli,a Lubiana avanzò una formale richiesta di aiuto dell’esercito austriaco volendo ristabilire così con la forza la restaurazione contravvenendo ai patti giurati nella Costituzione. I patrioti, avvisati per tempo, prepararono subito una valida difesa organizzandosi in contingenti militari armati. Dalla nostra provincia furono molti quelli che accorsero a formare queste bande armate. Montecalvo, contribuì con lo stesso fervore all’azione in favore della Costituzione desiderata, partecipando attivamente alla guerra contro gli austriaci e molti dei suoi concittadini erano presenti allo scontro armato a Rieti – Antrodoco e l’Aquila contro gli invasori, agli ordini del generale Guglielmo Pepe, a capo del moto costituzionale organizzato da ufficiali dell’esercito napoletano. Al comando dei reparti costituzionali, Pepe affrontò le truppe austriache mandate dal Congresso di Lubiana a restaurare la monarchia assoluta a Napoli. A Rieti le truppe liberali napoletane vennero sconfitte nel marzo del 1821 e Pepe dovette esulare e come conseguenza si ebbe la ricaduta delle nostre popolazioni nell’antica schiavitù Borbonica. A tutt’oggi conosciamo una quarantina di nomi di nostri conterranei partiti per quella spedizione.
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I Democratici di Sinistra,ex P.C.I.
Breve cronistoria dal dopoguerra ad oggi
Alfonso Caccese
[Edito 00/02/2004] Nello scacchiere politico locale i Ds (ex P.C.I.),insieme a Rifondazione comunista rappresentano ancora la metà dell’elettorato di montecalvo,da sempre considerata la roccaforte rossa della sinistra nella provincia Avellinese.La prima cellula del partito comunista italiano nasce nel gennaio del 1944 per opera dei confinati politici Antonio Smorto e Concetto Lo Presti ,in via roma a Montecalvo,che con l’aiuto di Pietro Cristino,Pompilio Santosuosso,Antonio Ciasullo,Fedele Schiavone,Antonio Tedesco,Giovanni Cardillo ed altri danno vita nell’immediato dopoguerra(1946-48) al fronte popolare (la spiga),che nelle prime elezioni democratiche conquista l’amministrazione del comune ,eleggendo sindaco il Dott.Pietro Cristino e dopo la sua morte Francescantonio Panzone ,mantenendola ininterrottamente fino al 1962,quando per una manciata di voti la guida del paese è ad appannaggio della Democrazia Cristiana,che guidata dal Dott.Carlo Caccese e dal Prof.Feliceantonio Lazazzera,porta all’elezione del sindaco Marcello De Cillis.In un’alternanza continua di vittorie e sconfitte,dopo l’elezione a sindaco di Aucelli Pompilio(socialista) e i brevi interregni democristiani di Francesco De Furia e Alfonso Caccese (eletto con i voti della sinistra con il famoso compromesso storico) è agli inizi degli anni ottanta che l’allora partito comunista riconquista stabilmente la poltrona del sindaco con un suo esponente Felice Aucelli, capo di una coalizione dove il P.c.i. ottiene la maggioranza relativa dei voti. Ma le vicende della politica nazionale(1992, vedi tangentopoli) si riflettono anche nella realtà locale e dopo un decennio di guida amministrativa e con la svolta della “bolognina” di ochettiana memoria,anche da noi si verifica la scissione del partito comunista italiana che dà vita a tre formazioni diverse: I Ds,Prci,Pdci,disperdendo la forza elettorale della sinistra che cede così la guida del paese agli antichi nemici: i Democristiani che all’insegna del rinnovamento portano sulla poltrona di sindaco l’allora giovanissimo Avv.Alessio Lazazzera. Ma il ciclone della politica si abbatte anche sulla democrazia cristiana divisa in tre tronconi:Ppi,Ccd,Cdu e le elezioni seguenti sono ad appannaggio dei popolari che con una schiacciante vittoria,figlia delle divisioni degli altri partiti, riportano alla carica di primo cittadino Alfonso Caccese.La ricucitura all’interno della sinistra è lunga e faticosa e non ancora del tutto compiuta e dopo il primo quinquennio popolare,per fronteggiare l’avanzare dei forzisti Berlusconiani e i destristi di Alleanza Nazionale,capeggiati dal Dott.Mario Flovilla,la segreteria Ds, con alla guida l’emergente Giuseppe Ruccio,decide di seguire la linea della politica nazionale unendosi in un cartello elettorale con i popolari del riconfermato sindaco Alfonso Caccese,partito ancora abbastanza forte, e con quello che rimane dei socialisti del dopo Craxi.Scelta apparentemente giusta, perchè vengono premiati dall’elettorato con la maggioranza assoluta e finalmente dopo anni,un’esponente della sinistra storica assume la carica di vice-sindaco:la dott.ssa Antonella Panzone. Dopo un paio di anni i diessini escono dalla maggioranza ed il resto è storia di questi giorni. [Nativo]
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Conti e Duchi che si succedono a Montecalvo sino a noi
[Ed. 00/00/0000] E siamo al periodo post-aragonese. I tempi erano completamente mutati e le cose politiche del regno erano in ribasso. Questo nuovo periodo, nei primi albori del secolo sedicesimo, si apre con la serie dei vicerè per il nostro regno, ora divenuto una provincia spagnuola. Fino a quel tempo Napoli era stata sede regia: non fu più così sotto il nefasto, malefico, sciagurato dominio spagnuolo – asburghese. Ferdinando il Cattolico, dopo una breve permanenza nel regno fece ritorno nella Spagna, ove la sua presenza e 1’opera sua erano necessarie, affidando per primo, il governo del reame ad un vicerè.
Carlo V degli Asburgo, prendeva l’eredità delle Spagne, e malgrado le mire di Francesco I° di Francia , dopo la morte di Massimiliano, venne eletto imperatore dai principi della Germania superando ancora con la forza e con l’intrigo tutte le opposizioni che si frapponevano per il possesso di tutti gli stati.
Quanto al nostro regno, esso mutò del tutto la sua posizione per il mutare degli eventi cennati – ed abbiamo nella storia le triste fasi dei vicerè originari della Spagna , di cui sono ben noti i loro sistemi. Così le nostre provincie meridionali passarono attraverso alternative di soprusi, di feroci dispotismi, di prepotenze, di rappresaglie e di durezze di ogni sorta per un periodo di oltre due secoli.
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Caterina ed Ettore Pignatelli utili Signori di Montecalvo
[Ed. 00/00/0000] Vennero le vicende tragiche dei baroni e le fatali conseguenze della loro congiura. La situazione creata da Ferdinando I° e da suo figlio Alfonso, determinò una sedizione collettiva e una consociazione dei principali baroni del regno, giurando essi di essere uniti a combattere il re e suo figlio Alfonso, al lora duca di Calabria. A fortificare quell’ accordo il papa Innocenzo VIII, emetteva un breve contro il medesimo re. Ma questi, avvertendo il pericolo, con abilità politica, previa improvvisa pacificazione col papa, seppe far andare a monte ogni cosa.
Così le cose, apparentemente, tornarono normali per brevissimo tempo, poiché terribili furono le vendette di Ferdinando contro i disgraziati baroni. Tra questi baroni federati, vi fu anche il nostro conte Don Pietro Guevara G. Siniscalco del regno. Naturalmente, quella non fu un’azione separata, ma ebbero l’appoggio delle persone più in vista delle loro terre. La nostra contea lasciò devoluta al re e amministrata da un governatore (Vedi: « La congiura dei baroni del regno di Napoli contro il Re Ferdinando I. » Camillo Porzio – Stampato in Roma nel 1565).
Alla morte di Ferdinando, anno 1493, raccolse la eredità del regno Alfonso II°, suo figliuolo, che, in anno 1494, per crisi finanziaria del regno, impoverito e spossato dalle guerre e dagli sconvolgimenti, vendeva, la terra di Montecalvo, di Corsano e terre annesse, insieme ai diritti giurisdizionali su le terre istesse, alla contessa di Fondi Caterina Pignatelli ed Ettore, suo fratello.
Questo punto è di notevole importanza per la storia di Montecalvo, poichè, con i primi albori del l’evo moderno, si scrivevano nuovi fatti negli annali della storia paesana, mentre la vecchia contea arianese si sgretolava perdendo molti territorii. In seguito a tante spese cagionate dalla perdita del regno e dalle spese sostenute per riacquistano, le finanze erano di venute ristrettissime e per sopperire ai bisogni precisi, Re Alfonso II° vendeva varie terre del reame ai baroni napoletani.
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Carlo II° – Re Roberto – I tempi dei di Durazzo – Montecalvo nel trecento storico.
[Ed. 00/00/0000] Secondo quanto si rileva dalla storia, presa la corona regia Carlo II d’Angiò – l’opera del suo genitore, fu da lui continuata nel regno – così pure dal suo primogenito, Re Roberto – mantenendo nei feudi quasi tutti i favoriti dal padre – e rinnovando la serie dei baroni – conti ed altri feudatari, secondo la necessità.
Tra i conti, baroni e feudatarii del nostro regno , cui re Roberto impose di seguire il Duca di Calabria, suo figliuolo nella guerra di Toscana , troviamo il « Comes Ariani » che fu iscritto come ammaestrato nell’arte della guerra, in uno ad un gran numero di Conti, baroni e cavalieri provenzali e regnicoli ,anno 1325-1326 – in Registro Regis Roberti.
Alla di lui morte raccolse l’eredità del regno la sua nipote Giovanna I. Circa il periodo di questa disgraziata regina ,come quello brevissimo del di lei successore Carlo III° di Durazzo, non è agevole riassumere. La fisionomia di questi tempi, la rileviamo dalla storia ,e conosciamo 1’ambiente storico in cui visse la nostra terra, in tutto il trecento. in quest’epoca feudale, la nostra terra fu partigiana degli angioini.
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Battaglia di Benevento – Montecalvo ai tempi di Carlo I°di Angiò
[Ed. 00/00/0000] Dai cennati Pontefici furono fatti i primi passi per l’investitura dei regni di Napoli e di Sicilia diversa i sovrani e principi europei per indurli a venire in Italia a difendere le possessioni pontificie e alla conquista della corona. In seguito, le richieste per l’intervento, furono rinnovate dal successore di Urbano, Clemente IV, inviando l’ Arcivescovo di Cosenza Pignatelli ad offrire il regno a Carlo d’Angiò, conte di Provenza, il quale accettando l’offerta fattagli a mezzo dallo stesso arcivescovo ne riceve l’investitura confermata da Clemente.
Carlo giunse nel porto d’Ostia la vigilia di Pentecoste. Venne in Roma e una turba di signori romani accorse a visitarlo; fu coronato dal Papa e venne sopra Benevento, a capo di un forte esercito pel tratto della via latina Venafro ,Alife ,Guardia Sanframonti , Ponte ed assalite le truppe nemiche, le sgominava.
L’esercito di re Manfredi non ancora era abbattuto; si accentrò nei pressi di Benevento per contrattaccare gli invasori nemici. Furono inutili tutti i suoi piani guerreschi, poichè ,ivi , Manfredi doveva constatare, ancora una volta , gli intrighi dei baroni napoletani, vedere con i propri occhi il riflesso del tradimento, e pagare con la propria vita i suoi errori.
Questa sanguinosa e storica battaglia segnava la fine degli svevi in Italia, mentre affermava la dominazione angioina – anno 1266.Nonostante il saccheggio di cui parla l’abate Capozzi la terra di Montecalvo non rimase abbandonata. In anno 1276, troviamo che ne era Signore Matteo di Letto e nel 1284 Giovanni Mansella possedeva una certa parte di Montecalvo, il rimanente, probabilmente, appartenne alla Regia Corte.
Riportiamo i seguenti documenti del R. Archivio – « Nel libro de restitutione bonorum tempore Regis Caroli Primi – nell’Archivio della Regia Camera fol. 130 a t. e 132, si ha Giovanni Mansella marito di Margarita de Tocco, figlia di Bartolomeo e di Perticosa, figlia di Matteo de Litto Signore di Montefalcone e Montecalvo nel 1276.
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Montecalvo Irpino e il Brigantaggio
[Edito 00/00/0000] Giuseppe Schiavone era un contadino di S. Agata di Puglia, che si era dato “alla campagna per non rientrare al servizio militare come recluta della leva del 1860”, e, durante il 1862, come risulta da un attestato del suo Comune, si era reso responsabile di: a) riunione in banda di malfattori, grassazione e sequestro di persona in danno dei fratelli Granato di S. Agata; b) furto di un cavallo in danno di Di Rienzo di S. Agata. Nel 1863 si era reso colpevole di: a) attacco e resistenza alla forza pubblica; b) uccisione di quattro buoi e due muli, incendio della masseria di Lorenzo Mazzo di S. Agata. Inoltre, prese parte ad un massacro fatto nel comune vicino di Orsara, uccise il tenente Lauri della Guardia Nazionale, un capitano e il tenente Paduli; partecipò ai conflitti con il 20° Fanteria ed il 22° Fanteria …un fascicolo dell’Archivio di Stato di Avellino (fascicolo 397 del Tribunale di Ariano) comincia con una relazione di Antonio Zucchetti per i fatti di Giuseppe Schiavone e della sua donna Filomena Pennacchio, commessi nel 1863: “Nel mattino del 23 gennaio 1863 la banda brigantesca capitanata dal masnadiero Giuseppe Schiavone, forte di 30 malfattori a cavallo ed armati, si diresse alla masseria dei fratelli Cristino a Montecalvo. Nelle ore pomeridiane lo Schiavone, con Filomena Pennacchio ed altri due briganti, trasse alla masseria D’Agostino e richiese a lui un cavallo e del denaro, minacciandolo di sequestro. I malfattori intanto, per esser sicuri, sequestrarono il figlio del D’Agostino e lo condussero nell’altra masseria dove stava il resto della banda…
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L’eroicità del Ten. Vincenzo Lo Casale
COMBATTIMENTI DI SEROBETÌ E DI AGORDAT PRESA DI CASSALA
Alfonso Caccese
[Ed. 00/01/2004] Il 21 Novembre 1888, con il grado di Tenente del 1° reggimento Cacciatori del corpo speciale d’Africa, partiva per la campagna d’Africa il nostro concittadino Vincenzo Lo Casale. Nato a Montecalvo Irpino il 12 ottobre 1856 da Luigi e da Sanità Diomira, aveva preso in moglie, l’8 marzo 1897, la Signora Clelia Zanetti.
In Africa, prese parte alle campagne del 1888 -89 – 90, distinguendosi per eroicità e valorosità. Il 4 febbraio 1894, veniva decorato con la medaglia di bronzo al valor militare per il combattimento di Agordat, dove si distinse per impeto e coraggio,quando verso la metà del dicembre del 1893 circa diecimila Dervisci mossero da Cassala verso Agordat e giunsero in vista di quel forte il 21 di quel mese, fermandosi tra i villaggi di Algheden e Sabderat. A fronteggiarli corse il colonnello ARIMONDI, governatore interinale della colonia in assenza del generale BARATIERI allora in Italia; aveva a sua disposizione il battaglione Fadda, il battaglione Galliano, lo squadrone Asmara (cap. FLAMORIN), lo squadrone Cheren (cap. CARCHIDIO), la batteria Ciccodicola, la batteria Bianchini e la banda del Barca del tenente MIANI; in complesso 42 ufficiali, 32 uomini di truppa italiana, 2106 ascari, 213 cavalli e 8 cannoni, oltre la compagnia Persico con le bande dell’Acchelè-Guzai, in marcia verso Agordat. Comandante in seconda era il ten. col. CORTESE. Verso il mezzogiorno del 21 dicembre 1893 l’ ARIMONDI fece muovere all’attacco l’ala destra, ma questa, sopraffatta dal numero dei nemici, dopo un furioso combattimento, dovette ripiegare ordinatamente, lasciando una batteria e costringendo al ripiegamento anche l’ala sinistra. Verso le ore 13 però, entrate in azione le riserve, gli italiani passarono al contrattacco, respinsero i Dervisci, riconquistarono i pezzi e, dopo sanguinose mischie, misero in rotta completa il nemico, che fu inseguito per alcune ore.
Brillanti furono i risultati della vittoria: i Dervisci lasciarono sul terreno 1000 morti, 72 bandiere e oltre 700 fucili; gli Italiani tre ufficiali morti, due feriti e 230 uomini di truppa morti e feriti. Fra i nemici morti si annoverò l’emiro Ahmet M, comandante supremo. Per togliere ai Dervisci un’importantissima base d’operazione contro la Colonia Eritrea, il generale BARATIERI decise di assalire Cassala, sebbene questa città non fosse compresa nella nostra zona d’influenza, e il 12 luglio del 1894 radunò ad Agordat il corpo che doveva operare, composto del I Battaglione Indigeni del maggiore TURITTO (3 compagnie coi capitani SEVERI, SPREAFICO e SANDRINI), del II Battaglione Indigeni del maggiore HIDALGO (5 compagnie coi capitani MARTINELLI, BARBANTI, MAGNAGHI, ODDONE e il tenente BERUTO), del III Battaglione Indigeni del capitano FOLCHI (3 compagnie coi capitani CASTELLAZZI e PERSICO e il tenente ANGHERÀ), della 2a compagnia Perini del IV Indigeni, dello squadrone Cheren (cap. CARCHIDIO), e della sezione d’artiglieria del tenente MANFREDINI, in tutto 1600 uomini, dei quali 56 ufficiali e 41 uomini di truppa bianca; in più 145 cavalli, 250 muli e 183 cammelli.