Storia
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I Giacobini Montecalvesi
e La Repubblica Napoletana del 1799
Antonio Stiscia
[Edito 00/10/2005] Francesco Scandone, nella sua monumentale opera “Cronache del Giacobinismo Irpino”, e in riferimento a Montecalvo, ascrive al 1791 la prima notizia ufficiale dell’esistenza del Giacobinismo a Montecalvo, tra i primissimi e rari esempi nel Regno ed a pochi mesi dalla Rivoluzione Francese del 1789:
1791 – D. Gaetano Rendesi, D. Felice Caccese e Vincenzo Bocchicchio, costituiscono un Club Giacobino.
A metà del ‘700, nel Reame di Napoli, influenzato dalla cultura inglese, sorretta e incrementata dal ministro Acton, arriva la Massoneria, un modo concreto e moderno di concepire la fede cristiana, fondata sulla fede vissuta nella fratellanza e nelle opere di carità. Divenne di moda farne parte, per quella ritualità e gerarchia quasi ecclesiale, che consentiva ai laici di perseguire gli ideali cristiani, scevri dal controllo della Chiesa Ufficiale e senza dover far voti di ubbidienza. (cfr. Congregazioni)
L’adesione di numerosi nobili e ricchi borghesi (Principe Carafa, Il Marchese di Sangro ecc.) e di molti preti, spinse il Papa a scomunicare la “Setta”, avendo compreso il pericoloso attivismo di un movimento che poteva anziché sorreggere, porsi in concorrenza con gli organismi ufficiali della Chiesa di Roma.
Tra i primi Sovrani ad assecondare l’anatema del Papa, fu il re di Napoli (Carlo di Borbone), che provvide a perseguitare e di poi a chiudere le Associazioni dei “Liberi Muratori”. La persecuzione, si sa, genera i martiri, e quello che doveva essere uno sfogo eccentrico ed anche ridicolo, di qualche nobile annoiato e di qualche borghese arricchito, si rivestì di connotati rivoluzionari.
La Massoneria si trasformò (come sempre accade nel Meridione) in Accademia, in Società Patriottica, in Carboneria (“cambiar tutto per non cambiar niente” – cfr.Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa), e quel che doveva essere un club di snob napoletani, scimmiottanti la nobiltà inglese, assunse le caratteristiche di un Club di pericolosi attentatori all’ordine costituito.
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PRINCIPATO ULTERIORE: MONTECALVO
[Ed. 00/00/0000] Montecalvo è capoluogo di Circondario di 3°. Classe, ed è il più prossimo ad Ariano capo distretto e sede vescovile, da dove dista solo quattro miglia. E distante da Napoli, per la via di Benevento, 40 miglia; da Benevento 12, da Avellino capo luogo della provincia miglia 22. La popolazione ascende a 5180 individui. Il punto più vicino della strada consolare, è quel tratto che rasenta Ariano.
Aspetto di Montecalvo
L’abitato di questo Comune abbraccia la parte nord-ovest di un eminente colle, ne sormonta il dosso e declina nella parte sud-ovest. Sicchè una parte dei paese è visibile a que’ Comuni che gli stanno di contro da settentrione; e l’altra parte a quei che verso il sud sono situati. La casa ex feudale posta a cavaliere sull’alto del colle, guarda dalle opposte affacciate ambe le ale del paese, rammentando ancora con le sue negre sdrucite mura il dominio esercitato su quella popolazione da’signori che quelle or derelitte pareti abitarono,ed è visibile,con una chiesa che l’è dappresso, e con molte altre abitazioni che più le sono vicine, a’paesi delle opposte parti. Verso mezzogiorno 1’ orizzonte finisce in Ariano e nelle sue circostanti montagne, che hanno una elevatezza maggiore di Montecalvo. Verso sud-ovest, la vista si disperde, raggiungendo le distanze fìno ai monti di Terra di Lavoro. Da nord-ovest, gli sono di prospetto il Comune di Casalbore appartenente al Circondano, e quello di Buonalbergo che fa parte del Circondano di Paduli. Volgendosi poi al nord-est, si distinguono paesi e confini delle provincie di Capitanata, e Campobasso. L’ orizzonte è molto esteso, ed offre una svariata veduta. Monti, colline, pianure, valli disseminate di case rurali, che masserie si addimandano, particolarmente dalla parte del sud-est e nord-est, offrono allo sguardo una vitale coltivazione ne’campi, ne’ quali monotomia e sterilità sono stranieri.
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Palazzo Pignatelli: 2 milioni di euro per il restauro
[Ed. 15/06/2005] Montecalvo Irpino AV – Via libera dalla Regione Campania all’approvazione dell’intervento “Restauro e recupero del palazzo Pignatelli“ proposto dal Comune di Montecalvo Irpino e adesso inserito nel progetto integrato-itinerario culturale “Regio Tratturo di Avellino“.
L’ente di Palazzo Santa Lucia valuta positivamente l’iniziativa di riqualificazione del valore economico di circa 2milioni di euro (risorse Por- misura 2.1). Adesso, con il parere favorevole del nucleo di valutazione regionale, l’opera, si precisa sul burc di lunedì 13 giungo, sarà inserita all’interno dello strumento di programmazione negoziata. Si tratta di interventi di restauro del castello ducale Pignatelli attraverso opere di miglioramento statico ed opere funzionali finalizzate alla realizzazione di un museo delle attività culturali e produttive con sale di esposizioni temporanee e permanenti.
L’impostazione dell’intervento riflette a pieno le tematiche individuate dal Por in particolare nella conservazione e nella valorizzazione del patrimonio storico-culturale al fine di creare condizioni favorevoli all’innesco di processi di sviluppo locale. Il tutto mediante la promozione di iniziative imprenditoriali multidirezionali nonché giuste condizioni per l’attrazione di capitali privati.
L’intera opera è in sintonia con l’idea forza del progetto integrato territoriale che volge essenzialmente alla costruzione di un itinerario turistico-culturale orientato alla valorizzazione dell’intreccio unico tra gli aspetti naturalistici, storici e archeologici del paesaggio irpino. L’obiettivo primario è la messa in produzione delle ricchezze culturali presenti nell’intero ambito territoriale interessato dal percorso del Regio Tratturo, ma anche delle vicine aree archeologiche (Aeclanum-Aequum Tuticum) e della fitta rete di parchi naturali e aree protette presenti lungo la dorsale Appenninica cui si rivolge il progetto Appennino Parco d’Europa. L’itinerario inoltre enfatizza il ruolo dell’Irpinia nord-orientale quale centro ideale di un percorso che unisce tra loro due importanti luoghi della fede, relativi alla figura di San Pio (S. Giovanni Rotondo e Pietrelcina). [Nativo]
[Credit│Denaro.it]
Redazione
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Re aragonesi – Montecalvo nel quindicesimo secolo – Il paese antico squassato dal terremoto.
[Ed. 00/00/0000] Venne la volta della regina Giovanna II sorella di Ladislao, entrambi lascivi e voluttuosi. La regina volendo rendere omaggio al famigerato F. Sforza, figlio del gran Contestabile, uomo apprezzato per virtù militari e civili, gli donò moltissime terre in queste nostre regioni, compresa la nostra terra, 1417 . Ma, il rinomato Sforza, avendo avversato i disegni di Alfonso d’Aragona ,per aver indotto la regina a ritirare l’adozione fatta in suo favore e caldeggiata, al contrario, quella di Luigi d’ Angiò, egli perdeva le accennate possessioni, anno 1435.
Con Renato che fuggiva in Francia, finiva la dominazione angioina, ed era un capitolo finale e fatale che scriveva quest’ultimo re.
Col trionfo di Alfonso, si apriva una nuova èra della nostra storia, passando questi nostri paesi sotto il dominio aragonese. Non poteva mancare da parte del nuovo sovrano, dopo la vittoria sui nemici, fautori degli angioini, di riconoscere tutti quei guerrieri e gregari che avevano preso parte alla campagna vittoriosa dando ai vincitori compensi territoriali. Alfonso, considerando i notevoli servizi resi da Inigo Guevara, G. Siniscalco, gli donava la Contea di Ariano la terra di Montecalvo e il marchesato di Vasto, come risulta da carte locali.
Per prima cosa Alfonso pensò all’ avvenire del reame, e valendosi di tutto il suo potere, desiderò legalizzare la filiazione di Ferdinando, suo figlio bastardo, togliendogli la macchia della illegittimità, e facendolo proclamare da un generale e solenne consesso, erede del regno, dopo la sua morte.
Nel 1447, re Alfonso fu nominato Vicario nell’amministrazione e governo di Benevento, da papa Eugenio IV, ma a vita solamente.
Il 1456 fu un anno doloroso e tragico per Montecalvo e per molti paesi circonvicini – non esclusa Benevento e molti altri paesi della diocesi beneventana. Il 5 dicembre, alle ore 11 della notte avvenne uno spaventevole terremoto. Si hanno notizie esatte delle rovine causate da quel cataclisma nell’opera di S. Antonino, Arcivescovo di Firenze –Cronicon, parte III°.
Senza dubbio, la condizione di Montecalvo fu tristissima, poichè il paese restò in gran parte squassato, i cittadini superstiti terrorizzati e gettati nel più crudele dolore, per la perdita di tanti cari che perirono sotto le case abbattute. Secondo S. Antonino, pare che il numero dei morti sia stato di 800. In mancanza di osservatorio sismologico per valutare altri danni, ci contentiamo delle notizie suaccennate, poichè, sufficientemente, ci convincono che fu una vera calamità per il paese, che ci furono scene di terrore e di sangue nel dissotterrare le povere vittime schiacciate sotto le macerie dell’ antiche case, e che quelli che sopravvissero dovettero riedificare il paese. Peggiore fu la sventura in vari altri paesi della terra beneventana. Ecco ciò che scrive il santo di cui sopra:
“Beneventana civitas notabilis ( ubi Metropolitanus dignissimus ) pro maiori parte destructa est, et Ecclesia Cathedralis, ubi dicitur Corpus Apostoli Bartolomei quiescere, deficientibus inde hominibus 350 ex ruinis. (Seguita a dire la Diocesi ) Civitas, quae dicitur la Palude, sive Castrum, usque ad fundaménta collapsa est, et quod magis dolendum est 1033, oppressione ex hac luce subtracti. Apichi nuncupatum in totun desolatum, sublatis per mortem 1020 hominibus. Quod dicitur Montecalvi pro maiori parte destructum, e medio 800 subtractis personis. etc. ,, (Salviamo qualche errore di calcolo).
Nel 1462 leggiamo la guerra dei nibbii e corvi avvenuta nel Covante, tra Apice e Benevento, descritta da G Pontano. I nibbii significavano gli angioini, con a capo il duca Giovanni d’Angiò, e i corvi erano interpretati gli aragonesi, con a capo re Ferdinando I°. La vittoria finale fu di questi ultimi. [Nativo]
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[P. Santosuosso B., Pagine di storia civile di Montecalvo Irpino, Tipografia Fischetti, Sarno SA, 1913] -
Montecalvo e i liberali del 48
[Ed. 00/00/0000] Nel 1848 si avverarono altri rivolgimenti. Erano tutte le regioni d’ Italia – infiacchite da diversi secoli di decadenza che insorgevano reclamando la indipendenza politica e la liberazione da ogni servitù. Questo era il pensiero e il sentimento nazionale.
Nel nostro regno delle Due Sicilie, il malcontento non era cessato contro i Borboni. Uomini insigni nelle discipline civili e penali, di tutte le provincie meridionali, non mancarono di domandare al re un governo rappresentativo. Siamo al 28 Gennaio 1848. « Ferdinando II° di Borbone, re di Napoli (il re Bomba) succeduto a Francesco I – in seguito alla dimostrazione popolare liberale del 27, accoglie il parere favorevole dei suoi fidi, perchè venga concessa al popolo la Costituzione; scioglie il Ministero, e con i nuovi ministri, scelti tutti fra le personalità più spiccate del Partito Liberale, getta le basi di uno Statuto. Il 29 Gennaio 1848, si pubblica in Napoli il Decreto Reale, che promette la Costituzione e dà piena amnistia. »
Ma quelle parvenze di libertà, venivano, mano mano, soffocate con la forza e rese di nessun valore. Il parlamento elevava indignata protesta – dettata dal nostro P. S. Mancini contro il Borbone – il 15 Maggio 1848. Il re accolse la protesta sciogliendo la Camera, e mutando, a suo arbitrio, le circoscrizioni Provinciali in Distrettuali. Mancini fu rieletto a pieni voti a nostro Deputato del Distretto di Ariano di Puglia. Difese i destituiti del 1821 , mise in evidenza i sacri diritti del suo popolo – incoraggiò il movimento.
Complicato nel processo politico del 15 Maggio 1848 – « d’avvocato era mutato in complice e condannato in contumacia a 25 anni di ferri. » Prese scampo in Piemonte, portando con se la nostalgia per la libertà della Patria.
Montecalvo partecipò al movimento della nuova Italia, incoraggiato dal Mancini e da altri uomini del luogo – e mostrò la sua fede patriottica con la stessa fermezza dimostrata nel 1820.
Nella vicina Ariano si formava il governo provvisorio, dai noti caporioni De Miranda – i Polcari – De Florio di Montecalvo – Pietro Narra, similmente di Montecalvo – avendo partè agli avvenimenti T. Grasso, P. Parzanese – D. Giuseppe ed Orazio Santosuosso col loro congiunto di Montecalvo Antonio Santosuosso avo paterno dell’ umile storico – ed altri ; mentre in Montecalvo si segnava una data di persecuzione. Si veggano gli innumerevoli processi, conservati nell’Archivio Provinciale di Avellino, relativi a quell’epoca – e si avrà la prova della nostra affermazione.
Naturalmente, come in tutte le cose di questo basso mondo – anche allora vi furono le due correnti. La conferma diretta di ciò che si afferma, si ha dai documenti dell’epoca, generalmente risaputi, perchè già pubblicati, editi, passati alla storia e che per dovere d’ imparzialità, riportiamo senza alcun commento. Di chi la colpa? Per conto nostro, facendo astrazione su uomini e cose – riteniamo che la colpa fu dei tempi, e di quel poeta, che aveva cantato « Borbonium nomen venerabile ab omnibus » poichè quel canto fu suggestione.
La storia non può essere scritta se prima non è fatta, diceva Luigi Settembrini. Per Montecalvo la storia di questo difficilissimo periodo si è fatta purtroppo, e, debolmente, l’abbiamo anche scritta in più capitoli ma per ragioni indipendenti dalla nostra volontà, non possiamo pubblicarla. Censura… [Nativo]
[Credit│Foto Wikipedia]
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[P. Santosuosso B., Pagine di storia civile di Montecalvo Irpino, Tipografia Fischetti, Sarno SA, 1913] -
Manifestazione del 7 aprile 1946
Montecalvo Irpino AV
[Ed. 00/00/0000] [Nativo]
Pietro Cristino (sotto braccio alla sin. del prof. Vinciguerra di Ariano Irpino con soprabito chiaro in primo piano), socialista, è stato eletto primo sindaco democratico di Montecalvo Irpino, con la lista frontista della Spiga
Partenza della sfilata della Spiga da corso Umberto in occasione dell’elezione a sindaco del farmacista Dott. Pietro Cristino
Sfilata lungo Corso Vittorio Emanuele
Sfilata lungo Corso Vittorio Emanuele
Insediamento del Sindaco Pietro Cristino
I componenti politici della “Spiga”, schierati davanti al comune. Si notano il Sindaco Cristino, il confinato politico Antonio Smorto, il giovane “Ciccio” Panzone e il giovane insegnante elementare Michele Lazazzera.
[Le foto qui rappresentate sono proprietà intellettuale degli eredi Cristino; esse costituiscono un ritaglio delle originali. Per vederle nella loro interezza, è necessario visitare la pagina nativa. Non è consentito alcun uso al di fuori della visualizzazione. L'autore degli scatti è Nicola Auciello, padre del fotografo Giovanni. La pubblicazione e la digitalizzazione delle stesse è stata consentita ad Angelo Siciliano da Agnese Cristino, coniugata con Oreste, figlio di Pietro Cristino.]
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Ricordando Giuseppe e Pietro Cristino nella terra del silenzio
Angelo Siciliano
[Ed. 00/00/0000] [N. 10/12/1991] Parlare di Giuseppe e Pietro Cristino, oggi, nell’epoca del crollo delle ideologie, dopo l’implosione dei regimi totalitari dell’Est europeo, ma anche di guerre sanguinose – basti pensare a quella del Golfo Persico e all’altra tra le nazioni dell’ex Iugoslavia – che sicuramente hanno trovato una concausa nel crollo del Muro di Berlino del 1989, che ha segnato la fine della guerra fredda e dei blocchi contrapposti, guidati dalla fine della seconda guerra mondiale rispettivamente da USA ed URSS, potrebbe anche significare andare ad indagare fatti, persone e vicende del Novecento, la cui storia, oltre che non sempre ripercorsa e chiarita adeguatamente e a sufficienza, ci appare distante anni luce. E proprio tale distanza consente che tanti personaggi di primo piano, che hanno fatto la storia civile e sociale del nostro paese, possano essere spesso posti in discussione per le scelte politiche fatte e per il loro operato nel secondo dopoguerra, in quanto hanno contribuito, seppure indirettamente, a quel sistema politico nazionale bloccato, rimasto senza alternativa. Si è parlato e si parla anche di democrazia incompiuta. La realtà è che per più di quaranta anni ci hanno governato più o meno le stesse persone, realizzando – caso unico tra i paesi occidentali – una sorta di “dittatura” in democrazia, che ha determinato conseguenze assai gravi: invecchiamento e inefficienza delle Istituzioni pubbliche; alcuni fenomeni gravi di collusione tra politica e criminalità organizzata; intere regioni alla mercé di mafia, ‘ndrangheta o camorra che insanguinano il Sud sostituendosi allo Stato come se questo avesse rinunciato alle proprie funzioni; malcostume diffuso della pratica del pizzo e della bustarella per cui, sempre più spesso, la cronaca nera è ricca di casi di burocrati e amministratori locali divenuti essi stessi, in prima persona, i gestori del malaffare. È il “diritto negato” ad alimentare spesso faide tra i malavitosi e comportamenti omertosi anche tra i cittadini. I partiti politici si sono trasformati in qualcosa di diverso da ciò che erano originariamente: da strumenti di democrazia sono diventati organizzazioni di potere. Tuttavia pare che ora qualcosa cominci a cambiare e fasce non trascurabili della popolazione non sono più disposte a concedere la propria delega in bianco ai politici, portati sempre più ad anteporre gli interessi particolari, di pochi privilegiati, all’interesse generale della collettività. I problemi sono tanti. Da locali o nazionali che erano, sono divenuti di portata planetaria. Non sarà di certo la logica delle lobby, delle multinazionali e della propensione al consumismo a prospettare le soluzioni più eque o più giuste per la nostra società.
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La rivoluzione dell’89
Repubblica napoletana – Montecalvo alza l’ albero della Repubblica – Restaurazione ed eccidi.
[Edito 00/00/0000] Siamo agli anni della rivoluzione francese. Se ai tempi di Luigi XI, in Francia fu abolito da quel re il feudalismo e create le leggi civili, con la rivoluzione dell’89 si spazzava via ogni antico privilegio nobiliare e si fondava la repubblica in nome della fraternità, dell’ uguaglianza e della libertà. Si ebbero giorni tragici e terribili, nella vicina repubblica d’occidente. Il grande rivolgimento che si era compiuto oltralpe, fu una minaccia pericolosa per la tranquillità dell’Europa in genere, e per la sicurezza dell’ Italia in ispecie. Politicamente, però tutto era cambiato, e quello che accadeva in questi anni al di là delle Alpi, più tardi accadeva anche al di qua.
Ormai un’ aura nuova spirava in tutte le regioni d’italia. Nella metropoli partenopea già si apriva la prima pagina di quel grande martirologio, che doveva segnare, a lettere d’ oro, tutti quelli che, per prima servirono alla causa della Patria.
Il 3 Aprile del 1795 si scopri a Palermo una congiura contro il re Ferdinando IV di Borbone e nel 1799 si ebbe la rivoluzione napoletana.
Intorno a tale periodo, ecco ciò che scrive Vincenzo Cuoco, già Consigliere di Stato e magistrato coltissimo del tempo : « La rivoluzione napoletana del 1799 – è il piccolo saggio, la circoscritta prova dei principii dell’ 89. Quivi si compiono, in breve giro, tutte le fasi del ciclo rivoluzionario, che su più vasta scala si son compiute poi nei grandi rivolgimenti europei. – Se questi principii, nella loro astrattezza si propagarono a Napoli e furono causa del mutamento di governo, ciò derivò in gran parte, dalla stolta politica dei Borboni, che con le loro persecuzioni li polarizzarono, mentre prima non erano che patrimonio di dottrinarii. – La rivoluzione di Francia a Napoli s’in tendeva da pochi, da pochissimi si approvava, quasi nessuno la desiderava. — E per quanto fossero vivi i bisogni nuovi del popolo, erano pertanto troppo di versi da quelli dei francesi perchè fosse possibile soddisfarvi nell’ identico modo. Donde la caducità della rivoluzione – e il rapido successo della reazione borbonica, ecc. »
I paesi del reame partecipavano, relativamente, ai destini della capitale. Le condizioni della nostra gente – mentre il secolo XVIII moriva – disgraziatamente, non dissomigliavano molto dalle precedenti. Montecalvo, condannata, nei secoli passati, ad un fatale abbandono e decadimento cercava rialzarsi. L’ultima fase dell’antico regime e delle condizioni esaurite e servili del regno, sono descritte dagli storici contemporanei. E’ la continuazione degli antichi sistemi sotto il comando degli antichi dominatori.
La nostra gente immiserita dall’ignoranza, in uno a molte altre circostanze locali, ubbidiva al Borbone, e per lui ai minacciosi rappresentanti ufficiali del luogo.
Il nuovo soffio di vita repubblicana, poco durata , produsse da noi un lieve e breve mutamento, come in altri paesi provinciali. Montecalvo ha un particolare degno di menzione in questo periodo di rivoluzioni, e cioè, che riconobbe la repubblica alzando , in diversi punti del paese , l’albero della repubblica medesima. La notizia corrisponde a verità, perchè nei ricordi popolari , nella tradizione di un fatto non molto lontano , si raccontano altri particolari dai vecchi centenari, relativi a quell’epoca.
Restaurazione borbonica – Gli eccidi
E’ noto come per le campagne napoleoniche, queste nostre provincie passarono, successivamente, sotto i due re napoleonidi , Giuseppe Bonaparte ed il re Cavaliere, Gioacchino Murat. Essi, in nome del primo Napoleone portavano la parola di liberazione alle contrade del Mezzogiorno, modificando in un decennio, l’un dopo l’altro, tutto il vecchio regime e distruggendo gli ultimi avanzi del feudalismo , tanto letale ai nostri paesi , e dando quel complesso di leggi civili e penali, che tutti conosciamo.
Il fato napoleonico si era avverato, la sua potenza veniva fiaccata a Watterlòo e i destini dell’Europa e d’italia, si erano cambiati. Il congresso di Vienna, per la guerra d’italia mossa da Gioacchino, nell’anno quindicesimo lo dichiarò decaduto dal trono di Napoli e ristabilita la vecchia dinastia dei Borboni. E riunendo in un regno le due Sicilie, re Ferdinando IV di Borbone si chiamò Ferdinando I nel regno unito, sul finire del 1815.
Inenarrabili furono gli orrori e la barbarie compiuti al ritorno di re Nasone, dopo i pochi mesi di repubblica. Egli e i suoi accoliti, furono presi addirittura da follia sanguinaria e gli eccidi le scene di terrore e le altre misure punitive che si praticarono, fanno rabbrividire chicchessia. I rappresentanti del pensiero del secolo XVIII , i più grandi ed illustri giuriconsulti del tempo , le più chiare intelligenze di ogni età e di ogni famiglia , furono crudelmente colpiti, con terribile spargimento di sangue. [Nativo]
Redazione
[Bibliografia di riferimento]
[P. Santosuosso B., Pagine di storia civile di Montecalvo Irpino, Tipografia Fischetti, Sarno SA, 1913] -
Montecalvo Irpino e l’antichità
Angelo Siciliano
[Ed. 00/00/0000] Da molti anni sto lavorando al recupero del patrimonio di ciò che fu la civiltà contadina in Irpinia. La ricerca è incentrata sul mio paese natale, Montecalvo Irpino (AV), piccolo comune dell’Alta Irpinia nord-orientale, area geografica che è stata sempre a stretto contatto con le genti d’Abruzzo, del Molise, del Sannio e della Daunia. Il suo territorio, già frequentato e abitato nel neolitico, è attraversato dal tratturo “La Via della Lana”, che consentiva ai pastori abruzzesi la transumanza delle greggi da Pescasseroli a Candela, in provincia di Foggia. Come molti paesi del Sud, Montecalvo è situato ad un crocevia, dove tanti dominatori sono passati con le loro culture, lasciando segni indelebili che si riscontrano nella lingua, negli usi e costumi, nella storia, nelle credenze magiche e religiose, nel carattere delle persone. È un paese che, come altri nei secoli passati, ha accolto genti di altre regioni meridionali, dopo che la peste o il colera ne avevano falcidiato gli abitanti. Infatti, su invito dei regnanti, molte famiglie della Sicilia e della Puglia erano sollecitate a spostarsi, con migrazioni interne, per cogliere nuove opportunità e ridare nel contempo linfa vitale a tutte quelle contrade del regno che si erano spopolate. Sarà anche per questo che nella parlata irpina si riscontrano termini propri delle aree della Magna Grecia.Il dialetto irpino ha come sostrato l’antica lingua osca. Gli Osci od Oschi erano stati il risultato della fusione tra gli Opici e i Sanniti, dopo che questi avevano conquistato la Campania intorno al 600 a. C.. In base a notizie storiche e riscontri archeologici, seppure frammentari, si può ritenere che i Sanniti ebbero radici comuni o discendenza dai Sabini, che erano stati spinti dagli Umbri verso l’Alto Lazio. I Sabini, nell’VIII secolo a. C., erano presenti sul colle del Quirinale ed ebbero frequenti scontri con i Romani, sino alla sconfitta definitiva subita nel 290 a. C.. L’identità dei Sanniti, che erano suddivisi in quattro tribù, Carricini, Pentri, Caudini e Irpini, cui dovrebbero essere aggiunti anche i Frentani, si andò consolidando come struttura economica, politica e sociale a partire dal V secolo a. C.. Fieri e bellicosi, furono temibili avversari dei Romani per la conquista e il dominio sull’Italia peninsulare.Le ostilità con Roma, iniziate nel 343 a. C., si sarebbero chiuse solo nell’82 a. C. con lo sterminio di ottomila prigionieri sanniti, ordinato da Silla dopo la battaglia di Porta Collina.
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L’ antichità di Montecalvo e la critica
[Ed. 00/00/0000] Gli scrittori classici rammemorano, nei loro libri, i più importanti centri del Sannio Irpino, anticamente, abitati e le antiche colonie. Montecalvo è circondata da questi luoghi storici,da alcune di queste antiche città , poi scomparse nel corso dei secoli, ma che ci attestano una grandezza passata. Cluvia , Equus Tuticus , chiamata poi S. Eleuterio, che fu primo vescovo di Ariano , ivi martirizzato, erano le più vicine alla nostra terra. La via Egnatia passava pel nostro territorio: ne fa fede il Ponte S. Spirito — residuo di ponte della via suindicata. Sappiamo che per la sua posizione strategica, formava un punto di primissimo ordine , imprendibile e sicuro da ogni lato, perchè quasi circondato da profondi burroni. Era inoltre un punto notevolissimo di osservazione , a 623 metri sul livello del mare , si scorgeva in gran parte, il percorso della suddetta via, che partiva da Benevento. Nel nostro territorio vi fu, in epoche lontane, un’importante centro abitato , di cui anche oggi si vedono gli avanzi ed i residui di antichità. Tale località è conosciuta col nome di Tre Santi.