Storia
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Montecalvo Irpino e il Brigantaggio
[Edito 00/00/0000] Giuseppe Schiavone era un contadino di S. Agata di Puglia, che si era dato “alla campagna per non rientrare al servizio militare come recluta della leva del 1860”, e, durante il 1862, come risulta da un attestato del suo Comune, si era reso responsabile di: a) riunione in banda di malfattori, grassazione e sequestro di persona in danno dei fratelli Granato di S. Agata; b) furto di un cavallo in danno di Di Rienzo di S. Agata. Nel 1863 si era reso colpevole di: a) attacco e resistenza alla forza pubblica; b) uccisione di quattro buoi e due muli, incendio della masseria di Lorenzo Mazzo di S. Agata. Inoltre, prese parte ad un massacro fatto nel comune vicino di Orsara, uccise il tenente Lauri della Guardia Nazionale, un capitano e il tenente Paduli; partecipò ai conflitti con il 20° Fanteria ed il 22° Fanteria …un fascicolo dell’Archivio di Stato di Avellino (fascicolo 397 del Tribunale di Ariano) comincia con una relazione di Antonio Zucchetti per i fatti di Giuseppe Schiavone e della sua donna Filomena Pennacchio, commessi nel 1863: “Nel mattino del 23 gennaio 1863 la banda brigantesca capitanata dal masnadiero Giuseppe Schiavone, forte di 30 malfattori a cavallo ed armati, si diresse alla masseria dei fratelli Cristino a Montecalvo. Nelle ore pomeridiane lo Schiavone, con Filomena Pennacchio ed altri due briganti, trasse alla masseria D’Agostino e richiese a lui un cavallo e del denaro, minacciandolo di sequestro. I malfattori intanto, per esser sicuri, sequestrarono il figlio del D’Agostino e lo condussero nell’altra masseria dove stava il resto della banda…
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Montecalvo Irpino – Le origini del nome
Mario Sorrentino
[Ed. 00/07/2003] Stabilire l’origine del nome Montecalvo è compito arduo e complesso. Riferimenti certi non ve ne sono.
Molti hanno provato a dare interpretazioni, a volte anche fantasiose, le più veritiere possibili e le numerose fonti storiche consultate non aiutano a risolvere il problema.
Un’ipotesi semplicistica, ma priva di fondamento storico, vorrebbe il nome derivare dalla mancanza di vegetazione sul colle, un’altra dalla famiglia romana Caldia padrona della collina, ma un’affascinante terza ipotesi potrebbe essere la più veritiera.
Tipica di questo colle e della zona, è, infatti, la coltivazione del grano e la fioritura delle ginestre che hanno in comune un particolare, il colore Giallo, in latino “Galbus”, che in alcune ore del giorno avvolge la collina di magnifici riflessi dorati, donandogli appunto quella particolare colorazione.
Quindi da un ipotetico Mons Galbus (Monte Giallo), con le trasformazioni linguistiche, come ad esempio quella spagnola che trasforma la lettera “b” in “v”, influenza presente ancora nel dialetto Montecalvese, si sarebbe potuto passare ad un realistico Montecalbo e quindi Montecalvo. Ipotesi di certo intriganti, in lotta tra loro ma nessuno in grado di sopprimere le altre, la curiosità resta, solo la continuità nella ricerca storica potrebbe in futuro aggiungere elementi chiarificatori e decisivi per la vera origine del nome.Nuova ipotesi da studi recenti
…E Montecalvo? Il suo nome, cioè. La mia ipotesi, fondata sempre su solidi studi di toponomastica, è che indichi una comunità a cui non è mai stato dato un nome diverso da quello puramente geografico e fisico del luogo, forse perché la nostra comunità fu formata da gente che arrivava alla spicciolata, in fuga da eventi bellici o altri disastri, come terremoti o altro, gente di provenienze diverse, che cercava protezione intorno al castello normanno, dopo il Mille e a più di mille anni dalla fondazione della comunità che mi piace chiamare senz’altro Anzano.
Di posti chiamati “Montecalvo” ve ne sono a bizzeffe in Italia. E meno un altro paio di paesi, tutti posti spopolati e brulli. Uno, Monte Calvello, addirittura ci guarda da sopra Casalbore. Un altro è nei paraggi di Benevento. Un altro nella Daunia. Sono nella quasi totalità luoghi disboscati in varie epoche per fornire legname alle flotte romane, per ottenere erba da pascolo, per la ripresa delle coltivazioni dopo il Mille, ecc. Peccato, perciò, che mai nessuno abbia pensato di dare al nostro paese un vero e proprio nome. Il motivo fondamentale probabilmente è stato che la gente che lo fondò veniva da comunità diverse, aventi diversi nomi, e nessun gruppo poté prevalere al punto di spuntarla con il dare il proprio nome di provenienza,
Queste mie sono ovviamente soltanto ipotesi, per quanto argomentate. Ma dimostrare che sono infondate è altrettanto difficile che dimostrare il contrario. Di fasti storici illustri mi pare che non ve ne siano stati troppi, da noi. Però vi si è acclimatata una gente che non è di plastica, mi pare.
Da uno studio di Mario Sorrentino ( Bologna ) Luglio-2003
[Nativo] -
L’eroicità del Ten. Vincenzo Lo Casale
COMBATTIMENTI DI SEROBETÌ E DI AGORDAT PRESA DI CASSALA
Alfonso Caccese
[Ed. 00/01/2004] Il 21 Novembre 1888, con il grado di Tenente del 1° reggimento Cacciatori del corpo speciale d’Africa, partiva per la campagna d’Africa il nostro concittadino Vincenzo Lo Casale. Nato a Montecalvo Irpino il 12 ottobre 1856 da Luigi e da Sanità Diomira, aveva preso in moglie, l’8 marzo 1897, la Signora Clelia Zanetti.
In Africa, prese parte alle campagne del 1888 -89 – 90, distinguendosi per eroicità e valorosità. Il 4 febbraio 1894, veniva decorato con la medaglia di bronzo al valor militare per il combattimento di Agordat, dove si distinse per impeto e coraggio,quando verso la metà del dicembre del 1893 circa diecimila Dervisci mossero da Cassala verso Agordat e giunsero in vista di quel forte il 21 di quel mese, fermandosi tra i villaggi di Algheden e Sabderat. A fronteggiarli corse il colonnello ARIMONDI, governatore interinale della colonia in assenza del generale BARATIERI allora in Italia; aveva a sua disposizione il battaglione Fadda, il battaglione Galliano, lo squadrone Asmara (cap. FLAMORIN), lo squadrone Cheren (cap. CARCHIDIO), la batteria Ciccodicola, la batteria Bianchini e la banda del Barca del tenente MIANI; in complesso 42 ufficiali, 32 uomini di truppa italiana, 2106 ascari, 213 cavalli e 8 cannoni, oltre la compagnia Persico con le bande dell’Acchelè-Guzai, in marcia verso Agordat. Comandante in seconda era il ten. col. CORTESE. Verso il mezzogiorno del 21 dicembre 1893 l’ ARIMONDI fece muovere all’attacco l’ala destra, ma questa, sopraffatta dal numero dei nemici, dopo un furioso combattimento, dovette ripiegare ordinatamente, lasciando una batteria e costringendo al ripiegamento anche l’ala sinistra. Verso le ore 13 però, entrate in azione le riserve, gli italiani passarono al contrattacco, respinsero i Dervisci, riconquistarono i pezzi e, dopo sanguinose mischie, misero in rotta completa il nemico, che fu inseguito per alcune ore.
Brillanti furono i risultati della vittoria: i Dervisci lasciarono sul terreno 1000 morti, 72 bandiere e oltre 700 fucili; gli Italiani tre ufficiali morti, due feriti e 230 uomini di truppa morti e feriti. Fra i nemici morti si annoverò l’emiro Ahmet M, comandante supremo. Per togliere ai Dervisci un’importantissima base d’operazione contro la Colonia Eritrea, il generale BARATIERI decise di assalire Cassala, sebbene questa città non fosse compresa nella nostra zona d’influenza, e il 12 luglio del 1894 radunò ad Agordat il corpo che doveva operare, composto del I Battaglione Indigeni del maggiore TURITTO (3 compagnie coi capitani SEVERI, SPREAFICO e SANDRINI), del II Battaglione Indigeni del maggiore HIDALGO (5 compagnie coi capitani MARTINELLI, BARBANTI, MAGNAGHI, ODDONE e il tenente BERUTO), del III Battaglione Indigeni del capitano FOLCHI (3 compagnie coi capitani CASTELLAZZI e PERSICO e il tenente ANGHERÀ), della 2a compagnia Perini del IV Indigeni, dello squadrone Cheren (cap. CARCHIDIO), e della sezione d’artiglieria del tenente MANFREDINI, in tutto 1600 uomini, dei quali 56 ufficiali e 41 uomini di truppa bianca; in più 145 cavalli, 250 muli e 183 cammelli. -
Come eravamo
Franco D’Addona
Montecalvo Irpino AV – 28 gennaio 2005 – Vi riconoscete in questa foto scattata in occasione dei Mondiali di calcio del 1970?
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Montecalvo – Ariano ed altre terre saccheggiate dai saraceni di re Manfredi
[Ed. 00/00/0000] Da una Bolla di papa Urbano IV
“Urbanus Episcopus Servus Servorum Dei – Universis nostris et Ecclesiae Romanae coeterisque Cristifidelibus, salutem et Apostolicam benedictionem.
Olim in die Coenae Domini proximo praeterito quo videlicet annis singulis apud Sedem Apostolicamde universis Mundi partibus innumeralibilis Fidelium convenit multitudo Manfredum quondam Principem Tarantirnum super certis articulis praesente ipsa multitudine manifeste citavimus ut in Kalendis Augusti proximo praeteritis coram nobis per se, vel per solemnes Procuratores cum sufficienti mandato comparere curaret, facturus e recepturus super illis quod iustitia suaderet; vìdelice super destructione Civitatis Arianensis, quam per Saracenos fecit funditus dissipari, et super interfectione turpissima Tomasi de Oria, et Tomasi de Salice, ac super crudeli et proditiosa occisione Petri de calabria comitis Catanzari, et horrenda effusione sanguinis multarum fidellum, nec non super eo quod in derogationem auc toritatis Ecclesiasticae, vel Censurae, quae fulcimenuum est Fidei, atque robur et ipsius detractioriem Fidei pluribus iam annis sibi fecit, et facit ad publice celebrari, vel quantum in eo est, potius profanari Divina, quod non caret scrupolo haereticae pravitatis. Et citato propter Hoc a fel. record. Alexandro Papa praedecessore nostro, quia in praefixo ei termino, nec post, etiam comparere curavit fuit per praedecessorem eundem excomunicationis vinculo ac de causa specialiter innondatus, ect. – Datum apud Urbem veterem III Idus Novembris Pontificatus nostri anno II. » La quale data si spiega per il 6 aprile 1262 – Vedi Sbaraglia – Bullar: Franciscan: tom. 2 p. 453 – Vedi Annali Eccelsiastici – del Rainaldo – anno 1263 -N. 65.Da questa bolla risulta che Ariano fu fatta distruggere da re Manfredi, per mano dei saraceni, perchè partigiana del papa. Si afferma ancora, che S. Eleuterio – un discreto centro abitato – subì la istessa sorte, come pure altri paesi circonvicini sentirono gli effetti funesti del saccheggio e dello sterminio. Circa tale punto noi abbiamo la conferma dai registri angioini – da cui risulta che in questa nostra zona, diversi paesi furono rasi al suolo e messi a ferro e fuoco. Montecalvo, che non era fuori mano – si trovò in analoghe circostanze, e per le medesime ragioni – sentì le orribili atrocità saracene, rimanendo saccheggiata selvaggiamente. Questo particolare lo abbiamo dalla Cronaca del Rev.do Giov: Battista Capozzi, Abate Cassinese – intorno all’anno 1254, regnando papa Alessandro IV. Nè poteva sfuggire ai danni ed a tutto ciò che accadeva a pochi chilometri da essa. Se ben si osservi l’antichissimo Castello feudale – sito nell’ interno del presente palazzo ducale – si vedranno le tracce della devastazione operata. Dopo la riferita di struzione saracenica, non sappiamo altro relativamente alla riedificazione. Dalla Cronaca di Cassino sappiamo solamente di Ariano, che fu riedificata da Carlo D’Angiò verso il 1265. [Nativo]
[Bibliografia di riferimento]
[P. Santosuosso B., Pagine di storia civile di Montecalvo Irpino, Tipografia Fischetti, Sarno SA, 1913]Redazione
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Montecalvo dopo la morte di re Guglielmo II – I re svevi
[Ed. 00/00/0000] Con la morte di Guglielmo II, i regni di Sicilia passarono in successione – a Costanza normanna, che fu moglie dell’imperatore Errico VI. di Svevia.
Vennero altri tempi – altri nomi – altre vicende. Le guerre di quei tempi per ricuperare i regni dotali, l’assedio di Napoli – la sua seconda venuta in Italia per il riacquisto dei regni medesimi – sono fatti che possiamo leggere nella storia generale. – Seguirono i tempi di Federico Il di Svevia, ma per la nostra terra che rimaneva ancora nella terra beneventana, per mutar di tempi e di baroni, nulla o quasi, si era cambiato.
Nel regno, i Feudi incominciarono ad essere ereditarii a tempo di Federico II nel 1210 — dal quale fu pubblicata la Costituzione: Ut de successionibus – in cui si dichiara essere ereditarii con l’investitura semplicemente. – A tempo di Carlo II di Angiò, nel 1300 cominciarono ad essere ereditarii sotto altra investitura, cioè per gli eredi discendenti dal legittimo corpo: come nel Cap: che inmincia: Considerantes – (Vedi Ubaldo Ubaldini – Della divisione dei Feudi.)
Le aride cronache del nostro paese poco riportano di rilevante. Siamo sicuri che si viveva la vita di un paese feudale. Relativamente, era un centro notevole a causa dei rapporti che aveva con la vicina Ariano e dei contatti con Apice – Benevento – Buonalbergo – Corsano.
Nel registro dell’imperatore Federico Il – 25 Dicembre 1239 – tra gli altri baroni che sono nominati – nel giustiziariato di Principato – per la custodia dei lombardi fatti prigionieri di guerra, vi è Matteo di Letto, che fu poi Signore di Montecalvo – come vedremo da un documento del R. Archivio. – Vi è pure Dominus Casalis—Albuli (Casalbore). Intorno a questi tempi, fu pure giustiziere imperiale di Principato e della nostra terra beneventana Tomasio de Montenigro – il quale ebbe il mandato di assegnare i detti prigionieri ai di versi baroni della sua giurisdizione. – Qui notiamo che diviso il regno in Provincie – Montecalvo fu inclusa in prov: di Principato ultra.MANFREDI DI SVEVIA. – Venne il periodo tempestoso e guerresco di re Manfredi, ma i tempi erano quasi cambiati, e volgevano in favore dei Pontefici, preparando nuovi periodi di lotte feroci.Il biondo eroe di Svevia si slanciò alla vittoria con la forza delle armi, per raggiungere la corona di Napoli e di Sicilia.
Erano in contrasto il principio ghibellino e nazionale contro i guelfi e gli invasori d’oltrealpi. Dopo i primi combattimenti col Pontefice Innocenzo IV, il re guerriero, a capo delle sue milizie, entrava trionfalmente in Lucera – capitale della vecchia Daunia e rocca dei saraceni – accolto festosamente ed acclamato dalla folla a Principe. A varie riprese, continuò le guerre con Alessandro IV – Urbano IV – e nulla valse a smuoverlo dalla sua ostinazione In breve tempo, morirono diversi papi – e non per avanzata età, ma per eccessi di travagli e sostenere un diritto largamente contrastato. Da una bolla di papa Urbano IV,si apprende che Manfredi fece distruggere per opera dei Saraceni la città di Ariano Irpino. [Nativo][Bibliografia di riferimento]
[P. Santosuosso B., Pagine di storia civile di Montecalvo Irpino, Tipografia Fischetti, Sarno SA, 1913]Redazione
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La Valle del Miscano – Montecalvo Irpino
Giovanni Bosco Maria Cavalletti
[Ed. 00/00/0000] Che sia lo spettacolare burrone del Fosso Palumbo ricamato di grotte arrampicantisi tortuose verso l’antica chiesa collegiata di Santa Maria, o che sia il dolce ondulare del paese che, ormai in declivi di nuove costruzioni, stringe, abbracciandolo verso l’alto, l’imponente castello feudale, Montecalvo offre, da Nord o da Sud, un primo suo volto accattivante e misterioso (foto 2). Dal grande piazzale del castello lo sguardo spazia intorno ai quattro punti cardinali. Da Ovest a Nord si domina l’intera Valle del Miscano con la vista di Buonalbergo, di Casalbore, di Ginestra degli Schiavoni, delle alture di Castelfranco e della Dormiente del Sannio. Da Sud a Est la Valle dell’Ufita con i paesi della Baronia e il massiccio del Partenio con, nelle belle giornate di cielo pulito, il santuario di Montevergine. Le gialle arenarie dei calanchi, i misti profumi di acacie e ginestre, gli orti squadrati dalle esperte mani dei contadini, ereditarie di tecniche agricole trasformate in arte dal tempo, creano una particolare attrazione che invita, man mano, l’eventuale turista o l’occasionale passante, a raggiungere il centro dell’intero contesto. E qui, tra gli sberleffi delle maschere in pietra poste a proteggere il paese dagli spiritelli maligni, nei vicoli ricchi di fregi e portali, attraversando suggestivi sottopassaggi dai quali improvvisi si offrono allo sguardo stupito sprazzi di cielo e incantevoli dirupi, e possibile rivivere le eccitanti emozioni che il grande Musorgskij dovette provare se e vero, come si ha per tradizione, che ospite al castello di Montecalvo della sua compatriota Maddalena Pignatelli, compose la celeberrima sinfonia ” Una notte sul Monte Calvo”(foto 3) . Effettivamente la duchessa Maddalena Pignatelli, figlia di Pietro Fesenko, consigliere dello zar Nicola II, aveva frequentato, in gioventù, la corte moscovita ed e probabile che li avesse conosciuto il celebre musicista. Il fascino arcano che promana dal cuore del paese, soprattutto in quelle strette e bizzarre stradine del Trappeto, ove pare che il cielo precipiti giu per calanchi, predispone il volenteroso a dare credito agli antichi racconti di streghe che avrebbero ispirato la celebre sinfonia. E cosi sembra di sentire ancora nell’aria il fruscio delle agili scope con cui le leggendarie janare, nelle tempestose notti lunari solcavano il cielo montecalvese per raggiungere il mitico noce di Benevento. E nell’origine stessa del Mito e l’inizio della storia medioevale di Montecalvo. Il Longobardi beneventani, al cui patrimonio culturale tante figure fantastiche furono attinte dagli antichi abitanti della Valle del Miscano, furono gli iniziatori cruenti di una nuova civiltà, frutto della fusione dei caratteri germanici con quelli sannito-latini attraverso la mediazione cristiana. Fu nel VI secolo che nacque l’embrione della Montecalvo attuale.
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I Fatti di Ariano nel settembre 1860
[Ed. 00/01/2004] Le due ricostruzioni storiche dei fatti di Ariano che diffondiamo qui di seguito, ci permettono di avere due prospettive che si completano e correggono l’una l’altra. Nicola Nisco,patriota e conterraneo,liberale della prima ora,fa una narrazione senz’altro veritiera,riportando probabilmente racconti di prima mano dei protagonisti di parte liberale. Egli però era un alto esponente dei ” galantuomini” del Regno che,se ardevano di ideali a riguardo dell’Unità del paese,non potevano o volevano,capire perchè i ” cafoni” la pensassero diversamente da loro sulla questione della terra. Francesco II°, e prima di lui suo padre,Ferdinando,aveva promesso che una famosa commissione centrale nominata per portare a compimento l’eversione ( cioè l’abolizione ) dei feudi,avrebbe ripreso i lavori per la concessione delle terre già feudali ai contadini poveri e ai braccianti,ma con la prospettiva che presto sarebbero arrivati i “piemontesi”, questi temettero che le cose tornassero come prima che il re di Napoli francese,Gioacchino Murat ( il re del famoso decennio 1800-1810),nel 1806 emanasse il suo decreto per l’abolizione dei feudi. Ad Ariano c’era una situazione particolare. Gli arianesi avevano riscattato a caro prezzo le loro terre ( quelle che saranno chiamate di “Campo reale”) dal feudo del Marchese di Bonito. Le terre erano diventate del demanio reale pubblico.Il che voleva dire che i contadini poveri vi potevano fare il legnatico,pascolare, ecc. Evidentemente Campo Reale non era stato ancora ridotto a coltura a grano. Perciò i contadini si atterrirono quando seppero che dei”galantuomini” volevano che il territorio fosse annesso al Regno Sabaudo. I preti sapevano e li avvertirono che in Piemonte non c’era stata l’abolizione dei feudi. Quindi le terre del famoso demanio non sarebbero state più parcellizate per i contadini in una riforma agraria avanti littera, come si sperava di ottenere da Francischiello che prometteva (con l’acqua alla gola) di voler mantenere in vigore la riforma murattiana del 1806. Si spaventarono a morte e fecero un massacro, come racconta Nisco. La storia che invece avessero paura che i liberali “senza Dio” fondessero il busto d’argento di Sant’Oto è una esagerazione dei liberali. Può darsi però che servisse come grido di battaglia per la gente del ” Sauco” di ariano, poveri braccianti facilmente manovrati dal clero. Nisco era nato a S.Giorgio la Montagna (l’odierna San.Giorgio del Sannio)in provincia di Benevento nel 1820.Patriota,fu condannato per i moti del 1848 al carcere duro. Esiliato a Malta nel 1858, rientrò prima a Firenze e poi nel Regno di Napoli,dopo che Garibaldi sbarcò in Calabria.Dopo l’Unità fu ministro dell’Agricoltura. Fu storico degli avvenimenti di cui fu spesso testimone, come si evince dal suo racconto storico. [Nativo] [Segue]
Mario Sorrentino – Alfonso Caccese
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Una strada per la Storia
[Ed. 10/02/2005] Quando più Comuni,tutti affacciantisi sulla millenaria Valle del Miscano,decidono di sedersi ad un tavolo comune per discutere del proprio futuro e di quello delle proprie genti,evidentemente,questi Comuni stanno parlando di qualcosa di veramente importante.
Se la viabilità ha segnato per secoli,la ricchezza e la importanza di queste terre(Via AppiaTraiana,Strade consolari,Tratturo Pescasseroli-Candela………. ),mai come in questo momento la Viabilità e l’unica vera carta per un sicuro sviluppo economico della nostra regione.
Allorché,ci si reca nei Comuni del Circondario per le necessità più varie(visita ad un amico,parente,affari o semplice acquisto di beni) si nota un generale benessere,una naturale e calda accoglienza,abbinati ad un decoro urbano e architettonico notevole(ampi spazi,strade comode,marciapiedi,illuminazione pubblica efficiente,servizi generali di assistenza e di tutela efficaci….). -
Verbale di Costituzione del Partito Democratico Cristiano – Sezione di Montecalvo Irpino
[Ed. 11/03/2005] Da qualche tempo mi succede di ritrovare, tra le carte del mio grande archivio,documenti che parevano smarriti o che non avevo mai visto prima.
La scoperta di una nuova testimonianza della gloriosa storia montecalvese, non può che rendermi euforico e un po’ nostalgico.
Certe carte,forse per quella maliziosa capacità del destino,sembrano apparire dal nulla,in certi precisi momenti e in certi anniversari.
Quel che il lettore, potrà consultare mediaticamente, è la copia del “Verbale di Costituzione del Partito Democratico Cristiano”- Sezione di Montecalvo Irpino, avvenuta il 15 Maggio 1944.
Il prossimo Maggio,ricorreranno i 61 anni della fondazione di un Partito che ha veramente segnato la storia del nostro Paese.
Nello stesso anno veniva alla luce l’altro grande partito, antagonista del primo, il Partito Comunista Italiano.
Una storia parallela, un antagonismo forte e duro, mai violento.
Un intreccio di esperienze, fatti di accordi e di intese, più o meno ufficiali.(Il primo centro-sinistra e il primo compromesso storico d’Italia)
Va evidenziato come, in un’Italia ancora in guerra, in questo nostro piccolo paese nascesse una delle prime sezioni nazionali di un partito, con delle motivazioni di assoluta novità e originalità, scevra da dottrinarismi e statutismi, ricalcando l’animo libertario del popolo montecalvese, mai domato e sempre libero.
La sezione ebbe vita alla Via dietro l’Angelo n°2 alle ore 19.00, nella casa di uno dei fondatori.
Dei fondatori conosco ben poco, a parte alcuni che ho avuto il piacere e l’onore di conoscere personalmente, per il solo fatto che quando firmarono quel documento inneggiante alla libertà, alla democrazia, alla giustizia sociale e all’ordine internazionale, erano poco più che ragazzi, tanto che ,quasi a scusante giustificazione, fu stabilito che potesse far parte del partito il cittadino che avesse compiuto il 18° anno di età.(A quei tempi la maggiore età era stabilita a 21 anni).
Il primo segretario fu Davide Panzone, che col fratello costituì il partito, e che ho avuto quale amico e confortante consigliere nella mia lunga esperienza politica.
So che quel Ernesto Caprini, era un confinato e che grazie al suo intento poté germogliare il seme di un nuovo impegno dei cristiani in politica.
Sarebbe opportuno che si addivenisse ad una riscoperta dell’impegno di questi pionieri, tra cui mi preme ricordare il mio compianto prozio Comm . Domenico Stiscia già aderente al Partito Popolare fin dal 1919 e poi fondatore della Democrazia Cristiana in Montecalvo.
1° Vice Sindaco ,nell’Italia liberata dagli Alleati, è passato alla storia per un suo diretto intervento, allorché seguito dalla guardie comunali, requisì le scorte di grano ammassate, che furono, immediatamente, distribuite alla popolazione affamata e ai forni, per la produzione del pane.
L’Avvenimento urtò i poteri costituiti e il governo provvisorio ,preoccupati per l’ordine pubblico, ma il risultato fu che l’intera popolazione montecalvese, stremata dalla guerra, si riaffratellò intorno alle autorità comunali, scoprì la forza della democrazia ,recuperando la fierezza di un tempo.
Sarebbe auspicabile un recupero dei tanti ricordi ,ancor vivi nella mente di tanti anziani, per dare a tutti una nuova iniezione di fiducia nelle Istituzioni democratiche.
Nella speranza di poter leggere, quanto prima, pagine di storia politica del nostro recente passato, spero che i giovani ritornino a fare politica, non da galoppini ma da protagonisti, con quella giusta percentuale di incoscienza, che testimonia l’essere giovani e con quella creatività che è il seme del domani.
Foto: Davide Panzone, ( in alto a destra) trai i fondatori e primo segretario del Partito Democratico Cristiano e il Comm. Domenico Stiscia, ( a sinistra) tra i fondatori del Partito e primo vicesindaco di Montecalvo Irpino
[Nativo]Dott. Antonio Stiscia