I fuochi e i piccoli aerostati di S. Giuseppe nella tradizione montecalvese
[Ed. 20/03/2005] A Montecalvo Irpino il 19 marzo si festeggia S. Giuseppe e nel pomeriggio il paese si anima, perché è attraversato dalla processione con la statua del santo, appartenente alla chiesa di S. Bartolomeo, seguita dai fedeli e da diversi automezzi.
In passato, questa festa riguardava soprattutto gli artigiani. Anche i contadini e i massari, tuttavia, partecipavano con mucche e carri.
Con l’introduzione di camion e trattori nelle attività lavorative, si cominciò a sfilare anche con questi mezzi dietro la processione e i gas di scarico ammorbavano l’aria rendendola irrespirabile.
Era una specie di sfida per mostrare agli occhi della gente le mucche più belle, con le corna infiocchettate di nastri colorati, e anni dopo il trattore lucidato, più grosso e potente di quelli della concorrenza.
All’imbrunire, era tradizione accendere dei fuochi negli slarghi del paese e davanti alle case di chi viveva in campagna.
Questa tradizione è comune ad altri paesi dell’Irpinia.
Qualche giorno prima della festa, le famiglie, o la gente dei rioni che era animata dallo spirito di clan, si davano da fare per raccogliere materiale da ardere per l’occasione. Accatastavano paglia, ramaglie, fascine e, giunto il momento dell’accensione, adulti e bambini si radunavano eccitati e vocianti attorno al cumulo di materiale che si era riusciti a costruire.
A un certo punto colui che fungeva da capo clan, diventava piromane dando fuoco alla catasta.
Se non era piovuto, la paglia era asciutta e in pochi secondi la combustione faceva levare alte fiamme e infinite scintille nell’aria. Si bighellonava tutti allegramente attorno a lu fucóne.
Il fuoco brillava sui volti e negli occhi delle persone e queste, oltre a godersi il proprio rogo, scrutavano in giro per vedere quanto duravano i fuochi accesi dagli altri, non senza una punta d’invidia per quelli più luminosi e con una maggiore durata nel tempo, rispetto al proprio.
Sempre la sera di S. Giuseppe, dall’abitato di Montecalvo, sino a circa una sessantina di anni fa, si facevano ascendere in cielo dei palloni di carta lucida colorata. Erano aperti nella parte inferiore a mo’ di piccole mongolfiere. Proprio in corrispondenza di quest’apertura, era agganciata una candela di cera che, una volta accesa, oltre a far risplendere i colori della carta, produceva aria calda, che consentiva al piccolo aerostato di innalzarsi a diverse centinaia di metri d’altezza, per andare poi ad atterrare nelle campagne a qualche chilometro di distanza.
Era uno spettacolo impareggiabile e si ammirava nel cielo buio e stellato questa sorta di corpi astrali gravitare liberamente – l’attuale inquinamento luminoso era tutto da venire – e la gente teneva il naso all’insù, fino a che essi non fossero definitivamente scomparsi alla vista.
Una volta che i fuochi si erano spenti e i globi luminosi erano svaniti nel buio, tutti ritornavano mestamente alle proprie case commentando ciò a cui si era assistito.
Si accendevano i fuochi anche pochi giorni dopo, la sera del 25 marzo, giorno dell’Annunciazione di Nostro Signore, in onore della Madonna dell’Annunziata, ma erano meno numerosi e sontuosi di quelli dedicati a S. Giuseppe.
Tra i contadini circolava un detto, Lu juórnu di la Nunzijàta, mancu la vòcchila rrivòta l’óva (Il giorno dell’Annunziata, nemmeno la chioccia gira le uova). Per questo essi, in occasione di questa festività, sospendevano qualsiasi lavoro agricolo.
Queste usanze relative all’Annunciazione, forse perché la chiesa della Madonna dell’Annunziata di Montecalvo fu abbattuta a seguito del terremoto del 1930, sono del tutto sparite e lo stesso è successo per gli aerostati di S. Giuseppe.
Oggi ci si potrebbe porre non una, ma più domande, a proposito di queste tradizioni. Perché i fuochi? Sono forse ciò che resta di un antico rituale, con cui si festeggiava la fine dell’inverno, freddo e uggioso, e l’arrivo della primavera ridente e luminosa? O non poteva trattarsi anche di un rito ancestrale di purificazione, con origini remote nel tempo, legato al mito del fuoco, che secondo la filosofia antica è uno dei quattro elementi dell’universo?
Gli altri tre elementi sono acqua, aria e terra originati tutti dal fuoco.
E i palloni di carta colorati e illuminati, che fanno pensare a paesi lontani come il Giappone e la Cina, rappresentavano forse una sorta di messaggi bene auguranti, nel senso che auspicavano una stagione propizia e un soddisfacente raccolto per i contadini?
Di certo le risposte non possono essere univoche e forse altre ipotesi, anch’esse plausibili, si potrebbero avanzare in proposito.
Anche ad altre latitudini c’è l’usanza dei fuochi. In Trentino, ad esempio, a Borgo Valsugana (TN), è molto sentita la tradizione del Trato marzo (Entrato marzo), antichissimo rito di passaggio, non legato ad alcuna ricorrenza religiosa, con cui, a ogni inizio di marzo, si festeggia l’approssimarsi della primavera.
I ragazzini scorrazzano per le vie del paese trascinandosi dietro degli assordanti barattoli vuoti, legati con cordicelle. Poi si procede all’accensione dei fuochi.
Ecco, anche qui, a più di 800 chilometri di distanza dall’Irpinia, si accendono dei fuochi. È un caso, una coincidenza, o non è forse un punto di contatto tra le culture di genti così lontane geograficamente, oltre che per i rispettivi usi e costumi? [Nativo]
Angelo Siciliano