Le poesie di Antonio Stiscia
A S. ANTONIO
Quannu nascisti a ò Portogallo
iri billillo e cu li ‘scacche e curalle
ti mettierono o nome e Fernando
che ognuno sapeva, pure cantando.
Ma tu, nunn’ iri nato pi esse nurmale
iri sapiente e combattevi il male
camminasti tanto e avevi poco desco
quannu incuntrasti a frate Francesco.
Parlavi forbito e incantavi le genti
arricchivi i cuori, cu tutte le menti.
Poi a Padova ti hanno fatto Santo
ma in tutto il mondo sei unico vanto.
Ma è a Montecalvo che sei glorioso
amato da S. Pompilio, come te diletto sposo.
Prega per noi, o verbo del mondo!
Parla per noi che ne abbiamo bisogno!
Perché sei di Dio il più bel conio
o amatissimo San Antonio.
ALLA MADONNA DELLA LIBERA
A te ricorro con animo felice
O Vergine santissima, Liberatrice
Con le tue mani respingi l’affanno
Scacci il peccato, sminuisci il danno
Porti nel grembo il divin Salvatore
Figlio di Dio e Nostro Signore
Insieme a Lui hai fatto un patto Santo
Preservare il mondo e Montecalvo
Tu da sola, risplendi la Chiesa
Sei bellissima e meravigliosa
Basta guardarti per qualche momento
E ogni anima rinasce contenta
Sei come un bocciolo di rosa maggese
Ad annunciare la vera primavera del Paese
A DIGNITA’
Ognuno da quando nasce
Si porta stu fardello
Chi si la stipa nd’a na cascia
E chi la mostra,fiero,all’occhiello.
Pochi sanno a che serve stu decoro
Chi la scambia per onestà,chi per onore.
Io l’ho scoperto in tempi non sospetti
Assaggiando a un matrimonio,nu cannellino e sei confetti.
Dell’anima del confetto non è certo il contenuto
E per questo che lo si mastica con fare risoluto
E’ proprio il cannellino simbolo di dignità
Perché lo si succhia tranquillo, sapenno che la Cannella ci stà.
LA MAMMA DELL’ EMIGRANTE
Sono tante le mamme italiane
Che hanno i figli, a loro lontani
La miseria di un tempo era tanta e tanta
Ma Lei di lavorare, non era mai stanca
Le bocche a tavola da sfamare
Erano troppe da accontentare.
A Lei spettava un triste primato
Scegliere tra i figli il più preparato
Ad andare assai assai lontano
Per assicurare, a tutti, un pezzo pane.
La mamma dell’emigrante sapeva soffrire
Fingendo di ridere, al figlio partire
Poi sfogava la rabbia di dentro
Con un pianto greve,che sembrava canto.
Quando era il giorno del suo compleanno
Il posto del figlio era vuoto allo scanno
Perché dal momento che se ne era andato
Quel posto non era stato più occupato,
perché è a tavola che voleva sentirsi
come la rondine che i figli accudisce.
Le cose del figlio guai a chi le tocca
Ogni sua cosa resta intatta
Perché quel figlio non se n’è andato
E stato costretto a far 1 ‘emigrato.
Aspettava Natale per devozione
Aspettava la festa con la stessa emozione
Con la stessa ansia della Madonna
Che aspettava il figlio che forse,ritorna
TRE CANI
Tengo 3 cani, dint ‘o giardino
1 vecchio, 1 giovane e 1 bambino
Li guardo spesso nel fare quotidiano
Ed hanno atteggiamenti di tipo umano.
Il più vecchio è tranquillo mangia e riposa
Il giovane corre e abbaia senza posa
Il più piccolino non si da patimento
E’ goloso e pensa solo al divertimento.
Penso che noi uomini abbiamo responsabilità
Anche le bestie ci vengono a copià
Quando li vedo litigar per un osso
E questi accadimenti, francamente, non capisco
Penso che anche loro,restano stupiti
Quando vedono gli uomini litigar per i partiti.
Ben sapendo, con canina saggezza
Chi mangia la carne del paese
Per cui addentando l’ osso con fierezza
Ricordano che la fame non ha pretese.
La morale e chiara, ma la voglio ribadire:
Noi siamo come i cani, asserviti al pezzo grosso
Che mangia, sempre, la nostra carne
E ci fa litigar per un osso !
[Nativo]
Antonio Stiscia