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Il Prof. Alfredo Siniscalchi riassunto al ministero
Il nostro illustre concittadino, Prof. Alfredo Siniscalchi, è stato riassunto a capo dipartimento al ministero dei Rapporti con il parlamento
A 67 anni i capi dipartimento restano incarica come “esterni” : In attesa che una legge cambi i limiti d’età. La nuova procedura è stata inaugurata dai Rapporti con il Parlamento e dall’Istruzione. La Corte dei conti prima contesta la scelta, poi dà il via libera.
[Ed. 01/12/2003] Ecco finalmente un incentivo efficace per convincere i lavoratori a rinviare il pensionamento, Un meccanismo perfetto: si prende la pensione, però si resta al proprio posto di lavoro. Purtroppo l’opzione non è alla portata di tutti. Bisogna essere altissimi dirigenti statali; possibilmente capi dipartimento, il grado gerarchico più èlevato, subito al di sotto del ministro. E bisogna aver raggiunto il limite massimo d’età previsto dalla legge per i dipendenti della pubblica amministrazione, cioè 67 anni.
Il primo a sperimentare il nuovo strumento messo a punto dal governo sarà Alfredo Siniscalchi, capo dipartimento al ministero dei Rapporti con il parlamento. Età: 67 anni appunto. Stando alla legge, avrebbe dovuto lasciare il suo ufficio, diventare un pensionato dell’Inpdap e liberare la poltrona in favore di qualche collega più giovane. Invece non sarà così. Siniscalchi andrà effettivamente in pensione, rispettando la legge. Però il giorno stesso verrà riassunto, In base al decreto legislativo 165 (una delle cosiddette riforme Bassanini, poi ampliata da Frattini) ogni amministrazione può conferire il 10 per cento degli incarichi da dirigente generale a «persone di comprovata qualificazione professionale». E’ la norma che consente di arruolare liberi professionisti o manager di imprese private con contratto a termine.
La scelta viene motivata con questo ragionamento. Perso il nostro capo dipartimento – dicono al ministero – ne abbiamo cercato un altro fuori dall’amministrazione, ci siamo guardati intorno e fra i dirigenti disponibili sul mercato abbiamo trovato l’uomo giusto: Alfredo Siniscalchi. Così il Consiglio dei ministri ha conferito l’incarico al dottor Siniscalchi, dirigente assunto dall’esterno a tempo determinato. Assunzione che ha avuto inizio il giorno stesso del suo pensionamento. La decisione non poteva passare inosservata. La prima a lamentarsene è stata la Ragioneria dello Stato, cioè l’amministrazione che deve pagare gli stipendi. Perché l’aspetto più clamoroso della vicenda sarebbe proprio questo: il dirigente/pensionato può cumulare stipendio e pensione? Qualcuno dice di no. Altri però sostengono di sì, purché si siano superati i quaranta anni di contributi (come nel caso di Siniscalchi). Se così fosse, sarebbe davvero un bel premio per il funzionario che resta al suo posto lavoro, molto meglio degli incentivi introdotti dalla riforma Maroni. Anche la Corte dei conti ha avanzato qualche rilievo prima di registrare il decreto di nomina. Infine ha riconosciuto come valide le argomentazioni prodotte dal governo, facendo contento il ministro Giovanardi che tanto teneva all’apporto del suo collaboratore. Con il sigillo della Corte dei conti, a questo punto si è stabilita una nuova regola: un dirigente che supera il limite di 67 anni può essere pensionato e immediatamente riassunto. Siniscalchi è stato l’apripista. Subito seguito dal collega Giovanni D’Addona, eterno capo dipartimento al ministero dell’Università prima e dell’Istruzione poi. Anche per lui domanda di pensione e riassunzione come esterno, Ma la lista è destinata ad essere molto più lunga, sono almeno altri tre o quattro i dirigenti in posizione di vertice vicini al limite d’età e pronti a percorrere la strada aperta da Siniscalchi. La vicenda fa ripensare a un progetto di legge presentato da Udc e An, discusso fra molte polemiche nei mesi scorsi dalla commissione Affari costituzionali del Senato. Il testo prevede di elevare a 70 anni l’età pensionabile massima per tutti i dipendenti pubblici, (oggi solo i magistrati possono arrivare a 75). L’iter parlamentare, si sa, richiede tempi lunghi. Ma per i pezzi grossi dei ministeri non c’è problema: basta un decreto e un parere della Corte dei conti. da Il Messaggero del 01 dicembre 2003 [Nativo]
Redazione
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Le Pacchiane di Montecalvo
Riflessioni sul costume tradizionale delle donne montecalvesi
[Ed. 00/00/2005] “Songo arrivati puro li munticalvisi”. Bastava che il pullman dei pellegrini provenienti da Montecalvo facesse timido capolino sul piazzale contiguo al santuario di San Gerardo a Materdomini perché, dai vocianti e colorati capannelli degli astanti, si levasse – percepibile distintamente anche da chi non ne udisse il suono ma fosse in grado comunque di interpretare il movimento delle labbra – quel commento stentoreo e quasi divertito: “songo arrivati puro li munticalvisi”!
Per anni mi sono chiesto – nell’ affardellamento delle migliaia di interrogativi inutili ed assurdi con i quali ciascuno di noi affolla, quasi ingolfandoli, la mente ed i ricordi – da dove i solerti e determinati individuatori della genia montecalvese – in versione pellegrinaggio tardo-settembrino – riuscissero a ricavare le loro granitiche certezze circa la provenienza di quell’aggregazione eterogenea di rara umanità. E solo in tempi recenti io, che a San Gerardo ci andavo da bambino e che oggi mi avvicino (sia pure “trotterellando”, con spocchiosa presunzione di gioventù ben radicata nella mente e nel corpo) ai cinquant’anni, sono finalmente arrivato al punto di svelare l’arcano.
La soluzione a lungo ricercata è, in realtà, molto banale. Quando, negli anni addietro, il popolo di Montecalvo – e con “popolo” intendo l’interazione di tutte le componenti sociali, sessuali ed anagrafiche dell’antica comunità – valicava i confini del proprio territorio ed approdava alle mete predestinate, fossero esse vicine o lontane – Montevergine come Lourdes – , non poteva non essere immediatamente individuato, in ragione di un preciso particolare, assolutamente irrilevante nella cerchia delle mura domestiche ma visibile, visibilissimo – addirittura, scioccante – all’esterno di quelle mura.
Il riferimento è all’abbigliamento che ha reso peculiari ed uniche le donne di Montecalvo per tanti decenni e che ancora oggi – sia pure, tristemente, circoscritto ad un numero sempre più sparuto di “esemplari” – funge quasi da suggello cromatico alla tempra delle nonne nostrane che, per tutta una vita, non hanno indossato altro che quegli abiti.
Non descriverò nel dettaglio la fantasiosa armonia del vestito femminile montecalvese, inopportunamente definito, anche in paese, “lu costume”, quasi si trattasse di indumenti che si indossano per uno scopo od un’occasione particolare e non facessero invece parte del “mostrarsi” quotidiano di intere generazioni muliebri. Non lo descriverò perché già altri lo hanno fatto in modo egregio e, soprattutto, perché nessuna descrizione, per quanto accurata, potrebbe rendere adeguatamente l’idea di quello che può “raccontare” un ordito multicolore che non è come un comune vestito che “sta addosso” a chi lo usa, ma costituisce un tutt’uno con chi lo indossa, rende peculiare il contesto in cui si inserisce. Soprattutto, fa, di una donna come tante, un qualcosa di diverso e di peculiare: ne fa una “montecalvese”, altrimenti definita “pacchiana” – sia pure con intenti non diffamanti e proprio in ragione dell’antico abbigliamento –, nella sua splendida, altera, inconfondibile, coloratissima unicità. Le imprime, insomma, un sigillo di riconoscibilità che, nel tempo e nello spazio, ha finito per attribuire alle nostre donne il ruolo di “bandiera”, festosa e multicolore, di tutta una comunità.
Erano “pacchiane montecalvesi” le donne che si presentavano, nei primi decenni del secolo scorso, davanti agli arcigni controllori di Ellis Island, invocando il permesso di ingresso negli Stati Uniti per potersi ricongiungere ai loro cari, già sbarcati nello stesso porto qualche anno prima. Quanto scherno – stupido e ingeneroso scherno – avranno provocato quelle vesti variopinte, quei “maccaturi” svolazzanti, quelle “cammisole” con i pizzi ricamati?
“Pacchiane” erano anche le donne costrette dalla crudeltà della natura a scavare con le mani per recuperare i corpi dei loro parenti seppelliti sotto le macerie del terremoto del 1930.
Anche a salutare il principe Umberto, in visita a Montecalvo prima di diventare effimero sovrano di un effimero regno, accorsero le “pacchiane” , le quali, per l’occasione, avevano impreziosito il già ricco vestito con gli ori riservati alle occasioni solenni.
E sono state le “pacchiane” a condizionare l’alternanza degli schieramenti politici alla guida del comune di Montecalvo, interpretando nel corso degli anni l’appartenenza alla “Croce” (democrazia cristiana) od alla “Spiga” (partito comunista) con sanguigna determinazione.
Da ultimo, “pacchiane montecalvesi” sono state le nonne di tutti quelli della mia generazione, laddove le nostre madri hanno dismesso l’abbigliamento tradizionale degli avi, optando per i più comodi e funzionali vestiti “moderni”. Sicché le “pacchiane” di Montecalvo si avviano verso l’ineluttabile, dolorosa estinzione.
Pochi, pochissimi anni ancora e, per vedere quelle vesti variopinte, quei “maccaturi” svolazzanti e quelle “cammisole” con i pizzi ricamati saremo costretti a chiedere un appuntamento alle ragazzine del gruppo folk. Foto: Arturo De Cillis [Nativo]Arturo De Cillis
[Bibliografia di riferimento]
[De Cillis A., Le Pacchiane di Montecalvo. Riflessioni sul costume tradizionale delle donne montecalvesi, Il Brigante, n. 5, 2005] -
Arturo De Cillis. Quando i Borbone ordinavano: FACITE AMMUINA!
Alfonso Caccese
[Ed. 00/00/2000] Il tentativo di cercare in rete, elementi utili per la ricerca storica locale, proteso alla divulgazione, in modo onesto e trasparente, di una cultura, quella Montecalvese, carica di passionalità spesso confinata nei più profondi meandri della memoria, mi ha fatto scoprire ( anzi ritrovare ) e rispolverare quelle esperienze latenti che sapevo esistere ma mai sperato così copiose conoscere. Ultima scoperta, una pubblicazione di un mio caro,vecchio amico d’infanzia : Arturo De Cillis, ( non l’incontro da oltre 20 anni) che non conoscevo come ricercatore storico, ma sapevo e ricordo essere persona sensibile e appassionato cultore della nostra storia. Rischio di cadere nel banale ma credo che per l’intera comunità Montecalvese, scoprire la passionalità di persone che pur vivendo fuori dal paese, hanno quotidianamente impressa nella loro mente il nostro piccolo paese, rappresenti una forza e una qualità che credo ci distingua da tante altre piccole realtà a noi vicine. [Nativo]
[De Cillis A., Facite ammuina!, GDS EDIZION, 2000]
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“Lu Communi” poesia di Angelo Siciliano
Angelo Siciliano
[Ed. 27/01/2005] Zell TN – L’edificio comunale montecalvese, col suo aspetto architettonico così diverso e inconsueto rispetto agli altri palazzi del paese, fu edificato dopo il terremoto del 1930, secondo lo stile littorio elaborato dall’architetto e urbanista del regime, Marcello Piacentini, che tanto contribuì allo sventramento di Roma. Strutture architettoniche dello stesso tipo, spesso più elaborate e con intenti celebrativi e monumentali, sono presenti in tutte le città italiane. Il terremoto distruttivo del 1930 causò, solo a Montecalvo Irpino, la morte di 83 persone. Poi vi sono stati altri due terremoti distruttivi: quello del 1962, che provocò indirettamente la morte di una signora, e quello del 1980, che non provocò vittime a Montecalvo, ma ne causò quasi tremila nel resto dell’Irpinia e in Lucania.
Delle due foto del Comune di Montecalvo, una l’ho scattata nel 2004, l’altra, a cui ho dato i colori, è del 7 aprile 1946 e appartiene all’archivio di Agnese Cristino, vedova di Oreste e nuora di Pietro Cristino, primo sindaco democratico di Montecalvo Irpino, eletto proprio nell’aprile del 1946. [Nativo]LU CUMMUNI
Lu cummùni, nu palazzu fatt’a shcàtuli:
la pìccula ‘ncòppa, cu lu llòrgiu,
la ròssa sótta, cu lu barcóne andó s’affacciava
chi cummànnava e ss’éva fa vidé.
Fu lu rijàlu fascista pi li tanta
muórti di lu tirramóte di lu Trènta,
ca facètt ‘nchjanià palazz’e chjiésiji.
Pócu luntànu, dòppu lu tirramóte
di lu Sissantadùji, sfrattànnu la cantina
di nu palàzzu, truvàrnu li shcatulètt fràcidi
ca lu padrone s’er’ammucciàt’a lu tirramóte
di lu Trènta, ‘mméce di li spinzià a la gente.
Ma puru dòppu lu Sissantadùji
e dòpp’ancóra, ci fu chi si n’apprufittàvu
cu lu magna magna: si cagnàva partìtu,
si facéva carna di puórcu,
paréva ca ‘n s’abbuttàvunu maji.
‘Nd’à stu municìbbiju, da quannu
ci trasètt lu pudistà, dint’a lu suttànu,
c’abbijàrn’ammintunà carti e ccu lu tiémpu
s’ave chjinu com’a n’uóvu.
Si unu cerca cóccósa ddrà ddintu,
jà com’ascià n’ agu ‘nd’à nu pagliàru,
ci pó’ ttruvà puru nu nidu di sórici.
Dòppu la uèrra, sótt’a lu cummùni ci stéva
la Càmmira de’ llavóro e ‘mmiézz’a la chjazza,
a la stagióna, s’accugliévunu li mititùri ‘la séra
ca li massàri si li mminévun’a ccapà.
D’ati tiémpi, si mittévunu l’uómmini‘ncòppa
a li fiérri: accuntàvun’a ffil’a ffilu quéddru
ca l’era capitàtu a li ddóji uèrri mundiàli.
Passàvunu cu li ciucci cu la sàlima li cristijàni,
uagliùni ch’alluccàvunu, fèmmini cu lu varrìlu
o na césta ‘n capu, sèrivi cu li bórzi chjéne,
cócche ssignóre cu la códa crécca.
Po’ cócchidùnu si shcaffàvu ‘nd’à li cchjòcchi
ca ‘stu paese era viécchju e ssi di n’ómu
viécchju si ni scòrdunu, li ccàsura vècchji
s’abbandónunu. Accussì lu paese s’ave dillatàtu
da quà e da ddrà pi ddint’à li tterr’attuórnu.
Si tatóne lu vidéss mo’ da luntànu, dicéss
sicuramènt ca pare Nàbbuli pìcculu.
Ma li genti so’ ccuntènt di ‘sti ccasi nóvi
a lu mmarànu, ‘nfacci’a bbòrija?
Da quannu puru lu Trappìtu ave muórtu
pi ‘nnant’a ‘stu municìbbiju, a la sera,
ci passa sulu cócche ccanu spèrzu.IL MUNICIPIO
Il municipio, un palazzo fatto a scatole:
la piccola sopra, con l’orologio civico,
la grande sotto, col balcone da cui s’affacciava
chi comandava e doveva farsi vedere.
Fu un regalo fascista per i tanti
morti del terremoto del 1930,
che fece abbattere palazzi e chiese.
Poco distante, dopo il terremoto
del 1962, svuotando la cantina
di un palazzo, si rinvennero barattoli corrosi
che il proprietario aveva imboscato al terremoto
del 1930, invece di distribuirli alla gente.
Ma anche dopo il 1962
e dopo ancora, vi fu chi si approfittò
con accaparramenti: si cambiava partito,
c’era chi se la sapeva godere,
mai mostrando d’essere soddisfatto.
In questo municipio, da quando
vi entrò il podestà, nel seminterrato,
iniziarono ad accumulare documenti
e col tempo s’è riempito come un uovo.
Se uno va per qualcosa lì dentro,
è come cercare un ago nel pagliaio,
vi potrebbe trovare anche un nido di topi.
Dopo la seconda guerra, sotto il comune vi era
la Camera del lavoro e nella piazza,
d’estate, vi si radunavano i mietitori di sera
per essere ingaggiati dai massari.
In altre stagioni, i reduci si sedevano
sulle sbarre di ferro: raccontavano con ordine
le loro disavventure nelle due guerre mondiali.
Passavano con gli asini con la soma gli uomini,
ragazzi che schiamazzavano, donne col barile
o una cesta sul capo, serve con la borsa piena
della spesa, qualche borghese altezzoso.
Poi qualcuno si incaponì
che questo paese era vecchio e se un uomo
vecchio va dimenticato, le case vecchie
si abbandonano. Così il paese s’è dilatato
di qui e di là nei terreni coltivi tutt’intorno.
Se il nonno lo osservasse ora da lontano,
direbbe sicuramente che è una piccola Napoli.
Ma la gente è contenta di queste case nuove
senza sole, esposte sempre a bora?
Da quando anche il Trappeto è morto
davanti a questo municipio, di sera,
vi passa solitario qualche cane randagio. -
I fuochi e i piccoli aerostati di S. Giuseppe nella tradizione montecalvese
[Ed. 20/03/2005] A Montecalvo Irpino il 19 marzo si festeggia S. Giuseppe e nel pomeriggio il paese si anima, perché è attraversato dalla processione con la statua del santo, appartenente alla chiesa di S. Bartolomeo, seguita dai fedeli e da diversi automezzi.
In passato, questa festa riguardava soprattutto gli artigiani. Anche i contadini e i massari, tuttavia, partecipavano con mucche e carri.
Con l’introduzione di camion e trattori nelle attività lavorative, si cominciò a sfilare anche con questi mezzi dietro la processione e i gas di scarico ammorbavano l’aria rendendola irrespirabile.
Era una specie di sfida per mostrare agli occhi della gente le mucche più belle, con le corna infiocchettate di nastri colorati, e anni dopo il trattore lucidato, più grosso e potente di quelli della concorrenza.
All’imbrunire, era tradizione accendere dei fuochi negli slarghi del paese e davanti alle case di chi viveva in campagna.
Questa tradizione è comune ad altri paesi dell’Irpinia.
Qualche giorno prima della festa, le famiglie, o la gente dei rioni che era animata dallo spirito di clan, si davano da fare per raccogliere materiale da ardere per l’occasione. Accatastavano paglia, ramaglie, fascine e, giunto il momento dell’accensione, adulti e bambini si radunavano eccitati e vocianti attorno al cumulo di materiale che si era riusciti a costruire.
A un certo punto colui che fungeva da capo clan, diventava piromane dando fuoco alla catasta. -
Il problema annoso dei rifiuti campani
[Ed. 08/03/2005] In Campania il problema dei rifiuti perdura da almeno un decennio e ricorrentemente sale alla ribalta della cronaca locale e nazionale, anche per le implicazioni e le complicazioni d’ordine pubblico che va ad innescare.
È sotto gli occhi di tutti che la politica ha difettato di una visione lungimirante, dimostrando finora incapacità e impotenza a risolvere questo problema.
L’ecomafia avrebbe adoperato ex cave e siti non autorizzati per lo smaltimento abusivo dei rifiuti tossici, di cui si è persa traccia. Insomma la raccolta dei rifiuti è un business molto appetibile e su di esso l’ecomafia è riuscita a mettere le mani, con danni molto gravi per l’ambiente e il rischio serio d’inquinamento delle falde acquifere.
Da qualche anno la megadiscarica di Pianura (NA) è satura e non è più in grado di ricevere rifiuti.
Anche i sette impianti, allestiti in Campania per la produzione di combustibili ricavati dai rifiuti, finiscono spesso nell’occhio del ciclone. La magistratura interviene ponendoli sotto sequestro. In tali frangenti la crisi dei rifiuti si acuisce e Napoli e altre città campane sono sommerse da cataste d’immondizie, che ammorbano l’aria e rendono invivibili strade e quartieri.
In queste fasi confuse, le autorità cercano affannosamente di individuare dei siti per nuove discariche. A causa di ciò montano le proteste da parte di chi vive in prossimità delle aree prescelte, ma si sospetta che talvolta esse siano pilotate. -
RIONE MAZZINI-MONTECALVO 2-1
CAMP. DI PROMOZIONE – 22a Giornata – Girone. RETI: 35’ Imbimbo, 10’st Vecchione, 30’st Corrado
[Ed. 08/03/2005] Montecalvo Irpino AV – Il Rione Mazzini vince di misura sul Montecalvo. La partita è combattuta ma sempre nel rispetto delle regole. Al 28’ i locali usufruiscono di un calcio di rigore ma Corrado manda fuori. Il Montecalvo si fa vedere dalle parti di Erba con Kazazi. Al 35’ gli ospiti vanno in vantaggio. Calcio di rigore per un fallo su un attaccante ospite. Dal dischetto Imbimbo non sbaglia. Il Rione Mazzini, ritorna in campo maggiormente determinato e mette a segno i due gol della vittora. Prima con Vecchione con un preciso tiro da fuori area, poi con il capitano Corrado che riscatta così l’errore dal dischetto. La punizione dal limite dell’area si insacca dove Nardone proprio non ci può arrivare. Tre punti che fanno classifica per il Rione Mazzini, spinti soprattutto da Cardillo che in campo ha conquistato la palma del migliore. [Nativo]
Redazione
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MONTECALVO – PROMARTIRI 3-0
CAMP. DI 3° CATEGORIA. Gara del 13.03.2005 RETI: Aucelli (M) Aucelli (M) Fierro (M)
[Ed. 14/03/2005] Montecalvo Irpino AV – Derby anche in terza categoria ma questa volta ad appannaggio del Montecalvo che rifila alla squadra di Ariano (PROMARTIRI) una bella tripletta.
Gara senza storia fin dal primo minuto, subito in vantaggio con Aucelli, la squadra di Mister Di Rubbo raddoppiava nel finale del primo tempo ancora con Aucelli. Nella ripresa la Promartiri si sbilanciava in avanti e in contropiede Fierro Luca metteva in cassaforte i tre punti. Gara intensa e abbastanza corretta, solo nel finale qualche piccola scaramuccia sedata immediatamente dalle forza dell’Ordine. Ormai saldamente al primo posto la squadra del Presidente Lo Casale Ludovico mira ai due recuperi con le dirette concorrenti al titolo.Redazione
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APICE – MONTECALVO 2-0
CAMP. DI PROMOZIONE. – 24a Giornata – Girone C – Gara del 13.03.2005 – RETI: 20′ e 25′ Stabile(A)
[Ed. 14/03/2005] Montecalvo Irpino AV – Il derby è andato all’Apice. La gara molto strana e soprattutto condizionata dal terreno di gioco, ha visto l’Apice passare in vantaggio al 20′ del primo tempo a seguito di uno svarione della difesa del Montecalvo, che pur essendo in quattro si sono fatti infilare dall’attaccante della squadra di casa Stabile. Cinque minuti dopo, ennesimo errore difensivo consentiva ancora a Stabile di partire da centrocampo e di arrivare in area, dove con un diagonale molto lento infilava l’esterrefatto Nardone. La squadra di Mister Parzanese tentava di reagire ma la troppa confusione degli attaccanti e la prova incolore della difesa non sortiva nulla di buono. La gara si trascinava stancamente e senza sussulti fino al termine. Foto Franco D’Addona [Nativo]
Redazione
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VALLESACCARDA – MONTECALVO B 0-0
CAMP. DI TERZA CATEGORIA – Gara del 20.03.2005
Gaetano Parzanese
[Ed. 21/03/2005] Montecalvo Irpino AV – Gara di altri tempi sul campo di Vallesaccarda. In una splendida giornata di sole si è disputata una partita che non rispecchia assolutamente la categoria delle due squadre. Confronto dal livello tecnico superiore sia sotto il profilo tattico che quello disciplinare, anche perchè arbitrata magistralmente dal Sig. Tecce di Avellino. Fin dai primi minuti, il Montecalvo ha fatto capire di non essere sceso in campo per portare a casa il pareggio, poiché ha utilizzato una formazione molto offensiva (come sempre del resto).
Nell’arco di appena mezz’ora il Montecalvo sciupa ben tre occasioni con Aucelli, Cavotta e Fierro, bravo il portiere a neutralizzarle. Il Montecalvo mantiene il possesso palla e il Vallesaccarda gioca di rimessa, ma solo nel finale i locali hanno una grossa occasione sciupata banalmente.
Pareggio giusto che consolida il primo posto della squadra del Presidente Lo Casale Ludovico seppur in coabitazione con il Vallesaccarda. Da segnalare come migliori in campo: Aucelli Massimo, Fierro Igino, Cavotta Peter. Nella foto: il difensore Massimo Lo Casale