• Araldica,  Cultura,  Il nostro passato

    Le origini dell’antica e nobile famiglia Franco in Montecalvo Irpino

    Redazione

    [Crediti│Testo: nobili-napoletani]
    [Edito 07/10/2021] Le origini dell’antica e nobile famiglia Franco si radicano probabilmente nella presenza politica di Re Guglielmo il Buono sul territorio irpino e che identifica nella figura di Petrus Frànculo (XII sec.), primo feudatario di Mons Calvus (attuale Montecalvo) che insieme a Gugliemo Potofranco per primo amministrò Mons Calvus come riportato nel Catalogo dei Baroni Normanni compilato ai tempi di Guglielmo il Buono e conservato presso l’archivio di Stato di Napoli,  il proprio capostipite.

    “Petri Franculi et Guillelini Potifranci – tenent Montem calvum, quod est feudum quatuor militum et Genestram feudum unius militis –
    et cum augumento obtullt milites decem”.

    A seguito della probabile cessione del feudo la famiglia, stanziatasi stabilmente sul territorio montecalvese scelse, probabilmente per motivi di carattere patrimoniale, di non abbandonare la cittadina perpetuando il suo ruolo di riferimento politico per il popolo nei successivi secoli. L’archivio storico della città documenta la presenza stabile della famiglia sul territorio nel corso dei secoli concedendo una traccia ben delineata nella sua linea genealogica principale degli ultimi trecentocinquanta anni.Tra la fine del 1600 e gli inizi del 1700 la famiglia risulta risiedere nel grande palazzo della piazza Purgatorio, la principale piazza della città attualmente detta “della Vittoria” e solo in seguito, a causa della scissione della famiglia in due ceppi primordiali ossia quello di Domenico e quello secondogenito di Nicola, che alla fine del 1700 Nicola edifica  “dirimpetto” al palazzo della famiglia acquistando alcune case di borgata il secondo palazzo Franco ed il giardino riportato negli annali locali come il più bello del paese.

  • ASPETTI ANTROPOLOGICI CULTURALI,  Balli di tradizione

    La Tarantella montecalvese
    Una danza arcaica che affonda le sue radici nei riti dionisiaci.

    Angelo Siciliano

    Dioniso, riti dionisiaci e loro repressione da parte del Cristianesimo

    [Edito 05/10/2011] Dioniso era figlio di Zeus e Semele. Costei a sua volta era figlia di Cadmo, re di Tebe. Morta Semele, folgorata dallo splendore di Zeus, poiché Dioniso non era ancora nato, il padre degli dei estrasse il feto dal ventre materno e se lo infilò in una coscia. Una volta nato, Dioniso fu allevato da Ino e dalle ninfe del monte Nisa. Fattosi adulto, costituì un corteo festante di menadi, dette anche baccanti, satiri e sileni, per diffondere tra gli uomini il suo culto e la coltivazione della vite. Agli uomini avrebbe insegnato in quali proporzioni andava diluito il vino con l’acqua, giacché nell’antichità il vino era molto alcolico e in Grecia era fatto divieto di berne allo stato puro, poiché era considerato una bevanda pericolosa simile ad una droga. Il primo a scrivere del vino come un dono di Dioniso, fu Esiodo. Giunto a Nasso, Dioniso sposò Arianna che era stata abbandonata da Teseo, e la leggenda vuole che egli sia arrivato fino in India per diffondere il suo culto. Una volta che questo si era affermato dappertutto, andò a liberare sua madre dall’Oltretomba e in seguito fu accolto tra gli dei dell’Olimpo. A Dioniso sono legati i riti e i misteri dionisiaci, e negli affreschi parietali della Villa dei Misteri, della Pompei romana del I sec. a. C., è rappresentata in modo spettacolare l’iniziazione ai misteri dionisiaci. Taranto era uno dei centri in cui si era diffuso il culto dionisiaco del dio Bacco o Dioniso, e durante i riti dionisiaci, i partecipanti al tiaso, o corteo bacchico, si abbandonavano ad uno stato d’ebbrezza e l’orgiasmo dionisiaco e il menadismo, vale a dire il comportamento delle menadi nei riti dionisiaci, assumevano una spiccata connotazione erotico-sessuale. I riti dionisiaci furono praticati sino al II sec. d. C. anche in Puglia, proprio nella zona di Taranto, facente parte della Magna Grecia, e da essi sarebbe nato, come musica catartica, il ballo parossistico del tarantismo. Proprio nel II sec. d. C., Taranto fu coinvolta nello scandalo dei Baccanali che significò, per il Sud d’Italia, una serie di atroci persecuzioni religiose. A Taranto la musica era utilizzata come tramite liberatorio e risanatore. Già nel VI sec. a. C., Pitagora e i suoi seguaci adoperavano nella Magna Grecia la musica catartica, come pratica musicale di purificazione e risanamento. Nel Medioevo si crearono le condizioni che avrebbero trasformato le pratiche cultuali del “dionisismo” in quelle nuove del “tarantismo”. E queste condizioni, come rileva Ernesto De Martino nel suo libro “La terra del rimorso”, erano la conseguenza della diffusione del Cristianesimo che produsse, con le repressioni poste in atto, la crisi dei culti mitico-rituali.

  • Beni,  Beni artistici e storici

    Piazza Purgatorio, oggi Piazza Vittoria

    Per gentile concessione di Giovanni Bosco Maria Cavalletti, Storia di Montecalvo Irpino, opera in allestimento.
    All’inizio di Corso Vittorio Emanuele sorgeva il palazzo Caccese, uno dei più interessanti dal punto di vista architettonico. Esso faceva angolo tra il corso, ove affacciava l’ingresso principale, e la Piazza Purgatorio, oggi Piazza Vittoria. Era caratterizzato da una serie di cinque balconi sulla facciata principale e di due sul lato di Piazza Vittoria. Tutti della stessa grandezza si presentavano slanciati e sormontati ciascuno da armonici triangoli ornamentali scalpellati in pietra bianca. Privo di finestre su lato nord est, su cui insistevano due balconi armonizzanti con quelli del lato nord ovest, ne presentava otto sulla facciata principale, poste in doppia fila in corrispondenza dei quattro balconi, le superiori di doppia altezza rispetto alle omologhe sottostanti. Sotto il balcone centrale, ancora esistente, è collocato il magnifico portale in pietra bianca, vero capolavoro di sottili ricami. Su di esso campeggia lo stemma di famiglia. L’ala nord est del palazzo fu demolita dopo il terremoto del 1962; la parte estrema di quella nord ovest fu distrutta dopo qualche anno dal terremoto del 23 novembre 1980. Oltre al sontuoso portale ancora rimangono, del tutto, il balcone centrale ed uno laterale. Il palazzo Caccese a sud ovest, i Palazzi Franco a sud est e Capozzi a nord est, circondavano la vecchia piazza Purgatorio, così detta per la presenza della settecentesca chiesa del sacro cimitero intitolata a Gesù, Giuseppe e Maria, demolita a causa del sisma del 1930. Tutti e tre gli edifici furono letteralmente rasi al suolo dopo il terremoto del 1962. Sui loro siti sorsero delle moderne costruzioni che, irrispettose della storia e dell’arte, niente hanno conservato delle precedenti. La famiglia Franco era giunta a Montecalvo dopo la peste del 1656 inserendosi da subito tra le distinte famiglie locali. I Capozzi risiedevano a Montecalvo già nel XVI secolo, ma la loro residenza in Via Piano era stata costruita tra la fine del 1600 e l’inizio del 1700. In virtù di alleanze familiari il palazzo assunse il nome di Capozzi-Camerlengo-Caccese.

    Redazione

  • ASPETTI ANTROPOLOGICI CULTURALI,  Canti popolari di tradizione orale,  Cultura orale

    Il folk edulcorato

    Angelo Siciliano

    [Edito 30/09/2021] Quello che è stato divulgato in questi anni, anche attraverso le tivù, è un folk edulcorato, fasullo, lontano mille miglia dall’autenticità ormai perduta col tramonto e coll’affossamento della nostra civiltà agro-pastorale. Solo un analfabe…tismo culturale, glottologico, antropologico, etnografico e una riscrittura di canti volgari, estranei alla tradizione montecalvese, e una miopia più o meno diffusa possono far ritenere che tanti sforzi fatti abbiano colto nel segno e fatto rivivere qualcosa che non potrà mai più ritornare. Anche i costumi delle pacchiane sono una vera pacchianata. Certo, fanno colore ma sarebbe stato meglio andare alla ricerca dei costumi autentici delle nostre bisnonne – e chi conserva qualche foto antica può rendersi conto di quel che dico – per ripensare a un modo diverso di far vestire qualche gruppo nostrano che ha l’ardire di esibirsi in giro. E non sono cento o mille persone o un milione di telespettatori che possono attribuire la patente di autenticità a uno spettacolo che di autentico non potrà avere nulla. Certo è uno spettacolo e lo è come tanti altri, e basta frequentare i festival del folklore, nazionale o internazionale, per ampliare le proprie vedute – d’altronde il nostro paesello non è l’ombelico del mondo – per capire che di quella “radice autentica” non è rimasto quasi nulla. Insomma si fanno delle variazioni sul tema. Gli oltre 200 canti , compreso un poema cantato di 107 quartine, che ho raccolto in paese in decenni di ricerca sul campo, mi mettono nelle condizioni di emettere questo severo giudizio. [Nativo]

  • ASPETTI ANTROPOLOGICI CULTURALI,  Balli di tradizione

    La Tarantella montecalvese

    Antonio Cardillo – Francesco Cardinale

    La nostra tarantella ha avuto il suo massimo sviluppo nell’epoca caratterizzata dalla diffusione dell’organetto, vale a dire, all’incirca, alla fine dell’Ottocento e nella prima parte del Novecento, sino al periodo immediatamente precedente l’avvento della televisione, intorno al 1950. Le circostanze nelle quali veniva eseguita erano diverse; durante i matrimoni, ma anche nei contesti agro-pastorali, ove se ne riscontrano almeno tre: la festa sull’aia in occasione della trebbiatura[1], l’uccisione del maiale e il capocanale[2]. In paese venivano organizzate festicciole[3] il cui scopo non era solo lo svago dei residenti ma anche quello di far conoscere tra loro i ragazzi e le ragazze in età da matrimonio. Solitamente, la tarantella rallegrava il clima e invogliava i più inibiti a unirsi alla festa. L’innamorato di turno, dopo aver dichiarato il suo amore con la serenata, rivolgendosi ai musici, concludeva: Hoj, sunatò’, quantu suni’ bellu! Famme ‘nu giru d’ tarantella![4]

         Negli ultimi otto, nove anni, abbiamo catalogato e raccolto, nel corso di registrazioni presso privati, un cospicuo numero di tarantelle cosiddette montecalvesi, che ci consentono una disamina, seppur approssimativa, della tematica. Lasciamo, come è giusto che sia, l’approfondimento metodico a chi ha più esperienza e titoli di noi. Ascoltando il materiale raccolto si evince sin da subito che, pur riconoscendo alla tarantella nostrana una sorta di originalità e una propria identità abbastanza definita, le composizioni repertate si differenziano, tuttavia, in modo considerevole. Va ricordato, ad ogni modo, che le varie versioni conservano una certa continuità sonora, grazie alla presenza di stili melodici preesistenti, elaborati con variazioni armoniche legate alla creatività dell’esecutore. Si noterà, scorrendo il repertorio, che l’esecuzione dello stesso brano a volte è differente, anche quando il lasso di tempo intercorso tra le registrazioni è poco considerevole; il che appare persino ovvio, trattandosi di esecutori che suonano a orecchio.

  • ASPETTI ANTROPOLOGICI CULTURALI,  Balli di tradizione

    La Tarantella montecalvese

    Alfonso Caccese

    [Edito 30/09/2021] Montecalvo Irpino AV – La tarantella napoletana nacque a Napoli ai primi del ‘700. A quel tempo le coppie si conoscevano tramite le famiglie. L’amore tra i giovani era platonico. Era molto difficile avere dei contatti, potevano solo guardarsi e sorridersi. I genitori accorgendosi delle simpatie reciproche tra i loro figli organizzavano delle festicciole che finivano sempre a tarallucci  e vino (queste erano le loro possibilità!).
    Sul finire delle festicciole c’era sempre la tarantella. Anche perché in quell’epoca nelle famiglie non mancava mai un mandolino e un tamburello.

    In seguito un grande maestro napoletano Raffaele Donnarumma musicò la prima tarantella. E man mano venne figurata con vari quadri che mascheravano dietro il ballo momenti in cui era possibile di guardarsi negli occhi o in viso, sentire i primi contatti fisici dove dalla stretta della mano stessa, si poteva capire l’intensità dell’amore che stava per nascere, fino ad abbracciarsi in girotondo facendo capire che la loro felicità in seguito si poteva trasformare in amore. A tutt’oggi parecchie coppie di ballerini di tarantella si sono uniti in matrimonio. La tarantella in seguito si trasferì in quasi tutte le regioni e città del sud, così nacquero musicalmente le varie tarantelle, tra queste anche la “tarantella montecalvese”  che non si discosta molto da quella originale napoletana. Alcune variazioni musicali scaturiscono più da una sonorità tramandatasi nel tempo da musicisti provetti non capaci di leggere la musica e quindi la suonavano , come si suol dire, ad orecchio. Infatti nessuno mai ha pensato di annotare o riscrivere queste variazoni che nel corso del tempo hanno subito varie trasformazioni. In origine  la “tarantella” non nasce in ambienti agro-pastorali, piuttosto in ambienti piccoli borghesi-popolani per le ragioni sopra dette, dopodiché con la radicalizzazione nelle città e paesi del sud entra a far parte del mondo contadino arcaico ed entra di diritto nel folclore popolare meridionale. Percorso seguito anche dalla “tarantella montecalvese”, di cui della originale musicalità antica sono ancora in cerca gli appassionati e ricercatori locali che scavando nella memoria collettiva della antica civiltà contadina cercano di far riemergere spunti e note più vicine alla realtà delle origini. Quella che noi ascoltiamo oggi non è altro che una delle tante variazione della tarantella che , presumibilmente non si discosta molto da quella originale napoletana ma comunque ha in sé una musicalità ed un ritmo diverso che la differenzia dalle altre tarantelle meridionali. In più l’aggiunta di un testo vocale fa pensare che sia stata riscritta più a fine propagandistico che quello di una vera ricerca antropologica. [Nativo]

     

     

  • Guerra,  Il nostro passato

    Scampò dai forni crematori nazisti

    Redazione

    [Edito 08/06/2022] Era il 1943 quando Giuseppe Pucino all’età di 22 anni viene catturato dai tedeschi, definito IMI internato militare Italiano, e portato nel campo di concentramento in Germania. Giuseppe trascorre 5 anni della sua vita tra la guerra e il campo di concentramento fino a quando non ritorna a Montecalvo. Giuseppe è uno degli ultimi ancora in vita a poter raccontare le atrocità dell’Olocausto. A 99 anni, Giuseppe è stato insignito, da parte del Prefetto di Avellino Maria Tirone, della medaglia d’onore concessa dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a quei cittadini irpini deportati e internati nei lager nazisti e destinati al lavoro coatto per l’economia di guerra. La testimonianza di Giuseppe è preziosa, i suoi occhi rivivono come se fosse oggi l’olocausto, gli occhi di un uomo segnati da quegli avvenimenti custodiscono il ricordo doloroso che lega il passato al presente, l’umanità vive ancora i suoi drammi, cambiano forma, possiamo solo ricordare il male da scongiurare. IL PREFETTO. Nell’accogliente ed affollato auditorium del Conservatorio Statale di Musica “Domenico Cimarosa” era presente il Signor Giuseppe Pucino, da Montecalvo Irpino di 98 anni, cui la platea ha tributato un commosso e riconoscente applauso, nel momento in cui ha ricevuto la medaglia. Dopo l’Inno patrio – in una suggestiva e riflessiva versione per canto tenorile e pianoforte – il Prefetto di Avellino, Maria Tirone, nel saluto introduttivo ha sottolineato «il legame ineludibile tra i due tipi di onorificenze a consegnarsi, la cui motivazione, il cui valore e la cui testimonianza hanno comune fondamento nella dignità del lavoro, nel sacrificio offerto – in pace, come in guerra – da meritevoli cittadini alla Repubblica e nell’impegno a servire solidaristicamente la comunità nazionale». In questi senso, «gli insigniti sono modelli di rettitudine e responsabilità, il cui esempio ed il costante impegno profuso nella loro vita civile diventano – come ebbe a metaforizzare Calamandrei – combustibile per l’attuazione del progetto democratico costituzionale italiano», ha proseguito il Prefetto. «I diritti democratici affondano le radici nella sofferenza, che sia una guerra o la fatica del lavoro, ed è pertanto necessario che ciò sia costantemente rammentato alla comunità, rendendo onore all’impegno di coloro che hanno saputo innalzare la dignità civile personale a giovamento e lustro per la nostra Repubblica». [Nativo]

  • Canti popolari di tradizione orale,  Editoria

    Il volume “Alan Lomax – Passaggio a Montecalvo Irpino” presentato a Palermo

    Antonio Cardillo

    [Edito 21/06/2022] Il 9, 10 e 11 Dicembre 2021, si è tenuto a Palermo il Convegno “Musiche di tradizione orale nell’era della conversione digitale”.
    Si sono avvicendati numerosi etnomusicologi italiani, tra cui Raffaele Di Mauro, Sergio Bonanzinga, Giovanni Giuriati, Giorgio Adamo, e tanti altri. Presenti anche alcuni studiosi della Association for Cultural Equity, fondata da Alan Lomax, e rappresentata oggi dalla figlia Anna L. Wood. Nell’ultima giornata, Giorgio Adamo nel suo intervento, presentando gli studi e le ricerche sui materiali dell’Archivio Lomax, per quanto riguarda la Campania si è soffermato sullo straordinario lavoro compiuto negli anni a Montemarano da Luigi D’Agnese e sul volume che abbiamo pubblicato con l’amico Francesco Cardinale sulla visita di Lomax a Montecalvo Irpino. [Nativo]

  • Cultura,  I confinati,  Poesia

    Marko Kravos in visita a Montecalvo Irpino

    Redazione

    [Edito 16/05/2019] Domenica 11 maggio 2019, a Pesco Sannita nel consueto Festival Ethnoi (culture, linguaggi e minoranze), giunto quest’anno alla dodicesima edizione, tra gli eventi proposti era previsto un incontro con la poesia di Josip Osti, poeta nazionale sloveno, e Marko Kravos, poeta italo-sloveno. Marko Kravos è il figlio di Josip (Giuseppe) Kravos (S. Croce di Audissina 5 agosto 1909 – Trieste 13 aprile 1972), il quale, durante il periodo dei noti campi fascisti, venne arrestato il 5 settembre 1940 a Cagliari, fu trasferito nelle carceri di Trieste e successivamente venne “condannato” all’internamento sull’isola di San Domino (Tremiti) dove rimane dal 27 marzo 1941 al 7 gennaio 1942, quando, in seguito a una richiesta di trasferimento per motivi di salute (deperimento psicofisico) viene inviato nella località di internamento di Montecalvo Irpino, in provincia di Avellino. Ed è qui che, nel 1943 nasce Marko Kravos, importante poeta e scrittore. Approfittando dell’evento in programma a Pesco Sannita, Francesco Cardinale e Antonio Cardillo, Presidente e Vice Presidente dell’Associazione montecalvese Lomax & Carpitella, si sono adoperati affinché l’illustre concittadino nato a Montecalvo, ritornasse nel paese che gli aveva dato i natali, e dal quale mancava dall’età di tre anni, anche se nei primi anni novanta vi passò in maniera fugace ed anonima, senza, però, potersi soffermare a contemplare i luoghi cari della sua infanzia. Ad accompagnare a Montecalvo Marko Kravos e Josip Osti, altro grande della poesia contemporanea, vi erano Sergio Iagulli e Raffaella Marzano, della “Casa della poesia” di Baronissi ed editori dei due poeti. Dopo aver intrattenuto gli ospiti con un pranzo a base di piatti tipici locali presso un noto agriturismo del luogo, vi è stato l’incontro con il Sindaco di Montecalvo, Mirko Iorillo, al quale Kravos ha consegnato, in dono, un prezioso volume, con dedica autografa, della sua importante produzione poetica che sarà a disposizione della collettività montecalvese. Successivamente Kravos e i suoi compagni, sono stati guidati attraverso un percorso alla riscoperta dei luoghi in cui era nato e in cui aveva vissuto i primi anni dell’infanzia. La visita è stata mediata sapientemente dallo scrittore e giornalista Mario Aucelli, che in uno dei suoi volumi sulla storia di Montecalvo, aveva dedicato ampio spazio alle vicissitudini legate a Josip Kravos, papà di Marko. E’ doveroso ricordare che i primi contatti con la famiglia Kravos, e precisamente con la sorella di Marko, l’autrice Bogomila Kravos, furono avviati nei primi anni del duemila da Alfonso Caccese attraverso il sito Irpino.it e proseguirono in seguito con Mario Aucelli. L’associazione Lomax & Carpitella, da sempre sensibile alle vicende legate al paese di Montecalvo Irpino, ha permesso che avvenisse questo importante “ricongiungimento” e ha documentato l’importante visita con foto e video. [Nativo]

    Marko Kravos in visita a Montecalvo Irpino

  • Commiati,  Persone

    La morte di Padre Filippo Lucarelli

    Alfonso Caccese

    [Edito 29/01/2023] Montecalvo Irpino AV – Era in ritiro spirituale nel convento Sant’Antonio a lui tanto caro a Montecalvo Irpino ed è qui che si addormentato per sempre stroncato da un malore nel cuore della notte. Padre Filippo Lucarelli, 90 anni, (ritratto in questa foto bellissima e sorridente di Franco D’Addona), grande trascinatore della comunità montecalvese, non c’è più. Ad annunciare per primo la sua triste e scomparsa con grande dolore il gruppo San Pompilio Pirrotti attraverso la pagina facebook.“Questa notte è salito al Padre, presso l’oasi Maria Immacolata di Montecalvo Irpino, Padre Filippo Lucarelli. La comunità parrocchiale San Pompilio Maria Pirrotti si unisce alle preghiere e si stringe con affetto ai Frati Minori della Provincia Sannito-Irpina “Santa Maria delle Grazie. Sempre cordiale, disponibile e generoso. Un uomo esemplare prima di essere frate.
    Al suo impegno e alla sua grande determinazione si deve la realizzazione della meravigliosa struttura dedicata a San’Antonio all’ingresso del paese, che negli anni ha rappresentato la storia di tante generazioni. Un gioiello prezioso, curato nei minimi dettagli proprio grazie alla sua instancabile opera, un complesso che ha ospitato personaggi illustri da tutto il mondo. [Nativo]