URBINO e MONTECALVO
Un gemellaggio di arte e fede
Antonio Stiscia
[Ed. 00/09/2008] Nel corso degli scavi per il restauro architettonico del Castello Comitale e di poi Ducale di Montecalvo Irpino,è venuta alla luce una bellissima trabeazione di un portale cinquecentesco,con la seguente scritta: HOMO HOMINI DEUS. I caratteri della scrittura sono riconducibili allo stesso periodo e/o mano della scritta sul portale e sulle trabeazioni interne della Ottagonale Cappella Carafa sec. XVI sita all’interno della Collegiata di Santa Maria Assunta sec. XV eretta all’interno della gran corte superiore del castello dei Conti Carafa di Montecalvo e poi dei Duchi Pignatelli di Montecalvo,ultimi feudatari. La scoperta di questa iscrizione apre nuovi scenari nella ricerca storica e artistica del paese che si connota per molti evidenti rapporti con il ducato di Urbino.
Il professor Ascher dell’Università di Haifa ha compiuto un lavoro encomiabile sulla Cappella Carafa di Montecalvo, mantenendo quella necessaria e corretta condotta scientifica che esula dalle certezze attributive lasciando aperto il campo a nuove teorie e a nuove scoperte. Con la necessaria umiltà mi appresto a dire la mia opinione su alcune questioni,confortandole con dati e immagini,al sol fine di dare un contributo di conoscenza.
Di pianta ottagonale e sormontata da una cupola (ormai scomparsa) la Cappella per l’essenzialità delle forme e il sapiente uso della pietra di roseto è veramente un piccolo gioiello dell’arte rinascimentale. L’accostamento chiaroscurale delle pietre e degli intonaci bianchi,in pareti prive di affreschi, riconducibile alle genialità degli architetti fiorentini,trova in Michelangelo il suo migliore e più straordinario esempio.Prediletto di Papa Giulio II della Rovere ( Della Rovere Duchi di Urbino) per il quale affrescherà la volta della Cappella Sistina,realizzerà numerose opere architettoniche,anche con gli altri Papi succedutesi nel tempo,fino ad arrivare a Papa Paolo IV (Giovan Pietro Carafa) con il quale ebbe un difficile rapporto,tanto che questi gli preferì Federico Zuccari, anche per il completamento della Cappella Paolina,scegliendo un urbinate,memore della valentìa dimostrata al servizio dell’amico Papa Farnese,di cui se ne sentiva continuatore,tanto da assumerne il nome pontificale. Lo Zuccari, come tutti gli artisti del tempo vedeva in Michelangelo un vero geniale maestro tanto che le sue opere architettoniche e pittoriche si possono collocare nel pieno manierismo. Non va dimenticato il profondo rapporto intercorrente tra la famiglia Farnese e Carafa. Alessandro Farnese già arcivescovo di Benevento,allorché divenne Papa col nome di Paolo III,in uno dei primi concistori nominò Giovan Pietro Carafa ,Cardinale. Papa Farnese fu il Papa dell’arte e del bello,seguì le orme di Giulio II e affidò a Michelangelo grandi opere e l’affresco del Giudizio Universale,nel mentre si servì dei fratelli Taddeo e Federico Zuccari per le opere di carattere pittorico-architettonico,dei palazzi di famiglia.
Federico Zuccari è l’autore del ciclo di affreschi nella ottagonale chiesa di San Gaetano Thiene in Padova,come di altre pale di altare dedicate al Santo, amico e confratello di Giovan Pietro Carafa,col quale aveva fondato nel 1524 l’Ordine dei Teatini. Non è improbabile che Sigismondo II Carafa- Conte di Montecalvo,o un suo predecessore,avendo in animo di edificare un Sacro Sacello commemorativo della famiglia,abbia chiesto a Papa Farnese Paolo III o al cugino Cardinale e poi Papa Paolo IV,di inviargli un disegno e forse un architetto capace di progettare e di realizzare un monumento che celebrasse la grandezza della famiglia Carafa. Recentemente è venuto alla luce un disegno di Michelangelo,che opportunamente modificato,per adattarlo alla struttura della Collegiata di Santa Maria Assunta,risulta a dir poco identico per impianto e prospetto alla nostra Cappella Carafa.
Il taglio della parte superiore è dovuto alla eccessiva altezza che mal si inseriva nell’architettura della Collegiata sec. XV,trattandosi di un inserimento laterale con l’aggiunta di una nuova navata nella parte destra.E’ da notare del come la base centrale sia stata spostata in alto per riportare la scritta inaugurativa e come le nicchie laterali siano identiche a quelle della Cappella Carafa.
Lo Sposalizio della Vergine motivo che sarà ripetuto dal suo più illustre e famoso allievo,l’urbinate Raffaello Sanzio,alle cui intuizioni architettoniche(Cappella Chigi) si può accostare la Cappella Carafa di Montecalvo(cfr Ascher). Non va dimenticato che l’8 è un numero sacro e magico insieme,l’ottagono in architettura può definirsi il top della struttura,per l’armonia delle forme e la difficoltà di costruzione,che trova naturale trasposizione in una cupola sormontante. Basti pensare alla Sala Ottagona nel Palazzo Imperiale-Domus Aurea di Nerone,a Castel del Monte di epoca Sveva e al tempietto dell’urbinate Donato Bramante al cui nome è da sempre accomunata la nostra ottagonale Cappella Carafa. Qualcuno si starà chiedendo come si giustifica tanto splendore in un così piccolo paese. La storia di Montecalvo è veramente un unicum,al centro di grandi interessi geopolitici,ha visto la presenza di grandi casate imparentate con il fior fiore della nobiltà europea,con le corti e con il papato in oltre 6 secoli di prosperità. L’attuale decadenza e la lenta scomparsa delle testimonianze non ci deve deprimere se pensiamo a come nel 500 la nostra cittadina potesse competere con Urbino e intrattenere proficui rapporti.
La Cappella Carafa fu inaugurata nel 1556 da Giovan Battista Carafa, IV Conte di Montecalvo,come si legge su di una lapide posta sull’arco di ingresso della stessa,un po’ avulsa dal resto dell’opera,come se fosse stata realizzata solo per esaltare “l’inauguratore”, che quale cugino del Papa, eletto l’anno prima,voleva in tal modo suggellare il sacro Sacello, la cui realizzazione è riconducibile,quasi certamente e per motivi temporali, alla volontà dei suoi predecessori. Le quattro nicchie interne sormontate dagli stemmi gentilizi della famiglia ,sembrano costruite per alloggiarvi delle statue (cfr disegno di Michelangelo),come a ricordare i 4 Conti di Montecalvo o i 4 rami originari della Famiglia e lo si evince proprio dalla lettura dell’iscrizione inaugurale allorché parla di optimimis parentibus ac omnibus comitibus sacellum posuit MDLVI, sicuramente,per celebrare la grandezza di una famiglia, rimarcando i vincoli col santo padre e con i rami più potenti e più in vista:
Carafa della Spina
Carafa della Serra
Carafa di Forlì
Carafa della Stadera
Da cui sono discesi innumerevoli altri rami,tra cui quelli di Montecalvo.
Carafa è di fatti un soprannome ,attribuito a quel Gregorio Caracciolo,che ebbe la concessione per il commercio del vino e che introdusse la Caraffa come misura. Nella tradizione montecalvese viene ricordato il “ Carafone” uno speciale contenitore in vetro per la suzione del vino,che in una particolare ampolla strozzata, sgorga da un imbocco sferico e schiacciato,come la base di una moderna tettarella. Papa Paolo IV ,l’esponente più importante di questa famiglia, fu il Papa delle grandi riforme nella Chiesa,con un ritorno alla semplicità e alla carità. Comprese il disagio del suo tempo e cercò di far rientrare lo scisma Luterano,favorendo nuove regole e congregazioni,tra cui l’ordine dei Teatini insieme a San Gaetano Thiene a cui sono dedicate ben 2 Chiese a Montecalvo.
Montecalvo, fin dal 1518 a mezzo del Conte Sigismondo Carafa si era accordata con l’Ordine degli Eremitani Osservanti di Sant’Agostino e col loro Padre Priore Frà Felice da Corsano, per creare nuovi e più consoni criteri di vita sociale, dove la comunità religiosa veniva inserita, perfettamente, nell’organizzazione della Universitas.
In questo accordo, rivoluzionario per molti aspetti e che fa intravedere forme di democrazia seppur oligarchiga vengono anticipati i contenuti dei Patti e delle Condizioni tra Lo Stato e la Chiesa con una sincera volontà di realizzare qualcosa di concreto, acquisendo beni e concedendo servizi.
Il documento storico, esaminato e trattato con cura, è una vera miniera di informazioni, specie per il fatto che gli Agostiniani subentrano nella gestione della Chiesa e Ospedale di Santa Caterina e nelle Chiese di San Sebastiano e San Ciriaco,subentrando anche nel culto originario e nelle festività solenni dei Santi a cui erano intitolate,garantendo il perdurare delle tradizioni e delle manifestazioni ad esse connesse,non ultima la Fiera di Santa Caterina,per i comprensibili motivi economici. Accadde cioè che gli Agostiniani acquisirono il tempio,l’ospedale e il culto di Santa Caterina d’Alessandria,festa il 25 Novembre, che da quel momento rientrò tra le festività solenni del proprio ordine.
Negli stessi anni, in Roma ,un altro grande concittadino faceva grande la Chiesa ed era Annibale Bozzuti che era nato a Montecalvo il 2/2/1521 e che protonotario apostolico e prelato domestico con Paolo III ( Alessandro Farnese fu cardinale di Benevento e fu colui che nel 1515 acconsentì al trasferimento dei monaci Agostiniani del Monastero di San Giovanni in Corsano presso il Convento di Santa Caterina in Montecalvo),partecipa come Prefetto, al Conclave del 1550 che elesse Papa Marcello II,che a sua volto lo nominò arcivescovo di Avignone e poi Governatore di Roma. Fu creato cardinale da Pio IV pochi mesi prima di morire il 6 ottobre 1565.
Ma torniamo alla frase sull’architrave,il cui concetto è riconducibile al pensiero e agli scritti dei grandi pensatori e filosofi dagli albori del cristianesimo e fino a tutto il novecento. Sant’Agostino nel sermone n°371 del “De Nativitate Dei” ricorre a questa frase per significare la ricerca del bene comune tra gli uomini,dell’uomo che si comporta da Dio nei confronti dell’altro uomo,fino ad arrivare alle aberrazioni manieriste,illuministe, nichiliste,minimaliste e scetticistiche che daranno vita all’“ HOMO HOMINI LUPUS”,in un concetto alienante e diseducativo del mondo umano e poi del mondo animale. Sulla scorta delle recenti conoscenze naturalistiche ,potrebbe concludersi che le due frasi hanno perso la loro antinomia proprio perché i lupi hanno una struttura sociale evoluta e perfetta,tesa al bene comune del branco,in una sorta di rivincita della natura sulla scienza umanistica. Se Bacone e Spinosa cercheranno di comprendere il significato dell’esistenza,che è lo scopo ultimo della Filosofia, rimane straordinario il fatto di aver ritrovato un’architrave che riporta una frase così pregnante e fuori dagli schemi iconografici e architetturali,confermando che in questa nostra realtà,qualche secolo addietro, vi fosse una vera libertà di espressione sia nell’arte che nella cultura,e che trova naturale suggello nell’originale accordo tra Agostiniani e Contea di Montecalvo,iniziando una tradizione che trova rara esplicazione anche nei più recenti Accordi di Programma. Ritorna Sant’Agostino e gli Agostiniani e i secolari rapporti tra Montecalvo e Urbino,entrambe con un Monastero dedicato a Santa Caterina d’Alessandria festa il 25 Novembre. Il monastero di Montecalvo in vita fin dal 1518 venne definitivamente soppresso nel 1810. Nel mentre quello di Urbino è ancora funzionate e vanto della cittadina marchigiana.
Le suore di clausura del Convento Agostiniano di Santa Caterina di Urbino,ogni 25 Novembre preparano un dolce a forma di Ruota per ricordare il martirio della santa,nel mentre nella tradizione montecalvese si parla di Ruoto(recipiente di terracotta con quattro/otto manici a mo di gran piatto,utilizzato per la cottura di cibi con carne ,direttamente sulla brace).
Il gemellaggio di fede non può che concludersi che in modo travolgente,allorché si ricorda che la cittadina marchigiana ospita uno dei più rinomati Collegi degli Scolopi,presso il quale hanno studiato e si sono formati straordinari ingegni,tra cui Giovanni Pascoli,che avrà certamente avuto conoscenza del nostro maestro Padre Pompilio di San Nicolò( San Nicola da Tolentino-Agostiniano ),il cui ritratto campeggia nelle aule di quel centro di cultura e di apprendimento,vero vanto di Urbino,che forse cela altri segreti e altri collegamenti. Per cui mi sembra doveroso chiudere lo scritto con una frase lapidaria e che ben si confà a quanto narrato: MONS CALVUS URBINO CIVITAS [Nativo]